Psicoterapia o Pillole?
di Carlo Cerracchio - Psicoterapeuta     

carlo.cerracchio@aipep.com

Qualche settimana fa, ora siamo all'inizio di marzo 1999, un settimanale tra i più seguiti ha offerto tra i consueti gadget che servono ad aumentare le vendite, un opuscolo sulla depressione, una sorta di compendio sulla malattia più temuta dai seguaci della vita frenetica, dagli ammalati del tempo e della performance, per parafrasare uno spot idiota, o da quelli come la deficiente ipercinetica della pubblicità di un antiflogistico, che terrorizzata dal raffreddore, s'imbottisce del farmaco per non rinunciare ad andare in palestra o ad una serata galante.

Il libretto, redatto dall'Associazione Psichiatrica Italiana, propone un'esauriente spiegazione di tutte le caratteristiche del male oscuro, dai sintomi alle cause, chiarendo definitivamente che, con buona pace di chi perde ancora tempo con chiacchiere, sogni, lapsus e transfert, per guarire dalla depressione non c'è altra strada che l'uso di farmaci.

A conferma della "assoluta scientificità" delle argomentazioni proposte in merito alla determinazione organica del disturbo depressivo, e alle conseguenti indicazioni terapeutiche che assegnavano alla psicoterapia il ruolo di "possibile coadiuvante in caso di depressione lieve", il papiro in questione proponeva che "nel depresso si osservano modificazioni nella chimica cerebrale".

Sarebbe stato interessante proporre ai nostri cari psichiatri divulgatori le osservazioni sulla modifica della chimica cerebrale avvenuta nel mio cervello nell'impeto d'ilarità dovuto alla lettura di simili baggianate.

E' ovvio che ogni emozione, e quindi gli stati affettivi patologici come la depressione, ha un suo corrispettivo fisiologico, assurdo sarebbe il contrario. Il fatto grave è che si propagandano importanti osservazioni scientifiche, come quelle in merito alla concentrazione di glucosio, o alle modifiche neurotrasmettitoriali che si evidenziano nel cervello nei casi di depressione e che ci aiutano a conoscere sempre meglio la fisiologia umana, come ineluttabili spiegazioni in merito alla causa e quindi alla corrispondente terapia dei disturbi psichici.

Non appare oscuro, in questo caso, quale peso possa avere l'interesse dell'industria farmaceutica in tali campagne informative, che ormai fanno del caso descritto solo un trascurabile esempio. E da queste campagne non si salvano neanche i ragazzi: è noto il caso di un'associazione nata nei lugubri meandri del santuario pisano dell'estrema ortodossia psichiatrica, dove un vate in camice assolve a secchiate di pasticche gli indemoniati psichici, che ha svolto una vasta campagna nelle scuole d'Italia a favore del trattamento psicofarmacologico del disagio psicologico giovanile.

Esiste un'informazione sanitaria, e soprattutto psico-sanitaria, a senso unico, il mercato del disagio psicologico è troppo allettante e il mito della pillola panacea alberga indisturbato nei luoghi oscuri della nostra cultura.