Maria Vittoria Carbonara, Giulia Savarese
La nascita dello schema corporeo:
una ricerca trasversale
e longitudinale
Lo schema corporeo
La capacità di rendere comunicabili le
nostre conoscenze utilizzando significanti simbolici, presuppone l'esistenza di
una attività rappresentativa che ci metta in grado di evocarle al momento
opportuno. Le nostre conoscenze si organizzano nella mente in strutture
complesse a partire da semplici unità cognitive dette schemi
(Piaget, 1936). Elementi generici che consentono il riconoscimento, la
comprensione e la memoria dell'esistente, essi si arricchiscono, si
differenziano e si organizzano in strutture, via via che si moltiplicano le
nostre esperienze con gli oggetti e le nostre azioni su di loro.
Lo
schema corporeo è una delle unità cognitive che, a partire dal
nostro primo contatto con gli oggetti sociali, evolve velocemente nella nostra
mente: parallelamente alla sua evoluzione, si sviluppa in noi una capacità
sempre più fine e dettagliata di rappresentarci un corpo e, conseguentemente, di
rendere comunicabile questa nostra rappresentazione con gli strumenti simbolici
che possediamo.
In letteratura, lo schema corporeo (Bonnier, 1905) viene
definito come un insieme dinamico di informazioni posturali, cenestesiche e
temporali (Ratti, 1991) che continuamente si modifica perché man mano si integra
con le informazioni centripete relative a nuove posture e nuovi movimenti del
proprio e dell'altrui corpo (Head, 1920). La sua presenza ci consente di
avvertire la nostra collocazione nell'ambiente esterno e di saperci orientare
nello spazio. Ma non solo questo: lo schema corporeo, in senso lato, assume per
la persona una importante valenza psicologica (Schilder, 1935), perché investe
una grande varietà di significati che attraversano le sue emozioni, sentimenti e
valori nel corso della vita; a prescindere dai cambiamenti obiettivi che la
persona stessa può avvertire nel proprio corpo col crescere dell'età
(Boggi-Cavallo, 1978).
La ricerca che qui presentiamo, ripercorre i dati di
due studi: uno trasversale ed uno longitudinale, condotti a distanza di sedici
mesi l'uno dall'altro allo scopo di cogliere l'iter cognitivo che rende
possibile al bambino di conquistare la capacità di rappresentare in forma sempre
più evoluta lo schema corporeo man mano che quest'ultimo, a sua volta, evolve
nella propria mente.
Infatti, se già mediante il primo studio
(Carbonara-Moscati e Savarese, 1994) condotto trasversalmente con bambini
appartenenti a due fasce di età, avevamo potuto osservare come, da una pressoché
inesistente rappresentazione mentale del corpo umano, gradualmente si passi, col
crescere dell'età, ad una discreta rappresentazione di questo; mediante il
secondo studio, condotto longitudinalmente al primo, siamo andate alla ricerca
di ulteriori dati che, eliminando le variabili soggettive del campione, da una
parte ci dessero modo di confermare quelli precedentemente ottenuti e dall'altra
ci consentissero di estendere le nostre osservazioni ad una terza, ancor più
evoluta, fascia di età.
Lo sviluppo dello schema
corporeo
Così come, alla nascita, il bambino appare
manifestamente dotato delle funzioni biologiche fondamentali che ne assicurano
la crescita e la sopravvivenza in genere, altrettanto manifestamente appare
dotato di funzioni relazionali che gli consentono di lanciare nell'ambiente una
serie di segnali comunicativi . Funzioni anch'esse fondamentali per
la crescita e la sopravvivenza, perché garantiscono al neonato la presenza di un
adulto e il mantenimento di interazioni significative con lui (Bowlby, 1969;
Shaffer, 1973).
A partire dal terzo mese di vita, poi, il bambino lancia
anche sorrisi intenzionali che, ormai, non hanno più soltanto il
valore di segnali comunicativi, ma, probabilmente, anche quello di spie
dell'attivazione dello schema di volto umano e, sicuramente, anche di persona.
In più, questi aperti sorrisi hanno forse anche il senso di esprimere la gioia
di aver scoperto la propria appartenenza: fra la moltitudine di
oggetti presenti nel suo ambiente, il bambino si renderebbe conto di appartenere
al genere umano (Carbonara-Moscati, 1990).
Ma, se a quest'epoca
e per alcuni mesi ancora i suoi sorrisi saranno indistintamente rivolti a tutti
i visi che entrano nel suo campo percettivo del momento (Spitz, 1946),
progressivamente, attraverso le varie esperienze relazionali, il bambino diverrà
più selettivo e non sorriderà più a tutti: scoprirà la diversità delle persone
del suo ambiente e tale scoperta, verso l'ottavo mese, lo renderà consapevole
che esistono persone familiari e persone estranee ; le sue reazioni
di disagio nei confronti di queste ultime, appaiono come un'ulteriore spia dello
stesso schema, che ora va differenziandosi.
Col passare dei mesi, la
conquista della permanenza dell'oggetto facilita l'abilità del
bambino a delimitare gli schemi di quanto altro esiste nel suo mondo e, di
conseguenza, egli potrà sviluppare anche la coscienza di sé come
corpo indipendente dagli altri corpi. Tale conquista si produce attorno ai
quindici/diciotto mesi di vita (Le Boulch, 1981).
La coscienza di sé ha a che
fare con il moltiplicarsi delle azioni sensomotorie che il bambino
è stato in grado di produrre nel frattempo (Piaget, 1936): odorare, tastare,
osservare, ascoltare, gustare la moltitudine degli oggetti presenti nel suo
ambiente percettivo; e deriva, inoltre, dalla coordinazione motoria, cinestesica
e prassica che è stato in grado di conquistare (Mahler e Mc Devitt, 1982). I
suoi vissuti, insomma, gli consentono via via di scoprire la propria esistenza
in quanto persona e di conquistare la propria unità attraverso l'esperienza
vissuta di un corpo "efficace" (de Ajuriaguerra, 1974).
A partire da questo
periodo, infatti, è anche possibile notare nei bambini certi modi di reagire che
rappresentano un indice del riconoscimento di sé come entità fisica
differenziata dagli altri. E' il cosiddetto stadio dell'autoriconoscimento
allo specchio che, come precisa Zazzo (1980), richiede che il bambino sia
in grado di vedersi dall'esterno come un oggetto distinto da altri oggetti.
Secondo questo autore, tale stadio comprende tre tappe fondamentali:
-
nessuna reazione;
- inizio di interessamento alla propria immagine;
-
reazioni di smarrimento e di disagio, sicuri indici di
riconoscimento.
Canestrari (1984) ha sintetizzato le diverse ricerche
sull'evoluzione della reazione allo specchio nel modo seguente:
- fino a
due/tre mesi il bambino non mostra alcun interesse per l'immagine nello
specchio;
- dai tre mesi inizia a guardare l'immagine altrui, ma non la
propria; risponde all'immagine altrui riflessa con gli stessi comportamenti che
adotta nei confronti dell'immagine reale: sorride, vocalizza, gesticola;
-
dai sei mesi inizia un comportamento "sociale" nei confronti della propria
immagine, come fosse un altro bambino da lui separato attraverso un vetro;
-
dagli otto mesi circa mette in atto comportamenti ripetitivi di osservazione: di
una mano, di un piede o della loro immagine alternativamente;
- a partire dai
dodici mesi, poi, nonostante ancora non si riconosca, inizia a differenziare il
proprio comportamento allo specchio da quello di fronte ad un coetaneo che
effettivamente si trovi al di là di un vetro;
- dopo i quindici/diciotto
mesi, ha come delle reazioni di stupore, di affascinamento e di evitamento di
fronte alla propria immagine che preludono al riconoscimento;
- intorno ai
due anni riconosce la propria immagine speculare e con essa i confini del sé
corporeo.
Man mano che sempre meglio prende coscienza del "proprio corpo", il
bambino conquista anche la possibilità di rappresentarselo mentalmente, dapprima
globalmente e poi in tutti i suoi dettagli (Le Boulch, 1981). Parallelamente,
grazie anche allo sviluppo della lateralizzazione e alla relativa capacità di
orientarsi topologicamente nello spazio (de Ajuraguerra, 1974), gradualmente
diviene sempre più abile nel rappresentare con significanti simbolici,
l'immagine di "un corpo umano".
Dallo schema all'immagine
Con il manifestarsi della
funzione simbolica, in quanto attività differenziante significanti da
significati ed evocazione di cose o avvenimenti non percepiti attualmente,
appaiono le immagini "imitazione" (Piaget, 1936). Ciò avviene perché
l'imitazione assicura la transizione tra il pensiero sensomotorio e quello
rappresentativo e perché l'immagine costituisce essa stessa un'imitazione
interiorizzata. Infatti, l'imitazione sensomotoria consiste in una specie di
rappresentazione attuale e in un'azione acquisita in un primo tempo soltanto in
presenza del modello; poi, quando è tale da poter assumere la sua forma
differita , cioè quando inizia un nuovo atto di imitazione in
assenza del modello, essa diventa una vera e propria evocazione.
Grazie allo
stesso procedimento di evocazione mediante imitazione, il gioco assume carattere
simbolico, il linguaggio diviene verbalizzato, il disegno inizia a corrispondere
alle immagini mentali.
Lo stadio del pensiero preoperatorio ,
quindi, si delinea come strutturato secondo le leggi dell'immagine
(Piaget e Inhelder, 1966a) e, in questo periodo, lo schema del corpo, al pari
degli altri schemi, si presenta come uno "schema in immagine". Infatti, se si
parte dall'assunto che "schema" sia uno strumento di generalizzazione che
permette di cogliere e di utilizzare gli elementi comuni a delle condotte
analoghe successive, allora esistono schemi percettivi, sensomotori ed operatori
ed esistono anche degli schemi in immagine, in quanto permettono al soggetto di
costruire delle immagini analoghe in situazioni paragonabili fra loro. Per cui,
la schematizzazione figurale dell'immagine verrebbe in vario modo influenzata
dagli schemi concettuali, mentre i concetti stessi, per altro verso, si
modellerebbero secondo la schematizzazione dell'immagine.
Su queste basi,
allora, lo schema del corpo diverrebbe immagine, intesa quale imitazione
interiorizzata, qualora il soggetto non imiti se non ciò che comprende o che sta
per comprendere (Piaget e Inhelder, 1966b). Questo subordina già l'imitazione al
funzionamento dell'intelligenza e consente all'immagine rappresentata di
acquisire una somiglianza più o meno adeguata, oltre che schematizzata, con
l'oggetto reale di cui diviene il simbolo.
L'obiettivo della nostra ricerca è verificare se la
capacità riconoscitiva, costruttiva e grafico/rappresentativa dello schema
corporeo, indagata attraverso alcune specifiche prove, si modifichi nel tempo e
come ciò avvenga. Per tale intento si è inteso confrontare il nostro precedente
studio trasversale (1994) condotto con soggetti di due livelli di età (17-31
mesi e 37- 56 mesi) con un successivo studio longitudinale condotto con gli
stessi soggetti ma a distanza di sedici mesi .
Mediante lo studio
trasversale avevamo potuto osservare come, da capacità inizialmente
solo, e anche molto debolmente, riconoscitive dello schema corporeo, il bambino,
col crescere dell'età, passi alla conquista di capacità costruttive ed anche
grafico/rappresentative sempre più evolute.
Se ad un anno e mezzo circa, età
dei soggetti più piccoli del nostro precedente campione, lo schema corporeo
sembra esistere nella mente in maniera molto frammentaria e comunque inespressa,
a partire dai due anni e mezzo ci è parso di notare un primo importante
avanzamento nelle prestazioni che ci ha fatto pensare ad un importante progresso
a livello dei contenuti cognitivi.
Ma è stato soltanto intorno ai quattro
anni che abbiamo notato un marcato scatto di qualità, sicuro indizio, a parer
nostro, della formazione dello schema in questione e della relativa capacità da
parte del bambino di rendere palese questa conquista.
Il senso del nostro
prosieguo longitudinale , allora, risiede innanzitutto nell'intento
di isolare la variabile età per poter meglio verificare se effettivamente l'età
critica per tale conquista sia collocabile intorno ai quattro anni.
Da una
comparazione fra i dati di provenienza longitudinale e quelli di provenienza
trasversale, ci aspettavamo, infatti, una conferma sulla situazione evolutiva a
questa età. Per questo motivo abbiamo atteso sedici mesi, il lasso di tempo
necessario perché la prima fascia di età considerata raggiungesse la
seconda.
Una seconda ragione del prosieguo risiede nel fatto che ci sembrava
interessante ottenere dati relativi all'ulteriore sviluppo dello schema
corporeo, essendo i soggetti più grandi del primo studio ormai giunti alle
soglie dei sei anni di età.
La metodologia utilizzata nei due studi è stata essenzialmente
identica:
mediante tre distinte fasi sperimentali composte di più items
consistenti in prove di riconoscimento, di costruzione e di
rappresentazione grafica, abbiamo voluto verificare:
- 1. come aumenta, con
l'aumentare dell'età, il numero delle parti del corpo e del viso che il bambino
sia capace di riconoscere sia su di sé che su un modello (fase di
riconoscimento );
- 2. come aumenta, con l'aumentare dell'età,
il numero delle parti del corpo e del viso che il bambino sia capace di
posizionare nella giusta maniera nel costruirne i relativi modelli (fase
di costruzione) ;
- 3. come aumenta, con l'aumentare dell'età, la
capacità di rappresentare graficamente l'immagine di una figura umana nelle sue
parti essenziali (fase di rappresentazione grafica) .
In
entrambi gli studi, abbiamo osservato gli "errori" e le omissioni alle
differenti prove e abbiamo, inoltre, osservato le analogie evolutive che
comparivano alle tre differenti performances.
Per il rilievo del tasso di
significatività delle differenze fra i risultati sia dei gruppi osservati
longitudinalmente che dei gruppi osservati trasversalmente, abbiamo applicato ai
dati, rispettivamente, il test di McNemar e il test di
Fisher.
Lo strumento
Il nostro strumento si è ispirato
ad alcune prove del test dello schema corporeo ideato da
Daurat-Hmeljak, Stambak e Berges (1969) e adattato da Lis, Venuti, Basile e
Finesso (1988) ai bambini in età prescolare. Ad esse ne abbiamo aggiunta una di
rappresentazione grafica, ispirata al test dell'omino di Goodenough
(1926).
Le prove consistevano nell'invitare i soggetti a:
- 1.
riconoscere parti di un corpo umano (testa, tronco, braccia, mani, gambe,
piedi)
a) su di sé,
b) su di un modello;
- 2. riconoscere parti di un
viso umano (capelli, occhi, naso, bocca, orecchie)
a) su di sé,
b) su di
un modello;
- 3. costruire un modello di corpo
a) utilizzando pezzi
sparsi,
b) a partire da una testa già posizionata;
- 4. costruire un
modello di viso
a) utilizzando pezzi sparsi,
b) a partire da un contorno
già tracciato;
- 5. disegnare liberamente "un uomo" su di un foglio di carta
bianca.
Le prove sono state somministrate ai bambini individualmente,
traendoli in disparte nella stessa aula e nello stesso orario in cui si
svolgevano le quotidiane attività scolastiche.
Per cercare di ridurre al
minimo l'influenza delle prove di riconoscimento e di costruzione sulla
rappresentazione grafica, abbiamo ritenuto opportuno distanziare quest'ultima
fase dalle altre due di alcuni giorni. Al disegno dell'uomo seguiva un breve
colloquio, esplicativo degli elementi che i bambini avevano inteso
rappresentare.
Il materiale
Il materiale, da noi appositamente
costruito disegnando su cartoncino, consisteva in:
- un disegno di corpo
umano raffigurato di fronte;
- un disegno di viso raffigurato di fronte;
-
pezzetti quadrati e rettangolari raffiguranti parti del corpo e del viso;
-
un foglio su cui era disegnata una testa;
- un foglio su cui era disegnato un
contorno di viso;
- fogli bianchi formato A4 e pastelli
colorati.
I
soggetti
La ricerca è stata condotta in un
asilo nido ed in una scuola materna di Castellammare
di Stabia. I soggetti, tutti di livello sociale medio, sono stati scelti dai
registri di classe sulla base dell'età minima e massima che intendevamo
osservare.
All'epoca dello studio trasversale, i soggetti erano ventotto:
dodici bambini e sedici bambine, di cui quattordici frequentanti l'asilo nido e
quattordici frequentanti la scuola materna. Per il prosieguo longitudinale,
però, non li abbiamo ritrovati tutti, perché alcuni si erano trasferiti; in
particolare, quattro bambine e due bambini.
Il nostro attuale campione,
perciò, si compone dei ventidue soggetti che abbiamo potuto intervistare
entrambe le volte.
Per l'analisi dei dati, abbiamo attribuito delle sigle
alle fasce di età osservate nel corso dei due studi, per cui abbiamo
chiamato:
- P1 la fascia di età cui apparteneva il gruppo di
soggetti più piccoli del primo studio: età 17-31 mesi
- G1 la fascia
di età cui apparteneva il gruppo dei soggetti più grandi sempre del primo
studio: età 37-56 mesi
- P2 la fascia di età cui appartiene il gruppo
dei soggetti più piccoli del primo studio, cresciuti di sedici mesi: età 37-47
mesi
- G2 la fascia di età cui appartiene il gruppo dei soggetti più
grandi del primo studio, cresciuti di sedici mesi: età 53-69 mesi.
Come
si può notare, la dispersione dei soggetti, che ha interessato soprattutto il
gruppo P1, non ci ha consentito di formare un gruppo P2 che arrivasse alla
stessa età dei G1: per questo motivo, per una più precisa analisi comparativa
fra le due fasce di età intermedia, in conclusione della nostra presentazione
dei risultati, riporteremo un grafico riassuntivo composto dei dati relativi ai
soli soggetti G1 e P2 le cui età parallelamente rientrano entro i limiti dei
37-47 mesi.
Fase di riconoscimento
I grafici 1a e 1b riportano i
dati relativi al riconoscimento delle parti del corpo rispettivamente su di sé e
sul modello. I grafici 2a e 2b riportano i dati relativi al riconoscimento delle
parti del viso su di sé e sul modello. Sull'asse delle ordinate la percentuale
dei soggetti che supera correttamente la prova.
In generale, tutte
le prove di riconoscimento, sia su se stessi che sul modello, sono risultate più
semplici per i nostri soggetti rispetto a quelle di costruzione; il che risulta
evidente in tabella 1, dove alla bassa o nulla significatività delle differenze
riscontrate alle prove di riconoscimento, corrisponde un'alta significatività
delle stesse alle prove di costruzione.
La testa è risultata
essere la parte più velocemente riconosciuta a tutte le età; i problemi per il
riconoscimento di braccia e gambe ,
orecchie e naso che avevamo riscontrato nel primo
studio per i bambini del gruppo P1, sembrano essere stati superati dagli stessi
ora cresciuti (P2), i quali si mostrano ormai abili quanto i loro coetanei del
primo studio (G1) che, a loro volta cresciuti (G2), nel secondo studio
confermano ancor più decisamente questa abilità. In tabella 1, infatti, si può
notare la non significatività delle differenze fra i gruppi G1 e P2, il che
testimonia il loro parallelismo evolutivo.
Le difficoltà per il
riconoscimento del tronco mostrate, invece, al primo studio tanto
dal gruppo P1 quanto dal gruppo G1, tendono a confermarsi a distanza di tempo
solo nel gruppo P2, avendole il gruppo G2 del tutto superate. Tale dato trova
conferma nel raffronto statistico riportato in tabella 1, dove alla bassa
significatività delle differenze fra le risposte di P1 e P2 corrisponde un'alta
significatività fra quelle di G1 e G2.
In compenso, bambini del gruppo P2 ci
sono sembrati velocissimi nel dare le loro risposte rispetto ai loro coetanei
del gruppo G1: per effetto della "ripetizione del compito" quasi prevenivano le
nostre domande nel corso di tutte le prove.
Graf. 1a: -
Riconoscimento delle parti del corpo su di sé (le percentuali si riferiscono
al numero dei soggetti che supera correttamente la
prova)
Graf. 1b:
Riconoscimento delle parti del corpo sul
modello
Graf. 2a:
Riconoscimento delle parti del viso su di sé
Graf. 2b:
Riconoscimento delle parti del viso sul
modello
Fase di
costruzione
I grafici 3a e 3b riportano i dati relativi
alla costruzione di un modello di corpo a partire, rispettivamente, da pezzi
sparsi o da un disegno cui era già stata posizionata la testa. Anche qui,
sull'ordinata, la percentuale dei soggetti che supera correttamente la
prova.
I grafici 4a e 4b riportano i dati relativi alla costruzione di un
modello di viso, rispettivamente senza o con il contorno già tracciato.
A
partire dall'insuccesso pressoché totale dei soggetti P1 già evidenziato nel
primo studio, abbiamo potuto notare, nel secondo studio, un sicuro sviluppo
negli stessi soggetti (P2) i quali ora, come già allora i loro coetanei G1,
costruiscono i modelli senza grandi difficoltà. Ma è, naturalmente, nella
evoluzione del gruppo G1 in G2 che si notano i maggiori successi a tutte le
prove. L'analisi statistica (v. tab. 1) evidenzia come all'alta significatività
delle differenze fra i gruppi considerati longitudinalmente (P1-P2 e G1-G2)
corrisponde una significatività nulla fra quelle dei gruppi G1 e P2,
appartenenti alla medesima fascia di età.
Durante la somministrazione delle
prove di costruzione del corpo a partire dalla testa già indicata e del viso a
partire dal contorno già tracciato, abbiamo avuto l'impressione che i bambini
provassero maggiori difficoltà che non nelle prove in cui la costruzione era
richiesta a partire semplicemente da pezzi sparsi. Non costruendo affatto i più
piccoli (P1) e costruendo speditamente i più grandi (G2), tale osservazione si
riferisce a quelli di età intermedia (G1 e P2).
Così pure, per gli stessi
bambini, risulta difficile posizionare correttamente pezzi che richiedono una
distinzione fra posizione destra e posizione sinistra: è il caso delle
braccia e delle gambe per il corpo, degli
occhi e delle orecchie per il viso.
Ci sembra
interessante, a questo punto, citare alcuni degli "errori" tipici che essi
compivano nel costruire il modello:
- il tronco veniva
posizionato capovolto o girato;
- le braccia venivano poste
lateralmente alla testa;
- le gambe venivano fatte partire
direttamente dalla testa;
- gambe e braccia destre
venivano invertite con quelle sinistre;
- così pure occhi e
orecchie ;
- bocca e naso si
presentavano capovolti.
Graf. 3a: Costruzione
di un corpo a partire da pezzi sparsi
Graf.3b: Costruzione
di un modello di corpo a partire dalla testa già posizionata
Graf. 4a: Costruzione
di un modello di viso a partire da pezzi sparsi
Graf. 4b: Costruzione
di un modello di viso a partire da un contorno tracciato
Tabella 1 -
Significatività delle differenze fra i gruppi *
* Per i gruppi osservati
trasversalmente (G1 e P2) abbiamo applicato il test non parametrico per
due campioni indipendenti di Fisher; per quelli osservati
longitudinalmente (P1-P2 e G1-G2) il test non parametrico per due campioni
dipendenti di Mc Nemar (Siegel, 1956).
Fase di
rappresentazione grafica
Nel nostro precedente lavoro (1994) in
cui sono riportati i risultati dello studio trasversale, avevamo osservato i
disegni dei bambini ispirandoci alla classica analisi di Stern (1968) delle tre
linee evolutive che dallo scarabocchio portano, per fasi alterne e
successive, alla rappresentazione dell'uomo.
Da tracciati
manifestamente non intenzionali e fatti di semplici linee, con cui i soggetti
più piccoli del nostro campione risolvevano il compito di disegnare "un uomo"
(v. dis.1), avevamo potuto osservare un iter che conduceva verso configurazioni
in cui le parti essenziali del corpo e del viso erano facilmente individuabili
(v. dis. 2).
Mediante il nostro secondo studio, col quale longitudinalmente
abbiamo potuto seguire i soggetti in una fase evolutiva ulteriore, abbiamo
notato come anche questo stadio viene superato a favore di un ridimensionamento
metrico delle varie parti e di una maggiore riconoscibilità figurale di queste
ultime (v. dis. 3a e 3b).
Nelle fasi intermedie, abbiamo trovato forme
tondeggianti, questa volta quasi intenzionali, evolversi in strutture a cerchio
e spirale, già accennanti a teste e corpi, ma prive della competenza topologica
fondamentale (v. dis. 4a e 4b). Oppure, forme più evolute già rappresentanti uno
schema a partire da un asse mediano di riferimento, evolversi in una chiara
forma di testa, che, mediante i tratti espressivi di un volto, evidenzia quanto
della figura umana più immediatamente interessa (v. dis. 5a e 5b).
Nello
stesso periodo, linee/tronco che apparivano parallele e sovrastate da una enorme
testa, si congiungono due volte a significare la demarcazione
testa-tronco-gambe: conquista che ci sembra fondamentale spia della evoluzione
dello schema corporeo (v. dis. 6a e 6b).
Ma, fra le soglie dei quattro anni e
il sorpasso dei cinque, un'ulteriore, decisiva evoluzione abbiamo potuto notarla
in omìni che, seguendo il linguaggio di Stern, avevamo definito
patata ed ora appaiono sagomati nel corpo ed espressivi nel viso
(v. dis. 7a e 7b). Oppure in omìni testone che acquistano rapporti
euclidei fra le parti, posizionamento corretto degli elementi, arricchimento di
particolari tanto nel volto quanto nel corpo (v. dis. 8a e 8b).
Non sempre,
tuttavia, ciò si produce in tutti i casi: proprio il soggetto più grande del
nostro campione, ad esempio, rappresenta la sua figura umana con una sagoma,
che, sia pur evoluta rispetto alla precedente per un avvenuto proporzionamento
fra le parti che la compongono, risulta tuttora carente di alcuni contenuti
essenziali solitamente presenti nei disegni dei bambini di sei anni (v. dis. 9a
e 9b).
Quest'ultima considerazione trova conforto nella letteratura
sull'argomento dove, da più parti, si nota come il disegno del bambino, pur
seguendo una linea evolutiva generalizzabile, resta fortemente influenzato da
fattori soggettivi ed esperenziali dovuti alle cause più diverse, fra cui la
familiarità con gli strumenti stessi dell'espressività grafica (Pizzo-Russo,
1977; Oliverio-Ferraris, 1978; Carbonara-Moscati, 1983; Boggi-Cavallo,
1991).
Disegni
Dis. 1 - Rita, 17 mesi
(P1)
Dis. 2 - Davide,
56 mesi (G1)
Dis. 3a -
Francesco, 52 mesi (G1)
Dis. 3b - Francesco a 68 mesi (G2)
Dis. 4a - Pamela a 24 mesi (P1)
Dis. 4b - Pamela a 40 mesi (P2)
Dis. 5a - Chiara, 31 mesi (P1)Dis. 5b - Chiara a 47 mesi (P2)
Dis. 6a - Alessio, 31 mesi (P1)Dis. 6b - Alessio a 47 mesi (P2)
Dis. 7a - Marco, 47 mesi (G1)Dis. 7b - Marco a 63 mesi (G2)
Dis. 8a - Emilia, 43 mesi (G1)Dis. 8b - Emilia a 59 mesi (G2)
Dis. 9a - Massimiliano a 53 mesi (G1)
Dis. 9b - Massimiliano a 69 mesi (G2)
Comparazione fra le prove
Abbiamo voluto, a
conclusione della nostra analisi, isolare i dati dei soggetti della seconda
fascia di età del primo studio, raccolti con metodologia trasversale, e quelli
dei soggetti loro coetanei, raccolti con metodologia longitudinale. Lo scopo è
stato quello di poter comparare i livelli di abilità mostrata dai due gruppi
nell'esecuzione delle prove ai due differenti studi, per confermarci
nell'ipotesi che sia solo a partire dal quarto anno di vita che lo schema
corporeo si rende palese nelle sue relative rappresentazioni.
Graf. 5: Comparazione
fra i due gruppi della fascia intermedia alle tre fasi
sperimentali
Ma poiché, come già accennato prima, alcuni soggetti si
erano nel frattempo "dispersi", per una più puntuale comparazione abbiamo
selezionato i soli soggetti le cui età erano effettivamente comprese entro i
limiti di quelle dei soggetti ritrovati (37-47 mesi).
Abbiamo, così,
tracciato un grafico riassuntivo dei dati ottenuti alle tre fasi sperimentali:
riconoscimento, costruzione e rappresentazione grafica
da parte dei gruppi G1 e P2 evidenziando, in un ideale profilo, gli
elementi del corpo e del viso di volta in volta riconosciuti, costruiti e
disegnati dai nostri soggetti della fascia intermedia (v. grafico 5).
Come si
può notare, l'andamento delle linee rappresentanti i due gruppi procede, in
tutte e tre le fasi, in modo alquanto parallelo. Ciò conforta la nostra ipotesi
dell'esistenza di un livello di abilità sufficientemente critico nella
rappresentazione dello schema corporeo nel corso del quarto anno di
vita.
Lo scopo della nostra ricerca era quello di poter osservare lo sviluppo della
capacità rappresentativa dello schema corporeo nei primi sei anni di vita, a
partire dall'età in cui i bambini siano in grado di fornire rappresentazioni
obiettivamente osservabili e di applicarsi in un compito che richieda risposte
mirate.
Perciò le nostre osservazioni si sono prodotte a partire dai
diciassette mesi di vita e ad arrivare ai sessantanove; età, quest'ultima, in
cui in genere i bambini nelle loro diverse attività quotidiane, ampiamente
dimostrano di possedere tale capacità ad un buon livello di
sviluppo.
Attraverso la somministrazione di prove di
riconoscimento di parti del corpo su di sé e su un modello, prove
di costruzione di un modello di corpo e di viso e prove di
rappresentazione grafica di un "uomo", abbiamo cercato di cogliere
il nascere e le prime fasi dello sviluppo di queste tre abilità, considerate in
tema con la capacità che ci interessava studiare.
La ricerca si compone del
confronto fra due studi: un primo studio condotto trasversalmente su due gruppi
di bambini le cui rispettive fasce di età erano comprese fra 17-31 mesi e 37-56
mesi, e un secondo studio che lo riprende longitudinalmente dopo sedici mesi
quando, cioè, i soggetti della prima fascia di età avevano raggiunto quella
della seconda fascia e quelli della seconda fascia avevano un'età che ci dava
modo di completare le nostre osservazioni su una terza fascia di età (53-69
mesi).
La doppia metodologia utilizzata ci ha consentito di cogliere,
trasversalmente, l'evoluzione dello schema corporeo a tre livelli di età e,
longitudinalmente, l'evoluzione degli stessi soggetti a due livelli di età. Ci
ha consentito, inoltre, di confermare i risultati sulla situazione evolutiva dei
soggetti di livello di età intermedio, avendoli ottenuti due volte, di cui la
seconda isolando la variabile età.
La capacità rappresentativa dello schema
corporeo, dunque, evolve, a partire dai diciassette mesi, da un'unica ed anche
alquanto debole abilità riconoscitiva, per poi passare, intorno ai quarantasette
mesi, ad una sorprendente abilità costruttiva cui fa seguito, a breve distanza,
una corrispondente abilità grafica. Tali abilità si consolidano, confermandosi,
intorno ai sessanta mesi.
Esiste, certamente, una oscillazione personale
dovuta a diversi fattori di ordine soggettivo ed esperenziale, ma, in generale,
ci è parso di individuare, nell'arco di vita osservato, tre momenti critici: i
diciassette/ventuno mesi per una fase rappresentativa iniziale, i
quarantasette/cinquantadue mesi per una fase rappresentativa intermedia, i
sessantaquattro/sessantanove mesi per una fase rappresentativa chiaramente
evoluta e comunicabile all'esterno.
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