La storia di R. F.

Dott.ssa Pozzi:

Ho incontrato la signora R.F. in un momento della sua vita in cui si era rotto, con la morte della madre, l'anello più prossimo a lei della catena vitale cui era legata e che andava evidentemente immediatamente sostituito con un altro legame e un'altra dipendenza. Ci siamo viste per un primo contatto su invio dello psichiatra del CPS nel Marzo 1993 e da allora abbiamo cominciato a vederci con la regolarità settimanale, continua tuttora, che si inserisce in una scansione di vita annuale, strettamente regolamentata dall'istituzione scolastica, da cui la signora dipende professionalmente.

(Febbraio 1993) R.F. è una donna di 38 anni, un viso regolare, degli occhi chiari, sovrappeso d'una quindicina di chili. E' insegnante elementare. Sposata da 12 anni a un autista dell'ATM, hanno una figlia di 11anni. Ha sospeso il lavoro per l'anno scolastico in corso e chiede "Una visita al CPS (sto riferendo il testo della prima visita) "spontaneamente per un aiuto psicologico per sé. Dopo la morte per tumore della madre 79enne, avvenuta un mese fa, si vede sola ad affrontare le difficoltà della vita." Traggo ancora dal diario di questa prima visita, effettuata da una psichiatra non organica al CPS, una supplenza. Racconta una "storia personale di un rapporto esclusivo privilegiato con la madre, con caratteristiche di simbiosi. Ha una sorella di otto anni maggiore e un padre vivente di 72. Il marito non sembra essere di alcun appoggio, in quanto risponde alle difficoltà a sua volta abusando dell'alcool .Per tale situazione è seguito in terapia da un neurologo presso l'ospedale Mondino di Pavia con Anafranil, da cui anche la paziente è seguita con Xanax 0,5, 3 compresse al giorno. Viene inviata, anche su richiesta della paziente stessa, alla psicologa."

Al momento dei primi contatti con me, il racconto turbinoso

Smeraldi: Ma è stata mandata a te come psicologa con quale indicazione ? | Per una valutazione con possibilità di essere inserita in una psicoterapia. | L'obiettivo qual è ? Il motivo qual è ? | Un approfondimento probabilmente, prima diagnostico, .. | Diagnostico di personalità ? Nel senso : diagnostico di Asse I, in linguaggio clinico o di Asse II ? Qual è il motivo per cui è stata inviata dallo psicologo ? | Io penso che l'invio potesse essere quello di un approfondimento e di uno spazio per la paziente stessa, all'interno di un discorso ambulatoriale molto pressato e molto intenso di... |

Viganò: Si può dire che, conoscendo un poi la prassi del CPS, l'invio fosse finalizzato a verificare tout court la possibilità di una psicoterapia e che quindi dobbiamo attribuire il momento diagnostico a questo contatto con lo psichiatra. Normalmente se nell'iter del CPS, di un servizio psichiatrico, lo psichiatra che fa le prime visite manda allo psicologo, già sono indicazioni terapeutiche...oppure c'era una domanda dello psichiatra allo psicologo : approfondisci la diagnosi ? | Io credo che più che questo, sia stata data questa risposta dallo psichiatra per andare incontro alla richiesta della paziente. Mi sembra che forse questo è l'elemento più significativo di questo invio. La paziente chiedeva un aiuto psicologico, fin dalla prima volta. |

Viganò: Comunque teniamo presente questo passaggio, che è problematico. Io ribadisco, per l'esperienza che ho del servizio, ritengo che lo psichiatra abbia ritenuto di aver fatto una diagnosi e un invio per una terapia. Vediamo in questa contrazione temporale addirittura richiesta dal paziente, quindi, " un' autodiagnosi " della paziente, quanto effettivamente sia stato contratto questo primo momento. Lo verificheremo anche nel dibattito. |

Pozzi: ... (riprende da turbinoso) con caratteristiche anche logorroiche riguardo alla morte della madre, che viene ripercorsa momento per momento, con un atteggiamento di stupore più che di dolore, quasi d'incredulità e il problema alcolico del marito che non viene più assolutamente tollerato, non tanto nelle sue manifestazioni, per altro abbastanza rare e sporadiche, quanto proprio nel fatto di esistere come condizione patologica, debolezza e limite del marito. C'è il racconto di scontri anche fisici tra di loro, chiamate in causa del medico di base, del sacerdote a dirimere litigi, come se descrivesse la situazione di due bambini arrabbiati e confusi, che si rivolgono all'adulto per sapere chi ha ragione. La presa in carico del Mondino dei coniugi si rivela un contatto sporadico e non significativo, cui viene preferito il CPS di zona. Nell'Aprile il marito, su spinta della signora, accetta di consultare uno psichiatra del CPS, un altro naturalmente, il quale constata una situazione di svuotamento di energie. C'è ansia, isolamento sociale. E' sopraffatto dal doppio lavoro necessario ad affrontare le spese ingenti del mutuo della casa. Lamenta le indisponibilità sessuali della moglie e accetta con fatica e rassegnazione anche le incombenze domestiche che ricadono su di lui, in quanto la moglie vuole insegnare... Ma il contatto terapeutico si interrompe quasi subito pur avendo come risultato positivo l'invio a un centro specializzato per l'alcolismo. Il marito, mi riferisce la signora, non si è trovato col medico. La signora porta nei nostri incontri anche la protesta di essere stata molto sgridata dallo psichiatra e richiamata ai suoi doveri di accudimento. L'effetto della consultazione sembra essere comunque anche quello di riavvicinare i coniugi in una specie di pasticciata seconda luna di miele, in cui tentano, con alterna fortuna, di riavere qualche contatto, qualche rapporto sessuale. L'eccitazione di questi momenti e il racconto che se ne fa potrebbe essere definito di tipo ipomaniacale. Nello stesso periodo la signora ritorna dalla psichiatra, da cui era stata vista in prima visita, per un controllo farmacologico ... "Disforica chiede un ricostituente e un antidepressivo con attese miracolistiche. Non ritenendo opportuno assecondare tali richieste di dipendenza si aumenta Xanax a due compresse al dì." Qui aggiungo che una terza ed ultima di questa serie (visita psichiatrica con la stessa psichiatra), nell'ottobre í93, la segnala più mobile e critica. Riferisce "Deflessione timica. Si riprende terapia Xanax 2 compresse e Lexotan 20 mg."

Gli incontri settimanali con me, nel frattempo, si snodano e sembrano trovare una sistemazione più tranquilla e narrativa. E' possibile così la continua ripresa sia di un racconto di sé e della famiglia nel tempo, dall'infanzia al matrimonio all'attualità, sia la comparsa di un tema che diventerà sempre più centrale in psicoterapia : la presentazione della propria casa coniugale, che viene descritta come caotica, sporca, piena zeppa di oggetti, acquistati compulsivamente sembrerebbe, sulla base di una loro gradevolezza, alla quale non si può resistere e che non trovano poi il loro posto in casa. E dai quali oggetti, comunque, non ci si può più separare. Una casa in vivibile come luogo di identità e di coesione famigliare, solo una specie di cuccia per dormire, quasi sempre in tre nello stesso letto, o cucina, tutt'al più laboratorio di cucina, dove preparare manicaretti acrobaticamente elaborati nella confusione di stoviglie non lavate da giorni.

Una casa sintomo così presentata, la cui descrizione ed aggiungerei persistenza e radicamento nella vita della paziente ha ancora oggi, in un certo senso, il potere di evocare in me una specie di allarme diagnostico e controtransferale, che addirittura certe volte può andare in senso psicotico. Che la paziente, invece, pur vergognandosene e constatandone la bruttezza e la scomodità, presentava, soprattutto nei primi anni, quasi come un trionfo personale su doveri rifiutati e come baluardo difensivo rispetto al pericolo di diventare simile alla sorella : una povera donna svuotata e sfruttata da tutti, certo anche da lei, senza più desideri e condannata alla galera con ordine, morte e fine a sé stesso.

Il cucinare è l'unica attività fortemente investita, fin dall'infanzia, lì c'è estro, creatività, soddisfazione di risultati apprezzati dagli altri. Qualsiasi altra funzione casalinga è aborrita come ripetitiva o umiliante. Lei è fatta per occuparsi di cose belle : della cultura, dell'arte, della musica, per uscire la domenica in bicicletta al parco con la sua bambina, non per trascorrerla a casa, a lavare pavimenti e mutande, che il giorno dopo si riaccumuleranno di nuovo. Questo distacco e disinvestimento della dimensione casa è iscritto in una logica profonda di posizionamento e identificazioni familiari, che mi vengono descritti così : la madre era una donna molto intelligente e forte, volitiva, orfana, sola. Ha deciso di sposarsi per avere figli solo dopo aver conseguito un titolo di studio e una professione : maestra d'asilo, in cui aveva fatto carriera, diventando direttrice didattica. Aveva quindi trovato un marito più giovane, con un difetto fisico esito di poliomelite, debole, ansioso, a tratti balbuziente e completamente sottomesso alla sua autorità carismatica. Era nata una prima figlia, la sorella appunto, affidata quasi subito, per i primi anni, a dei parenti, a degli zii e a distanza di otto anni era nata la paziente, la cui crescita era stata invece affidata a una serie di domestiche, che dovevano prendersi cura di lei, oltre che di una casa in cui la presenza materna era minima. La vita della madre, i suoi interessi, si svolgevano a scuola. Della propria infanzia la paziente presenta flash molto nitidi e negativi, improntati a profonda tristezza e infelicità : la continua e frustrante ricerca della madre, un odio e un rifiuto verso figure indifferenti o, se anche affettuose, inconsapevoli della loro inutilità affettiva, un senso di vuoto e di mancanza cronica di piacere. Ma ricorda anche una propria valenza critica segreta, man mano accresciutasi con l'età, verso l'ambiente familiare, una rabbia più o meno repressa verso la madre, che in fondo preferiva la sua scuola a tutti loro e un soffrire di fronte agli attacchi spazientiti e svalutanti della madre nei confronti del papà. "Mi chiamavano l'avvocato del papà, mi faceva pena.", senza che tuttavia il papà per questo le dimostrasse particolare attenzione o riconoscimento. "Non ha mai giocato con me, non era capace." Nel corso della crescita era comunque riuscita ad accaparrarsi l'attenzione della madre, se non il suo calore, perché era diventata, pur nelle turbolenze depressive, la figlia brava a scuola, intelligente, destinata a studiare. Mentre la sorella maggiore era scivolata in un'identità di persona limitata, senza interessi particolari e al termine delle scuole medie aveva sostituito la serie delle domestiche... |

Smeraldi: Forse non è chiaro. Veniva portata dai neurologi la paziente ? |

La paziente mi riferisce confusamente di contatti, di visite presso neurologi, quando era ragazzina. Questa sorella... aveva sostituito questa serie di domestiche per diventare una specie di serva di casa e, in un certo senso, serva anche della sorella minore. Sempre questa sorella poi aveva avuto un figlio, come ragazza madre, rimanendo all'interno del nucleo familiare, che aveva ben accettato questa nascita e, in anni successivi, si era quindi sposata con un uomo molto maggiore di lei, da cui poi era rimasta vedova. La sorella maggiore vive nello stesso stabile dove si trovano sia la casa dei genitori sia quella della paziente e la sua abitazione diventa ancor oggi la residenza ufficiale della paziente, in circostanze sociali, ad esempio quando bisogna farsi visitare da un medico, oppure quando lei e la figlia devono ricevere in casa un'amica, ... e rifugio dove infilarsi, quando la propria casa peggiora fino a diventare inservibile, quando si rompono ... boiler, acqua calda ...

Anche se alcuni episodi di "esaurimento" le avevano fatto perdere due anni di scuola, era continuata nel corso di un'adolescenza solitaria, coartata, al traino dei genitori, la sua destinazione universitaria. Iscritta a lingue, in Cattolica, aveva poi interrotto gli studi, fuori corso, a otto esami dal termine "Non ne avevo più voglia, erano i più pesanti", anche perché nel frattempo i genitori le avevano praticamente combinato fidanzamento e matrimonio. "Bacio emozionante a Venezia, freddezza segreta il giorno delle nozze, tanti pianti per i primi tempi" : questa la sua descrizione dell'unico evento sentimentale della vita. Era nata la figlia dai primi e direi gli ultimi rapporti sessuali. Lei si era aggrappata alla madre e il marito era scivolato dentro l'alcolismo, come dimenticato, privo d'importanza. La madre non veniva mai a casa sua, non le dava un aiuto concreto, ma il contatto quotidiano con lei, le vacanze trascorse sempre insieme e le sue parole d'incoraggiamento e di stima, bastavano a farle reggere la delusione del problema del marito, la pesantezza della vita di casa, le angosce per la scuola, perché aveva nel frattempo iniziato l'insegnamento elementare, provando continui sentimenti di inadeguatezza e di estraneità. Tutto era superabile ricorrendo a questo contatto materno, costruendo con la realtà un rapporto che qui, a questo punto, definirei di tipo ipomaniacale, poi si vedrà ..., cioè, con le parole della paziente, un rapporto gioioso, sospeso sopra le brutture della vita, tutto rivolto agli aspetti elevati o piacevoli o evasivi di essa.

Era dalla madre che veniva un codice di comportamento che lei eseguiva, se pure con falle, cedimenti di prestazione, comunque tollerati all'interno del codice stesso. La morte della madre aveva concretamente tolto di mezzo questa funzione organizzativa e aveva poi inferto un colpo mortale a una sua quasi certezza che nulla dovesse modificare questo stato di cose. La disorganizzazione disforica dei primi tempi della perdita sfocia dapprima in un periodo di esaltazione affettiva verso il marito, sensazione anche di grande libertà, potenzialità di vita, cui segue molto rapidamente (15, 20 giorni) uno stato depressivo, che definirei  "depressione-esplosione rabbiosa" della "ceffa" che imperversa in famiglia  con padre, sorella, marito. La figlia è sempre stata risparmiata da questi attacchi. "Ceffa" è un suo termine per definire quanto si senta carogna, prepotente, ingiusta, ma costretta a esserlo dalla disperazione, quando non può più negare che la vita è una faccenda orribile, senza senso, che c'è la morte, la malattia, che si invecchia, anche senza avere vissuto, com'è successo e sta succedendo a lei. Verso Novembre, in questo primo anno, sembra ritrovare, lentamente ma progressivamente, un buon equilibrio morale e un buon funzionamento professionale (riprende la scuola) e, in parte, anche domestico, che dura fino al Febbraio í94, in cui ricade in uno stato depressivo. La ricorsività di questi passaggi si ripresenterà in tutti gli altri successivi, fino ad oggi. Nel Novembre í94 e nel Giugno í95 si verificheranno altre due consultazioni psichiatriche farmacologiche, però con medici diversi, non la prima psichiatra da cui era stata vista... in cui la diagnosi è ancora quella di disforia o di episodi depressivi o ipomaniacali, con la conferma sempre del farmaco conosciuto, anche su richiesta della paziente stessa.

Sono consultazioni più sollecitate da me che richieste dalla paziente e gliele propongo quando, soprattutto all'inizio dei periodi depressivi, la vedo davvero disperata della perdita di senso di ciò che sta vivendo e sofferente sul piano clinico a livelli preoccupanti, ad esempio non si lava... Lei accetta questi miei inviti, di cui coglie soprattutto la sollecitudine, l'elemento affettivo. Ma sempre, prima e dopo la consultazione, mi spiega in seduta quanto tema, e quindi tenda a rifiutare, l'assunzione di un farmaco troppo potente ed efficace sul piano umorale, perché questo significherebbe la perdita del controllo della situazione, di una propria libertà di decidere quando e dove, nel settore della vita, casa, scuola, attivarsi. Sono anche occasioni, questi incontri clinici con psichiatri, in cui la signora, pur dichiarando la necessità essenziale di essere seguita in psicoterapia, esprime al medico il proprio rancore per chi la sta costringendo ad avvicinare e mescolare i due mondi, che lei per lunghi anni era riuscita a tenere separati : il mondo roseo delle nuvole, dei buoni sentimenti straripanti, dell'allegria, della spensieratezza e quello cupo degli adulti, gretti, meschini, calcolatori e centellinatori degli affetti, accettanti i limiti della vita. Lei non li voleva vedere quei limiti, voleva continuare a pensarsi eternamente giovane, felice.

Credo che un mio intervento interpretativo costante sia sempre stato quello di mostrarle come questa sua visione di un mondo adulto reale di tal fatta, cioè arido e morto, negante gli affetti, il calore, il piacere, che anche le persone adulte possono far circolare fra di loro, fosse il motivo della sua necessità di porre sé stessa tra le nuvole rosa, scindendo e separando drasticamente le dimensioni, che alla fine risultavano l'una più mortificante e deludente dell'altra. La protesta portata sempre in seduta nei confronti di qualsiasi ipotesi di avvicinamento e fusione, o meglio di forzatura alla fusione è il tema conduttore dei periodi in cui esce da quella dimensione ipomaniacale, che in un certo senso coincide con il benessere e che può durare anche qualche mese in un anno, per entrare in quei segmenti depressivi, in cui sta davvero male, ma nei quali non perde mai la capacità di osservarsi con lucidità e descrivere un dilemma tormentoso, che le appare sempre più con una chiarezza ineludibile, ma senza soluzione, ancora senza soluzione. Cioè accettare le regole della vita, i ruoli generazionali, ad esempio porre sé stessa in un ruolo di moglie, di madre, è l'unico modo per vivere e se ne rende conto, non ce n'è altri, non funzionano altre negazioni, ma dove porre e soddisfare quel bisogno di gioia, di appagamento tipico, che una volta era facilmente collocato nella differenziazione ambientale fra sé e gli altri, fra il reale-brutto e il non reale-bello ? Sembra che a questo non sappia approdare.

E' molto chiaro nel tempo, a me e alla paziente stessa, che soltanto nei periodi in cui si manifesta questa fase depressiva, non coperta dal meccanismo difensivo della negazione, sia possibile elaborare davvero qualcosa di essenziale, riguardo alla sua collaborazione nella vita, la sua relazione con gli altri ed è lì che l'aspetto, quando lei decide di arrivarci. L'inevitabile spostamento in avanti che si verifica, in questi periodi più elaborativi delle sue posizioni, dalle quali, così si esprime la paziente, non si può più tornare indietro (le vengono tagliati i ponti), in un certo senso però alimenta la depressione stessa: il contemplare ad esempio il disastro della propria casa ("il punto cui sono potuta arrivare, ma come ho fatto... mi sono spaventata"), questa constatazione è umiliante e paralizzante. L'intervento concreto su di essa, ad esempio sulla casa, che oggi sente teoricamente più possibile, comunque non porterebbe che ad una normalità ancora temuta come piatta e mortificante, da una parte e dall'altra metterebbe in crisi quel piano caratteriale di ribellione, di oppositività, che forse nel tempo ha avuto una funzione fondante e produttiva ("meglio dominare che essere dominati").

Quindi il circolo vizioso della reazione di fuga riprende, reazione che penso possa ancora essere definita descrittivamente di tipo ipomaniacale. Ma si potrebbe anche dire che forse a ogni giro di volta il livello fenomenologico appare meno compromesso, cioè l'insegnamento, ad esempio, da cui in passato si ritraeva a ogni minima difficoltà, è oggi vissuto in modo più integrato, sente di essere una vera maestra e la fatica che comporta il lavoro è accettata e capita. Figlia e marito sono senz'altro più rispettati nei loro bisogni di persone separate da lei. Lei stessa si vive oggi come una persona sofferente di una depressione con un'origine antica. Questa è la sua autodiagnosi, ben lontana e diversa da quella donna-bambina che era venuta più che a piangere, a protestare per la morte della madre. Ma molti interrogativi clinici restano e in un certo senso, rispetto all'inizio della psicoterapia, sembrano quasi più confusi. La casa, che permane comunque così disastrata, è forse la rappresentazione che deve essere mantenuta e rispettata di una quota non curabile della persona ? E' il legame che viene mantenuto per dare un senso alla prosecuzione della psicoterapia, nella sua valenza, nel suo significato simbiotico ?

Vorrei riferire un sogno portatomi tempo fa, in piena crisi depressiva, dalla paziente, la cui mancata interpretazione testimonia di una mia paura, che rispecchia gli aspetti "scarnificanti" della terapia, testimonia della preoccupazione della mancanza di risorse ulteriori da parte della paziente, quindi anche di un'incertezza conseguente, rispetto a una logica profonda di prosecuzione o avviamento al termine di questa psicoterapia, che dura ormai da cinque anni. Nel sogno, che la paziente definisce orribile, compare il cane della paziente che viene divorato vivo, a cominciare dalla testa, da un altro animale più grande indistinto. Alla fine non rimane che uno scheletro, la cui strana caratteristica è di essere fatto non di ossa ma da nastro da pacchi di regalo colorato e rigido, che forma la cassa toracica. Ma vorrei anche a grandi linee ripercorrere una seduta recente che secondo me sembra avere toccato questi stessi punti, la seduta della settimana che precede la settimana di Pasqua. La paziente arriva nel suo stile affrettato e furtivo e concitatamente mi mette in mano la colomba di Pasqua, facendomi gli auguri e annunciandomi che il prossimo giovedì, sarebbe stato giovedì santo, sarà al mare per le vacanze. Io non le avevo parlato di interruzione di vacanze perché nella mia organizzazione non si contemplava...

Si mette a parlare sempre in modo accelerato di come non ne possa più di questa classe (la sua classe, ha una prima), in cui i bambini non le danno retta né con le buone, né con le cattive, non c'è verso di convincerli ad essere collaboranti... Lei aumenta sempre di più i castighi, che stanno diventando pazzeschi, disumani, ma non serve. Marco poi, un bambino problematico della classe, è intrattabile : pugni, parolacce. La collega di classe, la sua coinsegnante, non ne può più nemmeno lei, le diceva che lo sta lasciando un po' in pace per vedere se, senza una pressione troppo forte, Marco reagisca meglio. Gli ha permesso, per esempio, di allontanarsi dalla cattedra e stare più in fondo alla classe. Lei invece (la paziente) questo non lo può tollerare, di vederlo agitarsi così e disturbare gli altri senza intervenire. Lo ha raccolto di peso e rimesso di fianco a lei, per costringerlo al lavoro. Ma che senso ha questo rapporto simmetrico che fa crescere la rabbia di tutti e due ? Le chiedo che cosa mi sta chiedendo : se essere lasciata in pace in fondo alla classe (al mare), come rinunciare a un'attenzione nei suoi confronti, oppure essere tenuta vicina... e ancora mi sembra, le dico, che mi dica che qualcosa deve essere capito da parte mia, che proprio non vedo, né con le buone, né con le cattive. Ride imbarazzata... c'è come un divincolarsi davanti a questo intervento, vorrebbe poter riprendere il livello concreto, narrativo, ma è come se, a un certo punto, decidesse di accettare l'altro livello. Si calma profondamente e, in tutt'altro tono, mi dice che non vuole, non chiede di allontanarsi, anzi non chiede altro che sentirsi voluta bene, senza condizioni. Però, continua, l'altro giorno è successa una cosa che l'ha colpita molto e ha fatto capire quanto sia cambiata in questi anni. La figlia ha assolutamente voluto portarla a vedere un film ,Titanic, che la ragazzina aveva già visto con le amiche. Abituata alle lacrime facili della mamma per qualsiasi spettacolo sentimentale è rimasta molto turbata, molto colpita, in fondo quanto la paziente stessa, di fronte al fatto che la madre non si è lasciata andare affatto alla commozione, non piangeva. Non è che si sentisse fredda e indifferente, ma il suo coinvolgimento era più generale e profondo : era la rabbia per la crudeltà delle differenze sociali, per la tragedia davvero accaduta, per la gente che realmente è morta in questa catastrofe. A quello pensava durante il film, non alla storia d'amore costruita per far piangere... Chissà se vuole segnalarmi la distanza che sembra esserci tra lei e la figlia... o se vuole invece parlarmi ancora di quella catastrofe accaduta nella sua vita : il Titanic affondato qualche anno fa quando è morta la mamma o molti anni prima, nella sua crescita, nella quale sentiva proprio naufragare la propria gioia di vivere, le speranze che qualcuno riuscisse ad accorgersi di lei abbastanza da portarla via dal borgo. Lei mi dice che ci sono tutte le cose, l'una e l'altra cosa, tutto quello che ho detto può stare insieme. La seduta prosegue col suo cercare di ricordare momenti infantili di vita familiare, in cui il padre e la madre fossero uniti, si scambiassero qualcosa. Non ne trova, non ce ne sono. Termina la seduta con il racconto di una parte di casa che è stata sgombrata e ripulita e con considerazioni affettuose sul marito, che non vuole più sfruttare e trattare male. Io terminerei qui come esposizione della cosa, non so se è il momento di produrre una ipotesi di diagnosi... Proporrei una diagnosi sul I Asse, di disturbo ciclotimico e una diagnosi sul II Asse, di disturbo dipendente di personalità.