Michele Cesaro, Gerarda Siani 

Dinamiche affettive nei fratelli dei soggetti down

Introduzione


Lo sviluppo, così come descritto dalle recenti formulazioni, avverrebbe per processi interpersonali che vanno al di là della sola interazione madre-bambino per collocarsi all'interno di un contesto relazionale che vede coinvolti padre, fratelli, coetanei e tutte le figure con le quali l'individuo entra in contatto lungo l'intero l'arco della vita.
Viene da sé che tali riflessioni hanno sollecitato gli addetti a porre attenzione non solo alla relazione genitori-figli ma anche a quella tra germani, perdipiù se coetanei.
Vivere con un fratello costituisce per il bambino una irripetibile occasione sociale, in quanto egli viene posto nell'opportunità di sperimentare la competenza che via via va apprendendo, in un microsistema (Bronfenbrenner, 1986 in Sameroff-Emde, 1991) qual è quello familiare, fatto di cose e persone conosciute, immagine ridotta di uno scenario più complesso qual è quello sociale.
Tuttavia, per certi versi, il legame fraterno è costrittivo, nel senso che è un legame difficilmente rescindibile, almeno da un punto di vista psicologico (Oliverio Ferraris, 1989).
Così come viene sottolineato da A. Adler, i fratelli svolgono un ruolo importante nello sviluppo della personalità, fungendo da modelli, stimoli al successo, termini di confronto.
Ma "Il bambino può non amare necessariamente i suoi fratelli" (Freud, 1917) perché con essi deve contendere "l'amore dei genitori, per la proprietà comune, per lo spazio in cui muoversi".
Lo studio della diade fraterna "normale" ha sollecitato l'interesse nei riguardi di quella relazione fraterna in cui uno dei due partners è portatore di un handicap psichico.
"Nella reale assenza di un rapporto paritetico essi sono nell'impossibilità continua e prolungata di avere quegli scambi affettivi ed intellettuali che avvengono di norma tra i fratelli" (Lucarelli, Mayer, Mineo, Preve-Lecco, 1991).
J. Dunn (1984) sottolinea l'impossibilità per questi fratelli di realizzare l'imitazione, la cooperazione e l'alleanza in opposizione ai genitori.
Al tempo stesso, l'espressione della rivalità fraterna viene in questo caso sublimata perché moralmente non accettata.
La dedizione esclusiva delle madri nei confronti del bambino ritardato riduce tempo ed attenzione da dedicare agli altri figli sollecitando in essi sentimenti di colpevolezza per la gelosia e la rivalità esperiti nei confronti del fratello (Mchale e Gamble, 1989).
Non è da sottovalutare, inoltre, l'aggravio di responsabilità a cui vanno incontro, soprattutto le sorelle maggiori, che, insieme agli altri elementi sopracitati può condurre i fratelli sani a sviluppare problematiche relative alla sfera emotiva (Mchale e Gamble, 1989).


Obiettivi


Le notizie desunte in letteratura descrivono il vissuto del fratello "normodotato" come connotato da un sentimento di perdita che si sostanzia secondo noi da una parte, nell'impossibilità di realizzare un rapporto fraterno "normale", dall'altra, le cure materne esclusive dedicate al più svantaggiato sollecitano nel fratello sano la percezione di un maternage precocemente interrotto.
Riteniamo inoltre che tale vissuto si riveli più intenso nelle sorelle, spesso più responsabilizzate rispetto ai figli maschi.
Relativamente alla variabile "età", pensiamo di poter trovare prove più evidenti alla nostra ipotesi nelle fasce pre e post adolescenziale laddove evidentemente i sentimenti conflittuali vengono esacerbati dai peculiari vissuti di quest'età.
Infine ci aspettiamo di vedere realizzato un migliore equilibrio affettivo nei soggetti appartenenti a fratrie di numero superiore a due cioè in coloro che possono condividere la propria condizione con un altro pari.


Metodologia


a) IL CAMPIONE
I soggetti sono 100, suddivisi in un gruppo d'osservazione (fratelli/sorelle di bambini down) costituito da 50 soggetti (25 maschi e 25 femmine) e da un gruppo di controllo equivalente.
I soggetti del gruppo di controllo sono stati estratti a caso da una popolazione scolastica di una città di provincia; sono stati esclusi tutti i soggetti che in qualche modo avessero vissuto nell'ultimo anno eventi stressanti (morte di un familiare significativo, divorzi, malattie gravi).
I soggetti del gruppo d'osservazione sono stati reperiti presso l'Associazione Sindrome di Down di Napoli ed altre strutture operanti nel campo (centri riabilitativi e medico psico-pedagogici).
Sono state escluse da entrambi i gruppi i soggetti appartenenti a fratrie di numero superiore a tre per evitare complessificazioni delle dinamiche familiari.
Per ogni fratria è stato scelto il primogenito tranne tre casi in cui quest'ultimo è il bambino Down.
La scelta non è stata casuale perché crediamo che il primo nato si presti meglio, da una parte, ad esasperare certe dinamiche psicologiche e, dall'altro, finisca per essere il più responsabilizzato.
Abbiamo anche scelto di escludere i soggetti in età adolescenziale in modo da evitare almeno in parte che eventuali risultati positivi al C.D.I. possano essere addebitati alla variabile "turmoil adolescenziale".
Per cui entrambi i gruppi, d'osservazione e di controllo, sono stati ulteriormente suddivisi in un gruppo di età compresa tra 7-14 anni ed un altro di giovani adulti tra i 18-21 anni.
L'inserimento di quest'ultimo gruppo è stato suggerito dall'ipotesi che l'approssimarsi all'età adulta ponga i nostri davanti all'improcrastinabilità di alcune responsabilità nei confronti del fratello Down.

b) STRUMENTI E TECNICHE D'INDAGINE
A tutti i soggetti è stato somministrato il C.D.I. (Children Depression Inventory) di Kovacs, una scala di autovalutazione della depressione utilizzabile con soggetti dagli 8 ai 17 anni d'età.
Abbiamo ritenuto opportuno poter estendere la somministrazione a soggetti di qualche anno più grandi (18-21 anni).
La scala si presenta sotto forma di questionario "carta e penna" composto da 27 items, ognuno con tre possibilità alternative di risposta.
Ogni risposta si situa su una scala che va da zero a due punti nella direzione di una gravità crescente della sintomatologia; il punteggio totale può variare quindi da zero a 54.
I valori al limite della soglia patologica sono compresi tra 16 e 18 punti mentre i "patologici" sono maggiori di 19. Il questionario è stato somministrato singolarmente ad ogni soggetto in entrambi i gruppi.

Gli esiti sono stati ricavati dal confronto tra i gruppi d'osservazione e quelli di controllo (t di Student) operato in base alle variabili:
- punteggio totale al C.D.I
- sesso (M / F)
- età (8-14 / 18-21)
- fratria (2 / 3)
Laddove i confronti sono risultati significativi abbiamo calcolato la misura delle correlazioni (r di Pearson; rpb). Inoltre con ciascun fratello abbiamo condotto un colloquio con l'intento di descrivere la relazione con il proprio germano Down nei suoi momenti più significativi (vita familiare, gioco, scuola) cercando di mettere in luce gli eventuali nodi conflittuali di questo rapporto.
Abbiamo, ancora, svolto un colloquio con i genitori al fine di conoscere i loro sentimenti alla nascita del bambino Down, come il loro atteggiamento abbia influenzato la qualità del rapporto fraterno e quali aspettative essi nutrano nei confronti del figlio sano.


Descrizione dei risultati


Il confronto tra gruppi (TAB. 1) indica una rilevante differenza tra i punteggi al C.D.I. sia nel gruppo dei ragazzi (C1/S1) sia nei diciotto-ventenni (C2/S2).

Tab. 1 - CONFRONTO C1/S1 E C2/S2 IN BASE AL PUNTEGGIO C.D.I.

I punteggi riportati dai due gruppi d'osservazione pur essendo più elevati rispetto a quelli dei gruppi di controllo si situano al di sotto della soglia di limite psicopatologico (16/18 punti).
Successivamente abbiamo operato dei confronti intergruppi in base alla variabile "età" per valutare intorno a quale fascia si addensassero maggiormente le differenze. A questo proposito risultano significativi solo i raffronti che vedono coinvolti i gruppi pre e post-adolescenziali, per cui probabilmente la variabile "turmoil adolescenziale" rappresenta una minaccia alla validità dei risultati (Tab. 2 e 3).

Tab. 2 - CONFRONTO INTERGRUPPI C1/C2 IN BASE ALLA VARIABILE "ETÀ".

Tab. 3 - CONFRONTO INTERGRUPPI S1/S2 IN BASE ALLA VARIABILE "ETÀ".

Per quanto riguarda la variabile "sesso", i confronti nel gruppo d'età 8-14 anni tra maschi e femmine non mostrano significative differenze né nel gruppo d'osservazione né in quello di controllo, mentre all'interno della fascia d'età 18-21 anni i maschi del gruppo d'osservazione riportano punteggi al C.D.I. discretamente più elevati rispetto a quelli delle femmine mentre, tali differenze non sono riscontrabili nel gruppo C2 (controllo 18-21 anni) (Tab. 4 e 5).

Tab. 4 - CONFRONTI INTERGRUPPO C1 E C2 IN BASE ALLA VARIABILE "SESSO".

Tab. 5 - CONFRONTI INTERGRUPPO S1 E S2 IN BASE ALLA VARIABILE "SESSO".

Considerando, infine, i rapporti tra le fratrie (F2/F3) rileviamo una significativa differenza solo in corrispondenza della maggiore età (18-21 anni) (Tab. 6 e 7).

Tab. 6 - CONFRONTO INTERGRUPPI C1/C2-S1/S2 IN BASE ALLA VARIABILE "FRATRIA".

Tab. 7 - MISURA DELLE CORRELAZIONI TRA LA VARIABILE "FRATRIA" E LA VARIABILE "CDI".


Resoconto dei colloqui


Attraverso i colloqui condotti dapprima con i genitori e poi con il fratello del bambino Down abbiamo tentato di dare una veste agli scarni risultati statistici precedentemente illustrati.
Era soprattutto nostra intenzione descrivere il vissuto dei protagonisti adottando come punto di partenza la realtà della vita quotidiana.
Già ad una prima analisi dell'interazione comportamentale, abbiamo potuto riscontrare, come segnalato in letteratura (Abramovitch, Stanhope, Pepler, Corter, 1987) che, essendo la partecipazione sociale del Down a carattere reattivo più che proattivo, una differenza risiederebbe nell'assunzione statica del ruolo di "leader" da parte del fratello normodotato e del ruolo di "follower" da parte del Down.
Questa rigidità di schemi lascia presupporre che il fratello sano percepisca e si adatti alle esigenze e ai limiti del Down adottando nei suoi confronti uno schema improntato all'accudimento.
Inoltre ci è sembrato poter mettere in evidenza ancora due elementi: l'adesività che caratterizza questo rapporto induce nel fratello sano la percezione di non potersi sottrarre ad una relazione quasi gemellare.
Non sempre i fratelli si accettano incondizionatamente, anzi a volte, il rifiuto proviene dallo stesso bambino Down che si nega a quei giochi che potrebbero costringerlo a fare i conti con la propria goffaggine, inducendo in lui un profondo senso di frustrazione nel constatare di non essere all'altezza del fratello. Raramente i soggetti da noi intervistati hanno accennato alle difficoltà incontrate nello gestire alcuni atteggiamenti del Down come la caparbietà, il capriccio, l'aggressività.
Solo i più grandi cercano di farsi valere, in virtù del "potere genitoriale" di cui essi sono investiti; quando invece si tratta di ragazzini (8-14) abbiamo notato una tendenza a non affrontare in prima persona il fratello Down ma a chiedere piuttosto l'intervento dei genitori.
Qui si potrebbe sia ipotizzare che il litigio venga preso a pretesto per costringere il genitore a prendere una posizione dall'una o dall'altra parte, sia pensare ad un timore del fratello sano nell'affrontare un aspetto ignoto e minaccioso.
Litigare con un proprio simile significa poter fare riferimento a degli schemi conosciuti in quanto al tempo stesso propri e condivisi dall'altro.
Nel caso del fratello Down, l'irrazionalità delle sue reazioni improvvisamente aggressive da una parte, il senso di colpa che prontamente giunge ad inibire qualsivoglia reazione difensiva dall'altra, concorrono nel far si che il fratello sano non viva mai completamente gli affetti fraterni.
Infatti fin dalla nascita del bambino Down, le normali dinamiche affettive di gelosia e rivalità vengono ad esacerbarsi subendo però anche notevoli alterazioni nelle loro espressioni.
Il bambino percepisce subito che intorno a questo fratello si stringono in un cerchio protettivo tutti i familiari: la gelosia per l'esclusività perduta è immensa proprio perché questo nuovo nato è si malato, ma diverso, speciale e per questo accudito di più.
Ben presto qualche maldestro tentativo di aggressione nei suoi confronti indurrà i genitori a redarguirlo severamente e subito dopo a porlo in una condizione di colpevolezza per aver attentato ad un piccolo indifeso.
Precocemente quindi, il fratello normodotato viene "plasmato" sulla figura dell'altro fratello: "Stai attento a non fargli male", "fallo giocare", "lascia perdere", sono tutte espressioni familiari che concorrono a sollecitare sentimenti intolleranti ma al tempo stesso inesprimibili.
Nel campione da noi indagato solo pochi soggetti, per giunta giovanissimi d'età hanno accennato ai sentimenti ambivalenti nei confronti dei loro fratelli. In genere, abbiamo notato che più adulti sono e più tendono a nascondere questi loro vissuti contrastanti.
Ma sono stati molto più frequenti osservazioni del tipo: "Per me è normale"; "Quasi non me ne accorgo più"; "Forse in fondo non c'è differenza"; "Non mi pesano le responsabilità che ho".
Essere dei "buoni fratelli" diventa quindi espressione di un eccessivo controllo delle pulsioni aggressive che altrimenti non verrebbero espresse perché moralmente non accettate.
Se nelle normali dinamiche psicologiche tra fratelli "l'intruso" viene combattuto con ostilità, in questo caso le remore morali imposte dal Super-Io potrebbero inibire gli attacchi aggressivi nei confronti del rivale, che finirebbero quindi per ritorcersi sull'Io destabilizzando il senso di autostima.
La difficoltà ad esprimere l'ostilità potrebbe, ancora, intralciare il processo di spostamento della rivalità nei confronti del genitore dello stesso sesso sul fratello e quindi complicare la dinamica edipica sollecitata dalla nascita dell'"intruso".
Se nelle normali dinamiche identificatorie il fratello sta per il padre e ciò significa realizzare un'identificazione con un'imago e possedere l'oggetto, in questo caso lo "specchio" rifletterà un'immagine deforme e svalutante di se stessi.
"Un fratello handicappato porta con sé meccanismi d'identificazione negativa che rendono molto difficile riconoscersi come adulto sano e normale" (Pfenner, 1981).
Il termine "normale" ricorre con frequenza nei colloqui, in quello dei genitori soprattutto, chiamati anch'essi a meditare tra senso di colpa, frustrazione, aggressività, spesso scarsamente verbalizzati, ma vissuti profondamente con sofferenza.
L'ambivalenza nei confronti del figlio sano viene a declinarsi da una parte nell'esternazione di una generica "preoccupazione" nei suoi riguardi, dall'altra nelle innumerevoli richieste esplicite o implicite che richiamano alla mente l'idea di un figlio sano che deve compensare la nascita di quello malato.
Abbiamo infatti notato come, questi ragazzi percepiscono che nei loro confronti vengono nutrite aspettative maggiori o forse, essi stessi sentono di potersi differenziare in quell'unico modo che al fratello Down non è possibile, realizzandosi cioè nella vita sociale e professionale.
In special modo vogliamo segnalare la particolare condizione dei fratelli adulti (18-21 anni) dei soggetti Down.
Essi sono spesso costretti a formulare i progetti relativi al proprio futuro tenendo conto anche delle esigenze del cosiddetto "bambino geriatrico" (Lucarelli et altri, 1991), cioè del Down che nonostante l'età adulta è ancora un bambino che necessita di quelle cure che i genitori per l'età avanzata o per la morte sopragiunta non possono più dispensargli.
Abbiamo notato come specie le figlie femmine, sentendo ancora l'eco di retaggi culturali, si sentano votate a sostenere il ruolo materno a cui la propria madre, stanca ed anziana, abdica.
Nelle famiglie dove è presente un unico figlio maschio adulto sano, questi accetta il ruolo di tutore anche se questa sua accettazione appare spesso condizionata dalla decisione dell'attuale o futura partner.
Invece, quando in casa è presente anche una sorella accade che sia quest'ultima ad accollarsi più o meno volontariamente la responsabilità del fratello ritardato, anche a costo di pesanti rinunce affettive.
I soggetti di sesso femminile tendono inoltre, a riferire della propria esperienza con il fratello Down in termini squisitamente affettivi ricorrendo in maggiore misura all'espressione di sentimenti positivi nei suoi confronti e alla rivalutazione della sua persona da questo punto di vista.
I ragazzi, invece, sembrano mostrarsi oltre che più reticenti riguardo alla dimensione affettiva, anche più avviliti rispetto al futuro forse perché, sempre in virtù di un retaggio culturale, essi sentono la necessità di realizzarsi professionalmente garantendo il fabbisogno anche al fratello Down.


Conclusioni


L'ipotesi circa una eventuale problematicità del rapporto fraterno con un soggetto Down, così come suggerita in letteratura, viene confermata dal contenuto dei colloqui da noi condotti.
Sin dalla nascita del bambino ipodotato vengono a porsi le premesse per una (alterazione) delle normali dinamiche affettive.
Il lutto per il figlio normale mai nato induce le madri a stabilire un legame di tipo esclusivo con il figlio Down. Tale difesa viene sostenuta dai padri che contribuiscono a far si che l'equilibrio familiare venga ad identificarsi con il benessere del bambino.
In 40 famiglie su 50 da noi intervistate il bambino normodotato non è stato messo al corrente dai genitori circa le condizioni del fratello Down; la scoperta è avvenuta nel tempo attraverso i confronti con i coetanei.
Anche questo elemento ci sembra costituire la riprova della difficoltà da parte dei genitori ad accettare, almeno inizialmente, la condizione di anormalità del proprio figlio.
Eventuali problematiche inerenti al rapporto tra fratelli vengono sistematicamente minimizzate dai genitori che nella maggior parte dei casi ha accolto con perplessità la nostra indagine.
La perplessità è a nostro avviso il segno di una normalità che diventa la posta in gioco di una strategia difensiva fondata sulla negazione dei sentimenti ambivalenti nei confronti del figlio diverso.
Seguendo l'esempio genitoriale, il rapporto fraterno viene a costruirsi giocoforza, sulla scotomizzazione dei sentimenti di gelosia, invidia, rabbia che vengono convertiti dal fratello sano in un'assoluta dedizione nei confronti del fratello meno fortunato.
Tale sollecitudine può rappresentare da una parte, una reazione alla mancanza di attenzione da parte dei genitori dai quali i figli sani ricercano approvazione mettendo in atto comportamenti compiacenti dall'altro, espressione di un eccessivo controllo delle pulsioni aggressive che, non potendo essere apertamente espresse in quanto moralmente non accettate, devono essere necessariamente sublimate e tradotte in sentimenti riconosciuti come consoni dalle aspettative genitoriali.
Ma soddisfare le aspettative dei genitori significa anche poter agire una rivalsa nei confronti del fratello Down compensando con i successi nella scuola, nel sociale, nel mondo del lavoro, le scarse possibilità del fratello ipodotato.
Vanno evidenziate alcune importanti differenze rispetto all'età e al sesso. I soggetti tra gli 8-14 anni hanno riferito della propria condizione privilegiando l'ottica temporale del "qui e ora" e soffermandosi quindi sulla descrizione della quotidianità del loro rapporto (la scuola, gli amici, a casa).
I 18-20enni invece, sembrano avere oggettivato la propria esperienza, percependola come problematica soprattutto nella prospettiva del futuro.
Tutti i giovani si sono detti disponibili nell'accollarsi le responsabilità relative all'accudimento del fratello Down, sebbene le ragazze abbiano mostrato uno slancio e una dedizione assoluti che viceversa, non abbiamo riscontrato nei ragazzi, più intenti a cercare di realizzarsi nell'ambito sociolavorativo. In essi ci è parso di ravvisare un certo disagio sia nel viversi in un ruolo assistenziale tradizionalmente definito per cultura femminile, sia nel saper vivere e riferire della relazione fraterna nella sua dimensione più squisitamente affettiva.
Nessuno dei soggetti, maschi e femmine, ha espresso la preoccupazione di poter generare un figlio handicappato, sebbene questa paura sia presente implicitamente nel timore espresso che, la presenza di un Down in famiglia possa sollecitare nei partner paure relative alla procreazione e di conseguenza aggiungiamo noi, possa sollecitare il rifiuto nei confronti dello stesso fratello sano.
L'elaborazione dei risultati al C.D.I. conferma l'ipotesi di una maggiore vulnerabilità al disturbo affettivo, sebbene gli esiti non siano collocabili a livello di soglia patologica (16-18 punti).
Possiamo addurre la differenza riscontrata nel confronto con il gruppo di controllo ad un processo di sviluppo accellerato dalle precoci iperresponsabilizzazioni, nonché dalla mancata piena soddisfazione dei bisogni di dipendenza.
Il C.D.I. conferma inoltre l'ipotesi per cui il gruppo che sembra riflettere maggiormente le specifiche difficoltà della propria condizione è quello dei soggetti tra i 18 ed i 21 anni, alle prese con la necessità di dover pianificare il proprio futuro anche in funzione della responsabilità che erediteranno. In particolare anche il C.D.I. fornisce un ritratto dei giovani maschi adulti come coloro che si trovano più in difficoltà nel dover fronteggiare psicologicamente il ruolo di fratello-tutore.
Abbiamo inoltre potuto considerare, confrontando i punteggi ottenuti dai soggetti appartenenti alle fratrie di due con quelli appartenenti alle fratrie di tre che, poter condividere la propria condizione con un altro fratello può contribuire a ridurre il disagio psicologico.
Infine, vorremmo sottolineare come il nostro contributo lungi dal proporre una patologizzazione della famiglia in questione, suggerisca invece, la necessità di un intervento di sostegno teso a migliorare l'adattamento all'handicap, attraverso il potenziamento delle risorse del "sistema famiglia".

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