Informatica e didattica
Dal 1912, e cioè da quando lo scienziato Lee de Forest, casualmente, dette il via all'elettronica, sono stati fatti passi da gigante.
L'elettronica con le sue varie applicazioni - radio, televisione, radar, computer, ecc., - sta generando radicali trasformazioni nel mondo che ci circonda.
L'uomo, novello Aladino, ha trovato nel computer la sua lampada magica che gli permette di realizzare ciò che pochi anni addietro era solamente monopolio della fantasia, dell'immaginario.
Il raggio d'azione del computer è molto ampio; esso, essendo una macchina molto versatile, trova, con ritmo vertiginoso, sempre più utilizzazioni nel campo del sociale. Inoltre, con le sue creazioni può persino farci vivere, come vere, situazioni irreali: si pensi alla realtà virtuale di cui abbiamo avuto un saggio nel film "Il tagliaerbe" (di Brett Leonard), che, anche se esagerato. ha un fondo di verità.
Si suppone che le prospettive di applicazione di un tale caleidoscopico strumento possano essere infinite.
La profezia di Seymour Papert, il padre del LOGO, in Mindstorms, relativa alla possibilità di "una massiccia penetrazione degli elaboratori nella nostra vita", può dirsi avverata.
La nostra società tecnotronica o infocratica, qual dir si voglia, basata sul business dell'informazione, deve le sue scelte politiche, economiche, quotidiane alla pubblicità, ai telegiornali, ai bollettini vari, alle banche dati, ecc.
Di questo carattere pervasivo della tecnologia, che trova la sua massima espressione nell'informatica, traccia un quadro chiaro ed esauriente il Prof. Acone nel suo testo "L'educazione divisa".
La società già da tempo rivolge alla scuola la richiesta di nuovi metodi, di nuove tecniche, di una "revisione profonda del sistema educativo".
Nell'ottobre dell'86, infatti, fu mossa una pubblica accusa, da parte di Giovanni Agnelli e del Presidente della Confindustria Luigi Lucchini, alla Scuola Italiana, per non essersi messa al passo coi tempi e per "non essere in grado di offrire [agli studenti con i suoi contenuti ed i suoi metodi] le basi per capire e possedere questa realtà".
Il mondo della scuola non poteva rimanere insensibile ad una tale denuncia e, appena due mesi dopo, l'allora Ministro della Pubblica Istruzione, Maria Iervolino, provvide a che si promulgasse una Circolare in cui era prevista l'introduzione dell'Informatica negli Istituti di Istruzione Secondaria.
La necessità dell'introduzione dell'Informatica nella Scuola o almeno di una prima alfabetizzazione informatica è suffragata da numerosi studiosi quali Seymour Papert, il padre del LOGO, Kim Taylor, Kenneth Richmond, Noble, Bork, Zanarini, Pentiraro, Clements, Laeng, ecc., (dicevo è suffragata) al fine di evitare che al termine degli studi gli allievi possano trovarsi a disagio, spaesati, sprovveduti, esclusi da una realtà quasi totalmente computerizzata.
Ma un motivo ancora più valido viene colto dal Lollini. Questi esalta la funzione della Scuola, la quale, in una società che "sotto le pressioni dell'industria culturale, rischia di inaridirsi in un tecnicismo fine a sé stesso", può dare alla tecnica, tramite l'educazione, la giusta locazione e finalizzarla al bene.
Infatti, le moderne tecnologie, nelle mani del potere, potrebbero essere micidiali e distruttive nei confronti dell'uomo e dell'"umano" nell'uomo.
Nelle mani della scuola, se ben usate, tramite l'ausilio di metodologie avanzate, possono contribuire a sviluppare nel fanciullo lo spirito critico che, facendo da filtro alle informazioni, lo sottrae alle spire del potere, rendendolo autonomo nelle scelte e nelle decisioni.
La scuola, offrendo a tutti, potenzialmente, una competenza tecnologica, evita che questa si accentri nelle mani di pochi e diventi, quindi, un'arma del potere.
Purtroppo, però, le diverse strategie d'intervento effettuate non hanno avuto molto successo, perché l'Informatica nelle nostre scuole stenta ad attecchire.
L'amore per la "routine", l'ansia derivante dall'effetto a rischio, più ancora l'incompetenza degli operatori scolastici, costituiscono degli ostacoli, quasi ineliminabili, al diffondersi di questa nuova branca della scienza.
Comunque, attualmente, alcuni passi sono stati fatti nella scuola dell'obbligo. Sono stati attuati diversi progetti relativi all'uso del computer, tra cui il progetto pilota IRIS, organizzato dal CEDE (Centro Europeo dell'Educazione) di Frascati, che ha avuto una diffusione a livello nazionale in tutti gli ordini di scuola. Altri progetti sono LUCAS, del Centro orientamento giovani (COGI), AMADEUS (COGI), IDA, "100 scuole", "Lo specchio di Alice", "Laboratorio computer" ed altri.
Comunità di concezioni, di metodi e di obiettivi si riscontrano nelle linee programmatiche di tali progetti. L'informatica non è ritenuta una disciplina a sé ma intersecantesi con gli altri insegnamenti.
La metodologia adottata si fonda sull'attività di ricerca che dà luogo ad un apprendimento "motivato, attivo e costruttivo".
Si mira, tramite questi progetti, a far acquisire abilità, strategie e tecniche atte a risolvere problemi e a fornire i concetti di variabile, di procedura, di ripetizione, di ricorsività, concetti che sono trasversali alle varie discipline.
Ma ora chiariamo il significato del termine Informatica. Tra le varie definizioni due sono quelle più riconosciute e che possono essere considerate comprensive delle altre: l'Informatica si interessa dei fenomeni relativi all'informazione, cioè si interessa della trasmissione delle informazioni e dei procedimenti e dei mezzi di cui tale trasmissione si serve; oppure essa è una contrazione di Informazione e di auto-matica da cui vien fuori infor-matica, che riguarda tutto ciò che ha attinenza con l'elaborazione dei dati tramite i calcolatori ed è pertinente con il loro uso nel senso più ampio possibile.
La macchina addetta alla elaborazione delle informazioni è il computer, cioè l'automa.
Il rapporto informatica-didattica ebbe inizio negli anni `50 quando il computer fu ritenuto dagli psicologi comportamentisti uno strumento idoneo a sostituire le teaching-machines (macchine per insegnare) usate per l'istruzione programmata. Tale rapporto, però, si è venuto evolvendo e nuove possibilità sono state ravvisate nell'uso del computer, anche se, secondo Alfred Bork, si è ancora ai primordi di un uso efficace di questa formidabile macchina nel campo dell'educazione.
A volte si fa ricorso all'informatica povera, ma è senz'altro da preferirsi l'approccio diretto al computer.
Concesso l'accesso in aula al computer quale uso farne?
Attualmente le modalità prevalenti sono tre:
1) l'elaboratore usato come sussidio per l'insegnamento-apprendimento;
2) l'elaboratore considerato oggetto di studio;
3) l'elaboratore reputato strumento di pensiero.
Nel 1deg. caso il computer non é altro che una macchina per insegnare. Esso deve essere programmato in modo tale da stabilire un dialogo con l'utente, al fine di generare uno scambio informazioni-risposte e di offrire una valutazione tramite la conferma o disconferma in merito alla validità o non delle risposte. Esso rappresenta una guida "step to step" dell'allievo per il rinforzo di conoscenze e di abilità. In realtà chi interagisce con l'allievo é l'autore dei software. (Il software é costituito dai programmi, compilati in un linguaggio di programmazione, che danno possibilità alla macchina di funzionare e di soddisfare i bisogni dell'utente).
La macchina non sempre, però, sostituisce il docente o l'esaminatore. Essa può anche rappresentare il tutore o il compagno di gioco.
Secondo Clements "i punti forza" del tutoriale consistono nello stimolare l'interesse dell'allievo per una determinata conoscenza, nel rispetto dei ritmi di apprendimento, nell'essere interattivo, nel dare la possibilità del feedback immediato, nell'offrire il rinforzo o il recupero per coloro che si sono assentati o per i più lenti, nel consentire, inoltre, di poter conservare i dati, e in particolare, agli insegnanti di poter autoprogrammare le lezioni.
Bianca Maria Varisco trova i videogiochi e i giochi didattici "altamente interattivi". Essi, tramite il problem-solving, mirano a sviluppare "il pensiero strategico e i processi di inferenza", la creatività e il pensiero divergente, in più favoriscono la socializzazione e la collaborazione.
Col computer, inoltre, è possibile simulare esperimenti, situazioni geografiche, storiche, economiche, sociali. Anche se non può sostituirsi al laboratorio, in cui è possibile l'interazione allievo-realtà, ne può, però, incrementare le possibilità esperienziali, offrendo modelli della realtà che in quello non possono riprodursi.
E', comunque, molto difficile produrre un software che soddisfi le nuove esigenze delle scienze dell'educazione. I prodotti sul mercato non sempre sono di ottima qualità.
Attualmente si mira a migliorarli tramite l'Intelligenza artificiale. Già si parla di elaboratori che permettono un dialogo con l'interlocutore senza l'uso della tastiera o di altri dispositivi di input (mouse, yojstick, tavoletta grafica).
Se prodotto da specialisti, il software didattico diventa un valido aiuto per l'insegnante. che, a sua volta, deve comprenderne e dominarne il contenuto. Il docente, supplito dalla macchina in tutto ciò che è ripetitivo, meccanico, nozionistico, può puntare maggiormente sulla componente creativa e umana del rapporto col discente. "Tale rapporto non [è] sostituibile mai dalla relativa procedura tecno-didattica [qui cito il prof. Acone in "Dimensioni attuali della professionalità docente"] la quale può integrare sul fronte della istruzione, mai sostituire sul terreno dell'educazione".
Il 2deg. caso prevede il computer awareness (eiwerniss = consapevolezza), cioè lo studio dell'informatica come disciplina. Di solito si parte dalla conoscenza del personal computer nelle sue parti fisiche, hardware, per poi passare, tramite il ricorso ai presupposti logici, all'apprendimento di qualche linguaggio atto alla costruzione di software. Paolo Lollini vorrebbe che lo studio analitico ed approfondito dell'hardware, che, in realtà, mira alla professionalizzazione, venisse effettuato solamente in alcune scuole di secondo grado ad indirizzo specificamente tecnico-scientifico.
Secondo tale autore è un più ambizioso, ma valido progetto il voler usare, invece, il computer come strumento di pensiero. In tal caso la macchina è vista come portatrice di "germi" o "semi culturali" i cui prodotti intellettuali - secondo Papert - non necessiteranno di un supporto tecnologico "una volta radicati in una mente in attivo sviluppo".
Il computer tramite i suoi linguaggi, visti nell'ottica delle strategie matetiche (per l'apprendimento) ed euristiche (per la creatività, la scoperta) del problem-solving, offre modalità di apprendimento pregne di possibilità. Il bambino, imparando a programmare la macchina, può padroneggiarla e insegnando a questa a pensare, quasi per una sorta di magia, può esplorare il suo stesso pensiero. Tramite il personal computer il bambino può assimilare naturalmente nozioni di fisica, di matematica, di linguistica. Né corre il rischio che, imparando a pensare come il computer, algoritmicamente, possa trasformarsi in una "macchina pensante". Egli, invece, imparando volutamente a pensare meccanicamente, potrà distinguere il pensiero meccanico dagli altri tipi di pensiero, riuscendo così a destreggiarsi tra i vari stili del pensare. In realtà il bambino, tramite il computer, imparerà "a riflettere in modo articolato sul pensiero" (Papert) e a coglierne i meccanismi complessi. Questo piccolo ma complesso strumento può far crollare il muro, posto da Piaget, tra il concreto ed il formale e fungere, per il bambino, da trampolino di lancio da cui poter spiccare un salto di qualità, un salto verso la realtà adulta.
Un grosso timore può, però, impossessarsi dell'educatore e cioè che questo strumento si limiti ad interagire solamente colla sezione del cervello addetta alla logica. Ma "la natura stessa della macchina esalta quanto di creativo sta nell'uso del pensiero logico e quanto di logico sta nel dispiegarsi della creatività" (Lollini). Il computer non è una macchina necessitante nelle scelte, anche se è rigida nelle risposte agli stimoli. Scheffler si fa sostenitore della possibilità di approcci originali al computer tramite l'autoprogrammazione. Questo conferma, praticamente, ciò che la psicologia americana e i più recenti studi biogenetici hanno dimostrato circa una connessione, un'interazione tra pensiero convergente e pensiero divergente.
Numerosi sono i linguaggi utili per la programmazione: essi crescono come funghi e diventano più sofisticati e potenti per semplificare sempre più le operazioni interattive. Differiscono dal linguaggio naturale per la loro stringatezza.
Il BASIC è il più diffuso, ma è un linguaggio difficile. Richard Meyer sostiene che lo si può rendere più facile facendo ricorso ad alcuni accorgimenti. Essi sono: "chiarire il significato dei comandi; offrire modelli corretti e appropriati per rappresentare stati del sistema; favorire il transfer (l'apprendimento di un contenuto viene influenzato da un altro contenuto) tramite la presentazione di modelli "concreti" usando disegni e schemi; sviluppare i prerequisiti atti alla programmazione e cioè la conoscenza di procedure (algoritmi) e la capacità di dare una diversa forma ad un problema. Contrariamente a quanto si potrebbe immaginare, le capacità linguistiche e di calcolo non sono componenti utili al fine di un'ottimale utilizzazione del BASIC.
Nelle scuole al BASIC è preferito il PASCAL per la semplicità delle sue procedure.
Ma il linguaggio studiato circa 20 anni fa, specificamente per fini educativi, dal già citato Seymour Papert, è il LOGO. Esso rappresenta un ambiente per l'apprendimento della Matematica. LOGO permette al bambino di risolvere problemi logici, di ideare, di applicare, di correggere un programma. L'errore, in tale ambiente, acquista un valore educativo perché induce il bambino a riprovare, ad approfondire e, quindi, a "consolidare" il proprio apprendimento. L'oggetto per programmare é una Tartaruga che rende l'ambiente programmatico più vivo, più umano, perché in Turtle (la tartaruga) il bambino può identificarsi.
Il metodo adottato consiste nello stimolare il bambino a porsi il problema e nell'aiutarlo ad usare gli strumenti a disposizione. Il bambino dovrà risolvere il problema, superando gli eventuali errori (debugging).
Con LOGO si possono creare anche dei micromondi, cioè ambienti didattici. Matelandia è la città fantastica in cui il bambino, con l'aiuto dell'insegnante e con la collaborazione dei compagni, può aggirarsi per agevoli sentieri che lo conducono alla conquista delle conoscenze matematiche, evitando il rischio della matofobia. Questa, purtroppo, nelle nostre scuole, in cui non è stato dato un posto d'onore alla microelettronica, fa ancora numerose vittime.
La macchina, comunque, va utilizzata sempre come mezzo mai come fine.
Termino citando una frase significativa di Giovanni Paolo II su cui vi invito a riflettere: "Non bisogna immolare l'uomo sull'altare della macchina".
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