Silvana sta per compiere 15 anni quando -nel giugno 1997- viene al Servizio
di Psicologia per l'Età Evolutiva.
Sintetizzo qui alcuni elementi della storia familiare e ambientale della ragazza
quali sono emersi nel corso dell'intervento dai colloqui con lei stessa, con i
genitori e con operatori psicologici che l'avevano conosciuta in precedenza.
Silvana ha una sorella gemella, Anna, handicappata per un disturbo spastico alle
gambe, con cui vive insieme alla madre, insegnante. Il padre è medico e i
genitori sono separati da diversi anni, dopo una convivenza matrimoniale molto
burrascosa, fino a violenze fisiche. Il padre ha una storia pregressa di
alcoolismo e convive con una donna da cui ha avuto un figlio ora di 5 anni. La
famiglia materna è molto presente nella vita di Silvana attraverso la nonna e
una zia, con le quali la madre condivide un po' tutto dal parto e ancora di più
dopo la separazione dal marito. L'handicap di Anna ha sempre condizionato la
vita familiare. Dalla nascita ci sono stati molteplici ricoveri e interventi e
sempre la madre seguiva questa figlia in ospedale, Silvana restava affidata alla
nonna. I rapporti fra Silvana e la madre non sono mai stati facili e nel corso
degli anni sono divenuti sempre più conflittuali.
La relazione fra i coniugi è rimasta molto tesa ed è la madre a prendere tutte
le decisioni per le due figlie. Intorno ai 12 anni è stata la madre a portare
Silvana da una psicologa perché non riusciva più a gestirla. Le cose però non
sono migliorate e ultimamente per problemi economici le sedute sono state molto
ridotte.
La dottoressa telefonerà poi per esprimere la sua opinione sulla gravità del
conflitto fra la ragazza e la madre e i suoi timori sugli agiti anche autolesivi
da parte di Silvana. Di tutto ciò comunque non sembra aver mai parlato con i
genitori, ma desidera ora far presenti le sue vive preoccupazioni.
L'indicazione del Servizio di Psicologia è stata però data dalla psicologa
della Scuola Superiore dove Silvana frequenta il 2° anno. A questo
“Sportello” la ragazza si era rivolta spontaneamente e aveva effettuato
colloqui settimanali per circa due mesi. La dottoressa aveva telefonato al
Servizio per sapere se poteva inviare la ragazza. La situazione le appariva
grave, ma lei a scuola non poteva proseguire i colloqui e inoltre Silvana le
aveva posto il divieto a che fossero presi contatti con i genitori.
Dopo l'indicazione della psicologa scolastica Silvana telefona lei stessa e
viene puntuale all'appuntamento. Le sue prime parole sembrano proseguire un
discorso già iniziato con altri: “Viene perché è molto più depressa e
vorrebbe un aiuto”. Prosegue dicendo che ha scontri continui con la madre,
insegnante, con cui abita. Il padre, medico, è separato da circa 7 anni dalla
moglie, è alcoolista e da un anno frequenta l'Associazione Alcoolisti Anonimi.
La sorella gemella, che vive con lei, è handicappata -dice ancora- ed è
seguita da un medico e da uno psicologo di un reparto specialistico. Richiesta
del tipo di Handicap, dice che non sa, nessuno le ha mai detto nulla né
risposto alle sue domande. La sorella è spastica alle gambe, ma per lei ha
anche altro alla testa. Grida sempre e non si può toccarla perché tutti la
difendono e accusano lei di essere pazza. I medici hanno detto che lei ha fatto
un “furto di sangue” alla sorella durante il periodo fetale, ma non sa cosa
vuol dire. La madre la insulta sempre, la picchia, le dice di andarsene. Forse
lei ingrandisce le cose, ma vorrebbe andare ad abitare con un'altra famiglia e
vedere i suoi quando lo vuole. Vomita anche, ha cercato di morire con pastiglie
e altro ma non le fanno niente. Da anni inoltre la mandano da una psicologa, ma
ora non ne può più.
In poche frasi Silvana ha delineato con stupefacente sinteticità le sue
questioni, le ha rovesciate si può dire come richiesta pressante ad un Altro
rimasto finora muto. E' in questo appello, approdato al Servizio Pubblico in un
passaggio quasi metonimico, che mi è parso configurarsi l'aspetto più
drammatico della situazione di Silvana e intorno al quale si è orientato il
transfert. Nell'assenza di parole infatti Silvana è passata all'azione,
oscillando fra autolesione e accusa violenta agli altri.
Tuttavia, pur nei gravi rimproveri ai familiari, che articola con precisione,
Silvana insinua un “forse” relativo al suo ingrandire gli eventi e insieme
dice che “ora non ne può più”.
Fra questa possibilità di far apparire dietro le accuse il soggetto di una
domanda e l'urgenza, si intravede nella relazione transferale il margine
all'operatore per provare e tradurre gli atti in un discorso. Sembra che nessuno
sia entrato mai fra Silvana e la madre - triplicata, come dirà lei stessa, da
nonna e zia - in quella casa soffocante dove il doppio oscuro della sorella con
il suo male misterioso condiziona dalla nascita la vita familiare.
E tuttavia Silvana fa ancora un appello pressante, che l'operatore non può
ulteriormente ignorare e a cui occorre rispondere mostrando la propria posizione
e il desiderio che la sottende, pur nei rischi che ciò comporta.
Ho invitato così Silvana ad un secondo colloquio per poter comprendere meglio
la sua richiesta di allontanamento da casa, che in caso dovrà comunque essere
ratificata dal giudice.
Fra l'onnipotenza materna e la specularità di un ascolto falsamente paritario
mi è parso infatti importante che l'operatore potesse mostrare la sua posizione
all'interno di una legge che prima di essere del Tribunale è dell'ordine
simbolico e regola le relazioni fra gli esseri umani.
Silvana in questo secondo colloquio parla del padre. Si può dire che lei non lo
conosce. Ha ancora in mente le violenze terribili fra i genitori, il vetro di
una porta spaccato e la madre sanguinante, la sua paura mentre con la sorella si
rifugiava in camera durante queste scenate, ma non ricorda parole passate fra
lei e il padre. Dopo la separazione dei genitori, nelle visite periodiche che il
padre faceva alle figlie sempre in casa della madre, per lo più si sedeva con
loro in silenzio e a volta le pareva perfino che barcollasse. Ora vive con
un'altra donna e ha un figlio di 5 anni, di cui è stata lei stessa a scoprire
l'esistenza e a rivelarla alla madre, anche se poi verrà fuori che accenni
indiretti in casa c'erano stati più volte a questo proposito.
Appare così l'aspetto, che emergerà ancora in seguito, per cui Silvana si fa
agente dell'oscuro desiderio materno. In mezzo a cose mai dette, a domande che
lei stessa non è riuscita a fare come a risposte che invece le hanno prevenute
o impedite, nel non ascolto degli adulti intorno, Silvana è passata all'azione
e persiste nella sua richiesta: Vuole andarsene, anche se fosse -come
prospettato- in una comunità.
Accetta tuttavia un appuntamento con la madre, anche se non ha il coraggio di
dirle che è venuta da sola al Servizio di Psicologia, visto che è sempre stata
portata dagli altri a curarsi perché è la squilibrata di casa, la pazza della
situazione, come la sorella invece è l'handicappata “solo” fisica. Si
concorda allora che scriverò alla madre invitandola e la ragazza accetta
intanto un altro appuntamento. Nel corso di questo colloquio, sempre più
agitato, annuncia che ha chiamato il Telefono Azzurro (che infatti mi contatterà
e invierà poi una relazione) ed è addirittura andata al Tribunale per i
Minori, dove ha lasciato alla segretaria una relazione per il giudice.
Il T.M. infatti interviene subito in modo ufficiale inviando un fax con
richiesta di intervento immediato, insieme al Servizio Sociale, nei confronti
della ragazza e della famiglia. Di questa collaborazione fra operatori e Servizi
diversi e delle problematiche connesse dirò poi.
Alla comunicazione del T.M. è allegata l'istanza di Silvana, la cui conclusione
rinnova l'appello: “Non ce la faccio più a sopportare questa vita -scrive- ho
tentato di ammazzarmi perché non trovavo nessuna soluzione. Spero che il
Tribunale possa fare qualcosa per me.”.
Oltre gli atti, appare la richiesta di Silvana che un Altro meno sregolato di
quello parentale “faccia” per lei e i punti cruciali nel corso
dell'intervento evidenzieranno le scansioni per cui si prospetteranno possibili
e delicati passaggi dall'atto richiesto all'Altro alla sua propria parola.
Infatti, prima ancora dell'appuntamento fissato con la madre e sempre molto
agitata, Silvana telefona se può venire anche da sola, nel caso la lettera di
invito non arrivi. Richiama poi ancora per annunciare che verranno entrambe.
In questo colloquio la madre appare molto colpita, quasi incredula per
l'iniziativa della figlia soprattutto con il T.M., pur giungendo poi ad
ammettere che “se non succedeva qualcosa non ce la faceva più ad andare
avanti”.
E' di questa insostenibilità materna che Silvana sembra essersi fatta carico
con i suoi appelli reiterati e infine con il suo ricorso alla legge.
Viene così poi a delinearsi una complessa rete di interventi familiari e
istituzionali. Silvana tuttavia porta avanti il suo discorso con notevole
determinazione, nonostante momenti di ansia acuta che chiamano violentemente in
causa la responsabilità dell'operatore.
Alla vigilia della partenza per le vacanze infatti Silvana dice che non ce la
fa, non riesce a stare con nessuno dei genitori, la madre le suscita
“un'angoscia insostenibile”, il padre “un tremore immenso”. Con lui non
può stare perché se n'è andato di casa e ha già un figlio. Possibile che non
si trovi una famiglia che la vuole, anche alla sua età? e poi lei è pazza come
dice la nonna, additandola alla sorella handicappata? a lei sembra pazza Anna.
Comunque occorre proprio che lei vada per un po' via da tutta la sua famiglia.
Per la prima volta il padre prende la parola sulla figlia ed esprime una
proposta: che Silvana passi le vacanze in parte con una zia paterna ed in parte
con lui stesso (cosa mai fatta), mentre la madre, sempre molto sconvolta dal
rapido succedersi degli avvenimenti, fa fatica ad accettare il riallacciarsi dei
rapporti -da molti anni interrotti e mai buoni- con i parenti del marito. Il
Servizio Sociale concorda con la proposta.
Le vacanze passano come stabilito, ma al rientro Silvana è piena di rabbia. I
suoi genitori sono incapaci, tutti li riveriscono perché sono una insegnante e
un medico, ma invece come genitori non valgono niente, ripete rabbiosa. Gli zii
sono molto meglio, vorrebbe loro come genitori. Oltre i loro tre figli hanno
anche preso in affido una bambina piccola di 4 anni. Perché a lei è capitata
questa famiglia di pazzi? e minaccia ulteriori ricorsi al T.M. o gesti
autolesivi se non la si sistema subito lontano dai genitori. Col padre comunque
non può proprio stare, ribadisce. L'attuale compagna di questo infatti le ha
detto che ci sarebbe il rischio che lui torni a bere, visto che per causa loro
(moglie e figlie) è andato via di casa. Questa affermazione le ha fatto molta
paura, teme veramente che per colpa sua il padre si rimetta a bere.
C'è inoltre per Silvana sempre incombente e oscuro l'handicap mai precisato
della sorella e la rabbia profonda che questa le suscita. In un colloquio con i
genitori e Silvana il padre affronta l'argomento e -nell'attenzione immobile di
questa- parla dell'handicap di Anna. La malformazione è legata ad un precoce
distacco placentare e ad una emorragia endocranica di cui spiega con parole
semplici il significato, compreso l'oscuro accenno al “furto di sangue”
ipotizzato dai medici da parte del feto sano su quello malato. Deve anche dire
che guardando Silvana lo assale la rabbia e si chiede perché è così, cioè
non perché lei è sana -precisa- ma perché l'altra è malata.
Insieme al Servizio Sociale occorre comunque valutare la richiesta di Silvana di
essere ospitata dagli zii ed è necessario anche sentire il parere del Servizio
Sociale e Psicologico del paese di questi, che segue l'affido della bambina. Il
discorso così allargato non risulta sempre facile e questa molteplicità di
operatori comporterà notevoli problemi.
Infatti in un “buco” per così dire della rete fra operatori si situa un
agito di Silvana. Alla condizione rigidamente posta dall'équipe che segue
l'affido di un limite prefissato al soggiorno di Silvana presso gli zii e non
chiarito con lei stessa nei colloqui, la ragazza risponde con l'ingestione di
pochi farmaci che comunque provoca il suo ricovero in Ospedale. Dimessa subito,
anche per l'intervento del padre medico, Silvana affronta con violenza
l'argomento del luogo in cui abitare per sua scelta -insiste-, ma accetta poi la
proposta di esaminare nel corso del tempo l'evoluzione delle cose tenendo anche
conto delle altre persone implicate e dell'intervento, ormai imprescindibile,
del T.M.
Questo passaggio dall'urgenza alla possibilità di attesa non è semplice per
Silvana e si ripresenta in altre occasioni. A novembre infatti annuncia di non
voler più andare alla scuola d'arte che frequenta. Chi ha mai detto che è
portata per l'arte e che sa disegnare? fa solo sgorbi che i parenti lodano in
coro. A lei invece interessa una scuola che la faccia poi lavorare con bambini o
anche ragazzi in situazioni di aiuto, cioè sociali.
Pur nell'apparire di aspetti di identificazione alla madre e alla sorella
handicappata non è possibile ignorare, come chiedono i genitori, la richiesta
della ragazza. Silvana accetta di valutare più precisamente la scuola che
vorrebbe frequentare ed arriva nel corso dei colloqui ad un esame più
articolato della sua richiesta e ad una scelta di scuola in cui -come dirà-
“si impegna perché è voluta da lei”.
Il nodo più grosso tuttavia si presenta con la richiesta di lasciare la
famiglia degli zii per una Comunità, cosa che ha molto ferito gli stessi e i
genitori. Invitata a dire su questo, Silvana stessa ammette che dall'estate
qualcosa è cambiato, la sua domanda rimane ma l'urgenza è diversa. Per quanto
riguarda la Comunità inoltre riesce ad articolare la sua richiesta su tre
motivi. Il 1° è che questo la ascolti nei suoi momenti di crisi durante la
giornata. I genitori non lo facevano, ma nemmeno gli zii possono, hanno altro da
fare, sono sempre di corsa e presi da mille cose, non può nemmeno pretenderlo.
Il 2° è che in una comunità ci sarebbe meno “chiasso” intorno a qualsiasi
cosa sua, fra zii e genitori e nonni che se la ridono e tutti si ingigantisce.
Il 3° è che in Comunità lei sarebbe in mezzo ad altri ragazzi “tutti
eguali”, cioè tutti nelle sue stesse condizioni.
Evidentemente, pur nel loro aspetto, preciso di realtà che Silvana coglie bene,
tutti e tre i punti aprono su interrogativi suoi. Silvana fa inoltre una
domanda: “Se il giudice decide per la Comunità, verrà ancora lì ai
colloqui? perché questo non le ha creato particolare disagio, ma non ha nemmeno
risolto i suoi problemi. Anzi nei colloqui ha parlato molto degli altri, ma
fuori si fa domande su se stessa e si è accorta che a volte fa gli stessi
errori che rimprovera agli altri”.
Questo è il punto in cui si trova Silvana al momento e da cui può forse
iniziare un'altra scansione.
Alcune considerazioni conclusive.
Nell'ottica di una verifica della situazione di Silvana e del percorso fatto si
potrebbe porre una iniziale diagnosi di Disturbo Oppositivo Provocatorio ed
effettivamente dal punto di vista del comportamento è questo che emerge di più
e che gli adulti intorno lamentano. Da questa lamentela degli altri intorno
occorre che Silvana passi ad un malessere suo, se ne faccia carico senza
chiudere subito ogni interrogazione con un agito.
Dopo il breve ricovero in Ospedale inoltre Silvana, lamentando di dormire poco o
in modo agitato, ha chiesto una prescrizione in tal senso -come ne aveva
numerose la sorella-, per sorridere poi un po' maliziosamente all'osservazione
che il medico di famiglia conoscendola da molti anni appariva il più indicato
mentre noi facevamo altro.
Occorre anche dire qualcosa dell'intervento con i familiari. I rapporti con i
genitori infatti e poi con gli zii hanno avuto una parte imprescindibile
nell'intervento, non nell'ottica di modificare il sistema familiare ma in quella
di favorire da parte di ciascuno l'assunzione di un proprio discorso. Questo da
parte dei genitori si è sviluppato soprattutto sul versante della colpa per la
ferita insopportabile dell'handicap della figlia. La madre infatti ha da subito
collocato l'acuirsi del conflitto con Silvana all'epoca della scoperta, dopo due
anni, della nascita di un figlio al marito.
“L'aveva ferita molto -dice- che il marito non glielo avesse detto, perché
non pensava che la escludesse così dalla sua vita, anche se tutto il peso delle
due figlie e dell'handicap di Anna era sempre stato suo. Le era sembra un
tradimento”.
Il padre, defilato dietro l'assunzione della sua indegnità resa evidente
dall'alcoolismo, ha provato tuttavia a prendere parola. In un colloquio recente,
a proposito della persistente richiesta di Silvana di una Comunità il padre ha
espresso chiaramente il suo non sapere cosa volesse dire “patria potestà”,
chiedendosi come mai il giudice non gliela avesse tolta se pure riservava al
T.M. la decisione sul luogo di abitazione della figlia. “Allora non voglio
sapere nulla della sua scuola e dei fatti suoi -ha aggiunto- per giungere poi a
considerare la possibilità di manifestare alla figlia un interesse per la sua
vita e non solo per la sua collocazione.
Circa le strutture implicate vorrei dire brevemente che sempre più il Tribunale
viene chiamato in causa non solo come per il passato in caso di infrazioni in
senso lato alla legge, ma piuttosto come istanza normativa, in sostituzione di
una legge paterna di cui nell'attuale sembra difficile reperire i parametri di
riferimento.
C'è poi da prendere atto di un altro fenomeno relativo alla pluralizzazione
dell'offerta anche nel campo della salute mentale e la conseguente
parcellizzazione degli interventi. Un segno di questo è che il Tribunale chiede
si indichi un referente unico a cui far capo quando i Servizi implicati nel caso
sono diversi. Questo comunque, se può semplificare il lavoro al giudice, non
dirime di per sé le questioni cliniche che tale situazione comporta né da
indicazioni per la collaborazione fra operatori, cioè per un lavoro che sempre
più si può dire in “équipe allargata”, cioè fra più operatori di
Servizi diversi, che diviene talvolta molto complesso.
In questo caso ad esempio è stato necessario procedere ad integrazioni
successive di più operatori e di Servizi diversi, dall'iniziale collaborazione
con l'Assistente Sociale per il T.M. fino all'équipe del paese degli zii di
Silvana.
Si situa qui uno dei momenti più delicati dell'intervento per la diversa
formazione degli operatori. Quest'ultima integrazione infatti è risultata
particolarmente difficile perché, pur condividendo l'analisi del contesto
familiare anche allargato, la visione sistemica dello psicologo e
dell'assistente sociale divergeva invece molto sulle strategie da attuare.
E tuttavia pur in questa complessità occorre far emergere lo spazio clinico, la
cui garanzia mi pare possa trovarsi, pur a partire dal desiderio del singolo,
solo in una condivisione progettuale da verificarsi puntualmente nel rispetto
delle diverse competenze.