A. Cozzi:
Incontro Amanda per la prima volta nel 1992, quando ha 26
anni, da due anni fa uso di eroina per via inalatoria, mescolandola all'abuso di
psicofarmaci in modo massiccio. Da una anno convive con un ragazzo, che fa uso
di eroina anche lui, da quando convivono la situazione è nettamente peggiorata,
l'abuso di eroina è massiccio, vi sono continui litigi tra lei e il convivente
per questioni legate alle dosi di eroina e ai soldi per acquistarla. Lei non
lavora, aiuta solo saltuariamente i genitori nel panificio di loro proprietà.
Amanda chiede di essere aiutata a disintossicarsi, soprattutto attraverso l'uso
di farmaci o di metadone. In questo primo incontro appare abbattuta, poiché un
cugino con cui aveva iniziato l'uso di eroina, e che poi era entrato in comunità,
durante un periodo di ritorno in famiglia si è rifiutato di parlarle in modo
marcato. Questo appare come l'elemento centrale della sua crisi . Dico in questo
incontro solo due cose: la prima che mi pare inutile cercare di aggiungere altri
farmaci a quelli che già prende, e che forse il percorso verso la
disintossicazione deve seguire altre strade, contemporaneamente cerco di mettere
in rilievo questo suo rapporto con il cugino, poiché mi sembra l'unico elemento
estraneo ad un discorso monotono intorno all'abuso di eroina. Non avrà più
contatti con il servizio per circa un anno. Ricompare nell'aprile dell'anno
successivo, chiedendo di essere aiutata a disintossicarsi e di essere messa in
trattamento con naltrexone, ma rifiutando qualunque contatto al di fuori delle
figure mediche. In una riunione si valuta che non esistono altre possibilità al
momento di far emergere una domanda più articolata, e si decide di iniziare il
trattamento con altrexone rimandando ad una fase posteriore altre possibilità.
Riesce a mantenersi in trattamento per circa due mesi, poi scompare nuovamente.
Riprende i contatti dopo due anni, e viene accompagnata dalla madre al servizio.
La situazione è precipitata, è saltata la convivenza, e i genitori si sono
accorti che lei abusava di sostanze stupefacenti. Mi soffermo su questa scoperta
perché è abbastanza singolare. Lei da circa un mese non fa più uso di eroina,
e stava prendendo del metadone, acquistato illegalmente per riuscire a smettere
l'uso di eroina. Portava i boccetti nella borsa, e durante un periodo di vacanza
con i genitori si è fatta sorprendere con tutti i flaconi in borsa. I genitori
hanno deciso che lei debba entrare nella stessa comunità dove è stato il
cugino, hanno già preso i contatti, ed ora vogliono solo il placet del servizio
per il pagamento della retta, così gli è stato detto di fare dalla comunità.
Fermo un attimo Amanda su questo punto, dicendo che questo è quel che vogliono
i suoi genitori, ma se non c'è una sua scelta il progetto è destinato a
saltare, poichè è sempre possibile allontanarsi dalla comunità. Risponde di
non avere altre scelte possibili, i suoi hanno sequestrato le chiavi di casa,
hanno litigato furentemente con i genitori del suo ragazzo, la sorvegliano a
vista, non può muovere un passo da sola. Cerco di sottolineare come in questa
situazione ci sia un suo elemento di responsabilità, se per anni è riuscita a
nascondere tutto ai suoi, non posso pensare che sia stato così casuale farsi
scoprire quando le sembrava di farcela da sola, procurandosi addirittura
illegalmente il metadone. Sembra perplessa su questa osservazione, rimane
pensierosa. Propongo allora di iniziare un primo periodo al centro diurno della
comunità e di vederci regolarmente una volta a settimana per verificare la
possibilità che lei riesca a costruire un progetto in cui riconoscersi. Lei si
mostra interessata a questa possibilità, che viene accolta con favore anche dai
responsabili della comunità e, pur con qualche perplessità anche dai genitori.
Nel primo periodo i colloqui sono soprattutto delle lamentele sulla gestione del
centro diurno, quasi uno spaccato sociologico delle piccole violenze quotidiane
che serpeggiano in questi centri. Si mostra però molto ligia ai compiti che la
comunità le affida a casa, quasi trovasse in questa dimensione superegoica una
possibilità di sfuggire ad altri pensieri. Tutto ruota sulla correttezza
nell'adesione al programma, salvo lamentarsene nelle sedute settimanali. Data
l'insopportabilità del clima familiare, aspetto sul quale tornerò, Amanda
decide nell'aprile del '96 di passare nella struttura residenziale, chiedendo
però di poter continuare le sedute settimanali.
Anche in questo secondo periodo tutte le sedute sono incentrate sui rapporti
all'interno della comunità, e sul rimpianto per la fine della convivenza,
percepita come un periodo di libertà piacevole. Cerco di evidenziare che forse
così piacevole non doveva essere, visto che era sostenuta dall'uso di eroina,
ma lei sembra sorda a questo aspetto.
Nel settembre all'improvviso, apprendo che è ricoverata in psichiatria in
seguito ad un tentativo di suicidio. Prendo contatto con la struttura
psichiatrica, che mi informa che la dimetterà presto con l'indicazione di far
riferimento al CPS di zona, prendiamo accordi affinchè la possa incontrare il
giorno seguente quando verrà dimessa.
Il tentato suicidio è avvenuto in seguito ad un episodio luttuoso. Un ragazzo
in comunità si era infatuato di lei, essendo stato respinto si era allontanato
dalla comunità, e la sera stessa era deceduto a causa di una overdose di
eroina. Venutolo a sapere il mattino seguente, Amanda aveva tentato il suicidio
tagliandosi le vene dei polsi poiché si sentiva in colpa. Nel suo racconto
questo elemento della colpa sembra centrale, pare più un operatore che si sente
responsabile che non una compagna. Mi sembra questo lutto un evento intorno al
quale si potrebbe girare all'infinito, senza alcuna soluzione, senza alcuna
uscita. Le dico che forse questo episodio, più che sul versante del lutto
potrebbe essere un inizio per interrogarsi sul suo rapporto con gli uomini.
Nelle sedute successive dice che quando stava con il suo convivente i rapporti
sessuali erano caratterizzati da una grande violenza, lei ogni volta si sentiva
violentata. Davanti alla mia osservazione che avrebbe potuto andarsene si ferma
e dice che in realtà era lei a provocare la violenza del convivente attraverso
insulti, sinchè lui non la violentava, e che questo era l'unico modo in cui
riusciva ad avere rapporti. Nella sua umiliazione era lei la più forte,
soprattutto nell'ultimo periodo in cui lui era ridotto ad una larva, sempre a
letto, e lei usciva per procurarsi l'eroina per entrambi. Non le importava che
lui fosse un morto vivente, per lei era importante e necessario averlo lì,
sapere che c'era e che dipendeva da lei.
Nei mesi seguenti assisto ad una trasformazione di Amanda. Prima era sempre
curata nell'aspetto, ora appare sciatta, si è fatta tagliare i capelli da
un'amica in modo sghembo, ed è ingrassata in misura notevole. Dice che di notte
si alza a mangiare i cibi piu svariati, senza far caso a quello che ingurgita,
in preda ad un raptus che non sa controllare. Giunge a portarsi il cibo in
camera, e a studiare stratagemmi per arrivare in cucina durante la notte.
Questo periodo lo ricollega al periodo dell'adolescenza quando non si piaceva,
si sentiva goffa e brutta e sentiva una grande insofferenza verso l'autorità.
Questa insofferenza l'ha portata a perdere un anno scolastico quando, rimandata
a settembre in una materia, dopo aver superato brillantemente l'esame, si era
messa ad insultare l'insegnante che l'aveva interrogata, rimediando così la
bocciatura. Pare quasi che ogni suo successo debba essere vanificato, disposta
ad affermarsi al negativo, in un rapporto di forza senza soluzione. Eppure,
dice, sono una persona sensibile, pensi che quando vedo in televisione i
notiziari che parlano della guerra mi metto a piangere come una fontana. Pensi,
spesso questi notiziari vado a cercarli, girando sui vari canali per riuscire a
piangere sul male.
Ora in comunità comincia a porsi il problema del termine del suo soggiorno, e
quindi si pone la necessità di progettare l'uscita. Lei opera una sorta di
cesura con il periodo precedente l'ingresso in comunità, saltando tutta
l'esperienza scolastica precedente, e dice di voler seguire un corso da
puericultrice, facendo contemporaneamente la baby sitter presso qualche
famiglia. Rilevo che un conto è aver figli propri, un conto curare bambini di
altri. Riprende parlando della sua paura e del suo desiderio verso la maternità,
e mi parla di un ragazzo che ha incontrato in comunità e verso il quale nutre
degli interessi affettivi, cosa che la coglie un po' di sorpresa.
Poco dopo inizia a lavorare all'esterno, facendo rientro in comunità ogni sera.
Verso settembre esce dalla comunità, e inizia a lavorare come baby sitter. In
questo periodo di rientro in famiglia, mentre prosegue la relazione affettiva,
comincia a interrogarsi sulla violenza che agisce/subisce nei rapporti sessuali.
Dice che questo legame tra sessualità e violenza lo ha sempre percepito, da
quando dormendo in camera con i genitori sentiva i rumori dei loro amplessi, e
che, quando la madre era assente, andava a dormire nel letto del padre, ma era
paralizzata dalla paura che lui facesse con lei quel che faceva con sua madre.
Anche in questo passaggio rilevo come fosse lei ad andare nel letto del padre, e
forse questa paura va interrogata in altro modo. Tempo dopo mi dice di aver
avuto rapporti sessuali con il ragazzo conosciuto in comunità, senza essere
costretta al rituale di provocare la violenza dell'altro.
Verso dicembre viene lasciata dal ragazzo, perde anche il lavoro, e
contemporaneamente il padre (vittima di una truffa economica) viene ricoverato
per un infarto. Amanda in questo frangente fa uso una volta di eroina e lo
percepisce come un grosso fallimento. Cerco di evidenziare come abbia usato
l'eroina come un farmaco, cercando di alleviare la situazione di difficoltà, e
che forse avrebbe potuto trovare altre soluzioni, come parlarne nei nostri
incontri. Gli operatori della comunità, venutolo a sapere, la escludono dal
diploma di fine percorso che doveva ricevere a fine dicembre, che dovrebbe
certificare pubblicamente la sua uscita dalla tossicodipendenza. In seguito a
questo Amanda riprende a far uso di eroina per circa tre settimane, sospendendo
anche gli incontri al servizio. Al suo ritorno le chiedo come mai abbia sospeso
gli incontri, lei risponde che si vergognava di farsi vedere fatta. Le
sottolineo di non aver mai posto come condizione quella di venire solo se
sospendeva l'uso di eroina e cerco di problematizzare questo aspetto
dell'apparire, del dover dare un'immagine a me. Lei caparbiamente si chiude,
dicendo che non vuole farsi vedere fatta, che si vergogna e basta. In questo
ultimo periodo ha fatto temporaneamente ritorno in comunità, e si sta mettendo
a punto un progetto di uscita differente dal precedente im cui .Amanda si possa
ritrovare da protagonista di una storia propria, uscendo dal discorso dei
genitori;
I genitori di Amanda hanno dovuto farsi carico a loro volta di una storia che
proveniva da un'altra generazione, dovuta al fallimento economico del nonno:
Essi gestiscono un panificio insieme agli zii di Amanda ( situazione simgolare
due sorelle hanno sposato due fratelli) e tutti comvivono nella stessa casa, in
seguito al tracollo economico del nonno da quando Amanda aveva 5 anni. In casa
viveva anche una cugina figlia degli zii che era il modello proposto dalla madre
ad Amanda, che lei odiava cercando in tutto di differenziarsi da lei. Il padre
è mite ed accomodante, non parla mai, pensa al lavoro ( la madre parlando di
lui riesce a dire soltanto che è buono e che ha lavorato tanto.
La gestione economica , alquanto confusa, è tutta nelle mani dello zio che
Amanda accusa di truffa, di avere accantonato soldi impropri. La simbiosi tra le
due famiglie giunge al punto che hanno costruito insieme una casa di due piani
al paese di origine e che pare difficile capire quale delle due famiglie abita
l'uno o l'altro piano poichè hanno gli stessi mobili, nella stessa
disposizioni, con le medesime suppellettili.
Amanda, negli anni si è sempre procurata i soldi per l'eroina attraverso i
furti alla cassa del negozio e afferma che la zia sapeva di questi furti ma non
diceva nulla poichè loro rubavano in altri modi.
Quando il padre decide di sciogliere la società e chiede conto allo zio dei
soldi, Amanda in una riunione in comunità confessa davanti a genitori e zii i
suoi furti delegittimando la presa di posizione del padre . Questa confessione
è tesa a proteggere un padre percepito come debole nei confronti dello zio.
Quel che lei teme è che il padre entri in un conflitto che non sa gestire, dal
quale uscirebbe distrutto poichè è rimasto succube per tutta la vita.Il padre
sarà poi vittima di una truffa economica durante la vendita del negozio e si
ammalerà di infarto.L'ultimo periodo di uso di eroina da parte di Amanda
coinciderà con il ricovero del padre in ospedale e con il timore che il padre
possa subire un ulteriore dispiacere venendo a conoscenza del fatto che a lei
non verrà consegnato il diploma di fine percorso.
Le aspettative soggettive di Amanda in tutto questo periodo sono andate nel
senso di allontanarsi dall'uso di eroina senza modificare aspetti importanti del
suo agire, che hanno fatto ritorno come agiti. Dal tentativo di suicidio,
all'ultimo episodio di abuso di eroina rinveniamo un filo conduttore
caratterizzato dalla onnipotenza, su due versanti: cercare sempre di dominare la
situazione attorno a sè e annullare il reale. Sul primo versante l'episodio del
tentato suicidio mobilita tutta la comunità (operatori e utenti) facendo
passare in secondo pianola morte del ragazzo, sul secondo versante ad un passo
dalla meta vanifica tutto il percorso sottraendosi alle regole e lamentandosi
poi dell'esistenza delle stesse.
Questi aspetti non sono stati agiti anche nel transfert, e non sono stati
ripresi, occupando l'operatore quasi una posizione da osservatore davanti al
perpetuarsi della scena. Questa condizione è stata dettata in buona parte da
condizioni strutturali che rendevano incerta la conduzione della cura. In quel
periodo il servizio era in via di smantellamento di fatto, parecchi
trasferimenti avevano ridotto l'èquipe sino alla sua inesistenza (ridotta a tre
persone) e quindi all'assenza di interlocutori con i quali costruire il caso
nell'èqupe di lavoro. Questa situazione di instabilità si rifletteva in una
immagine quasi fisica di abbandono del servizio che appariva sempre deserto, e i
rapporti con gli operatori superstiti erano sporadici. Questo ha portato ad una
sottovalutazione di aspetti che potevano essere ripresi nella dinamica
transferale, e la cui elusione ha condotto all'immobilismo. La situazione di
incertezza ha avuto come conseguenza quella di appiattirsi sull'obiettivo di
allontanare Amanda dall'abuso di sostanze stupefacenti, obiettivo educativo
comportamentale proprio della comunità e di Amanda, che metteva Amanda stessa
al riparo da un percorso psicoterapeutico. Infatti il gruppo a cui l'operatore
ha potuto fare riferimento in parte è stato quello degli operatori della
comunità, con incontri a carattere episodico e all'interno di un progetto
soprattutto educativo. La situazione è mutata nell'ultimo periodo, ed ha
permesso di un minimo il gruppo di lavoro confrontandosi su questi aspetti e
riformulando il progetto terapeutico di Amanda.
I nodi sintomatici che mi pare di poter individuare in questo caso fanno
riferimento a due punti di rottura.
Il primo è l'episodio dell'insulto all'insegnante. L'insulto è rivolto ad una
persona che ha giudicato Amanda, ha ricoperto una posizione autorevole nei suoi
confronti. Amanda insultandolo lo nomina, nominandolo lo riconosce nella
posizione che occupa, nominazione nel reale, quasi a riconoscere un padre reale
da sostituire al proprio percepito come inesistente.
Il secondo episodio è quello del tentato suicidio, come appello a qualcuno,
come manifestazione della propria sofferenza. A questo proposito va aggiunto che
nello stesso giorno erano giunte telefonate minacciose in comunità nei suoi
confronti, da parte dei parenti del ragazzo deceduto. Quindi il tentativo di
suicidio, non ripreso nel transfert, si è risolto in un atto teso alla
reintegrazione nella comunità.
L'ultimo episodio, quello del ritorno all'uso di eroina, ripreso a livello della
relazione cercando di chiarire i motivi della sparizione dalla scena, è quello
che ha permesso di riformulare il progetto terapeutico e la relazione con
l'operatore, portando a riconoscere non solo l'uso terapeutico-farmacologico
dell'eroina, ma anche il disconoscimento della possibilità di prendere la
parola e l'annullamento del percorso fatto in comunità.
La diagnosi secondo il DSM IV sull'asse I segna il passaggio tra tre categorie:
la F11.1 abuso di appiacei; la F 32x,296.2x disturbo depressivo maggiore
episodio singolo, la F 50.9(307.50) disturbi dell'alimentazione non altrimenti
specificati. Si può vedere come queste diagnosi sono delle risposte contenute
nell'appello stesso di Amanda ed in definitiva esprimono solo la richiesta di
collocazione sociale. Non vi è stata cioè una costruzione individuale del
sintomo, ma una rappresentazione del soggetto attraverso sintomi più sociali
che individuali. L'episodio che segna una discontinuità è quello che abbiamo
definito come disturbo depressivo maggiore episodio singolo, ma non essendo
stata possibile una elaborazione di tipo terapeutico dobbiamo inquadrarlo nel
continuum precedente.
Difficile parlare di uso di farmaci in un soggetto che in precedenza ha fatto
abuso sia di farmaci che di sostanze stupefacenti. L'unico periodo in cui ha
fatto uso di farmaci in seguito alle prescrizioni dello psichiatra è reperibile
nei sei mesi seguenti al tentato suicidio, in cui per tre mesi è stata in
terapia con antidepressivi e per altri tre con il prozac.
Il lavoro con la famiglia è stato fatto soprattutto dalla comunità attraverso
i gruppi per genitori. La famiglia davanti alla scoperta della tossicodipendenza
di Amanda e ai furti commessi ha avuto una reazione rassegnata. Non vi è stata
rabbia, ma solo una delusione rassegnata, che non ha subito alterazioni, ma ha
imboccato il percorso dell'adeguamento. Sono diventati quasi dei volontari della
comunità, seguendone il percorso, ma in modo talmente pedestre da votarsi al
fallimento nel rapporto con la figlia. Più che al fallimento al mantenimento
della relazione precedente in cui la debolezza e l'incapacità continuavano ad
essere esibite. L'invito della comunità a costruire un colloquio con la figlia
su aspetti taciuti della loro relazione veniva eseguito rimandando alla figlia
la necessità di “parlare” di “aprirsi” senza che all'invito seguisse un
atto. Il tracollo economico successivo ha portato ad una chiusura ulteriore, un
senso di sconfitta generalizzato che ci consegna due figure evanescenti, legate
al solo lavoro, vinte dall'esistenza.
Questo aspetto dell'essere vinti è stato affrontato solo in questo ultimo
periodo successivo al reingresso in comunità di Amanda, in accordo con gli
operatori della comunità, e ha portato al rifiuto di accettare un ritorno a
casa di Amanda. Rifiuto che ha comportato una riformulazione dei progetti di
Amanda e il suo incontro con un limite, con l'impossibilità di piegare il mondo
alla sua onnipotenza. Questo forse è un primo passo per la costruzione di uno
spazio clinico dove la sofferenza non sia agita in modo convulso, ma connotata e
interrogata, che segni una discontinuità rispetto al passato e che può
permettere all'operatore di assumere una posizione diversa da quella
dell'osservatore.