L'esperienza transessuale: un'interpretazione.

di Roberto Sabatini

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Ermafrodito dormiente, copia romana di originale ellenistico (III Secolo a.C.)

Questo tipo di esperienza e varietà sessuale o, come è stato assai precocemente definito, questo fenomeno, ha sempre avuto una parte nella storia sessuale dell'umanità nel suo complesso - persino in forme istituzionalizzate e ritualistiche - ma il termine che oggi lo individua è sorprendentemente recente: fu coniato dal dott. H. Benjamin, sessuologo e gerontologo, nel 1953. E' anche significativo che il suo debutto in società sia avvenuto in ambito medico-psichiatrico e che sia stato, in questi ambienti, percepito e classificato come un'ulteriore patologia, come un ennesimo disturbo della normalità sessuale.

Gli ambienti clinici presero definitivamente coscienza del "fenomeno" dietro la spinta esercitata dal notevole incremento di richieste di cambiamento di sesso, che molte persone inoltrarono a partire dalla fine degli anni '50. La pubblicità clamorosa del caso di Christine Jorgensen, le nuove acquisizioni scientifiche e le nuove capacità chirurgiche ebbero certo un peso determinante nell'impennata di domande di mutamento sessuale; finalmente, attraverso adeguati trattamenti ormonali, appropriate psicoterapie e soddisfacenti interventi chirurgici, era davvero possibile un efficiente, duraturo e convincente passaggio da un sesso all'altro e non una sua grossolana e patetica contraffazione. Così, da dissidio privato e vergognoso, da vicissitudine rocambolesca e spesso tragica, da calvario nascosto e solitario, il "fenomeno" ha trovato una sua dignità, una sua collocazione sociale, una sua legittimazione, anche fuori dell'ambiente clinico.

Pur dovendo pagare alla scienza lo scotto di una sindrome patognomonica, pur dovendosi esporre al dileggio e al disprezzo dei meschini e alla tolleranza nauseante dei normali, la transessualità è scesa in piazza, è riuscita a mettersi in evidenza e, a tratti, anche a costituirsi come movimento di opinione e di costume, con valenze psicologiche, politiche e culturali, affiancandosi alle altre minoranze e condividendo con esse le varie stigmate, generosamente offerte da una società, sedicente aperta, ma sostanzialmente indifferente, ipocrita, violenta, selettiva, denigratoria del diverso.

I transessuali sono la massima dimostrazione, la maggior prova vivente sia dell'ineluttabilità e della potenza del bivio di genere, dell'insopprimibilità della scelta di campo e, anche, dell'incertezza, della confusione, della continuità e dell'intercambiabilità sessuale, in uno stesso individuo. Tra l'altro ciò mette in sorprendente evidenza che sesso e genere non coincidono, né strutturalmente, né esperienzialmente e che l'impiego dell'uno come sinonimo dell'altro è un vizio o una mera consuetudine lessicale: la differenza si potrebbe riassumere figuratamente dicendo che il sesso concerne ciò che sta sotto la cintura, il genere ciò che sta sopra. Da una certa prospettiva la dinamica transessuale può essere vista come un aspetto particolare, estremo, del più generale fenomeno dell'oscillazione sessuale umana, implicata sia dalla bisessualità originaria, sia dai complicati chimismi concomitanti, sia dalla sua complessa evoluzione psicologica, sia dalla sterminata varietà di stili, valori e modelli erotici reperibili.

Esiste una scala d'orientamento sessuale (S.O.S.) che mostra un ampio spettro continuo di comportamenti, identità, ruoli e scelte sessuali. Essa parte da un debole e sporadico impulso al travestimento con abbigliamento tipico dell'altro sesso, per arrivare alla totale inversione psicosessuale; da una blanda e occasionale voglia di abbigliarsi fino all'improcrastinabile necessità della modifica somatica del proprio corpo e, in particolare, dei genitali. Sia i travestiti che i transessuali manifestano discrasie di ruolo e di identità di genere e sono particolarmente sensibili e interessati a queste dimensioni, dalla più superficiale apparenza (l'abbigliamento, o il trucco) alla più intima sostanza (i genitali, la personalità) e tuttavia ciò non condiziona (né, a sua volta, è condizionato da) la loro scelta sessuale che può essere etero, omo, bisessuale, nei casi più ricorrenti, ma anche ripiegarsi feticisticamente su oggetti (vestiti, ad esempio), o su se stessi (narcisismo), o presentare una pronunciata debolezza libidica, fino alla asessualità.

Sul piano fenomenologico il transessuale percepisce il suo corpo come un errore o una trappola. Egli non riceve dal corpo un "dover essere", una somma di segnali a cui conformare il suo sentimento, il suo desiderio, la sua volontà: al contrario, la sua psicologia, la sua personalità possiede una coerenza, un'unità e una determinazione capaci di scontrarsi, anche mortalmente, con la forma e la realtà fisica del proprio corpo e di imporgli precise condizioni. Il transessuale sente che il destino convenzionalmente legato al sesso in cui si è incarnato non è il suo destino; avverte un'intima estraneità ai modi, alle aspettative, alle mete e ai dettagli socialmente e culturalmente correlati al genere in cui si sente "gettato", in cui è stato imprigionato, prima da un'anatomia e da una fisiologia, poi da una collettività e da una tradizione. In questi specifici termini, ad onta della rivoluzione radicale che intende operare sul proprio corpo, il transessuale presenta una psicologia lineare: non riconoscendosi nel genere cui è stato assegnato dal destino, vuole semplicemente mutarlo, passare all'altro sesso, di cui assumerà, magari, i tratti e gli elementi più ricorrenti, enfatici, tradizionali e di cui chiederà l'ufficiale accettazione, non solo alla società, ma anche alle sue istituzioni.

La transessualità ha confini significativamente combacianti con l'omosessualità e col travestitismo, ma ciò non deve favorire né giustificare facili conclusioni. Il travestirsi è spesso una tappa forzata del percorso transessuale, una gratificazione sostitutiva e un assaggio della bramata identità; essa resta però una trasformazione approssimativa, un'apparenza, non è mai un punto di approdo ed una vera meta per il transessuale autentico. Il travestitismo genuino - si noti che non esiste un sostantivo positivo per indicare questa pratica - porta in direzione della bisessualità o di forme negate e traslate di omosessualità e dà comunque luogo ad altri comportamenti erotici.

E' inoltre improprio e fuorviante definire omosessuali le scelte dei transessuali anche se, spesso, i loro oggetti, i loro obiettivi sessuale sono e restano i membri del loro stesso sesso biologico, del loro genere originale. Essi desiderano sì persone del loro stesso sesso di nascita, ma rapportandosi loro come membri dell'altro sesso, in tutto e per tutto: essi intendono queste relazioni come eterosessuali a tutti gli effetti e non c'è alcun motivo per cui questa deposizione abbia meno valore di quella rilasciata dagli eterosessuali tradizionali. Insomma, nonostante siano i portatori di una confusione così intima e profonda come quella di genere, i transessuali chiedono fermamente una precisa identità sessuale e la sua stessa legalizzazione.

Pur trovandosi coinvolti in modo totale in una situazione assai prossima all'ermafroditismo e all'androginìa, essi le rigettano senza esitazioni ed esigono un'univocità sessuale e di genere davvero completa, fino al punto di non temere, ma anzi bramare, la modifica somatica e fisiologica del loro stesso corpo. La loro è una testimonianza potente e anche drammatica dell'urgenza e della necessità di una chiara e precisa identità di genere, una risposta totale, esaustiva al bisogno di sapere chi siamo e da che parte stiamo. Tutto ciò sembra smentire la possibilità di una composizione dei conflitti, di una pacifica e produttiva compresenza dei generi in una stessa persona, di una tregua nella guerra dei sessi, di una valorizzazione dell'ambivalenza costitutiva dell'essere, almeno alle sue origini. Essi denunciano la necessità prioritaria dell'identità di genere quale prima pietra di fondazione del loro stesso Principium individuationis. In questi termini l'esperienza transessuale conferma quella eterosessuale ed entrambe stabiliscono che esistono due rive opposte quali unici territori calpestabili, che non si può stare in mezzo, né tenere i piedi su entrambe le sponde.

Quasi sempre, quando si parla o si ha a che fare con la transessualità, si intende o si sottintende quella di uomini che si trasformano in donne. Pur non disponendo di dati precisi o di percentuali esatte, si può approssimativamente scontare un rapporto uno a otto tra femmine e maschi: solo in un caso su otto si tratta di una donna che intende trasformarsi , o si è trasformata, in un uomo. Tuttavia sembra che il comportamento omosessuale sia molto più frequente nei maschi che nelle femmine e che l'esposizione agli ormoni femminili materni durante la gestazione espone più i maschi che le femmine all'incertezza di genere.

In effetti va detto che in mancanza di precise informazione genetiche, cromosomiche e ormonali, la morfogenesi e il successivo sviluppo, almeno per i mammiferi, proseguono spontaneamente in direzione femminile. Da questo punto di vista la maschilità si presenta come una specializzazione più complessa e delicata, più esposta alle carenze e agli errori o alle incertezze evolutive. Questa circostanza rende perlomeno più probabile la tendenza alla trasformazione in donna. Nei confronti dell'omosessualità c'è però da rilevare che, spesso, le donne tendono più a nascondere che ad esibire o evidenziare la loro intimità sessuale; manifestano inoltre una maggiore remissività adattiva e sono infine più attirate dai sentimenti che dalle esperienze: "sentono" di più e "agiscono" di meno. Ma queste qualità rientrano anche - guarda caso- nello stereotipo della femminilità tradizionale, per cui esiste una circolarità tautologica difficilmente eliminabile.

Comunque è possibile che le donne che intendano trasformarsi in uomini siano più numerose di quanto non si evidenzi nella clinica che gestisce il fenomeno transessuale, proprio in forza della loro maggior capacità di rinunciare e di vivere interiormente il loro desiderio, ma questo stesso ragionamento è paradossale, poiché il transessuale sembra agire come mosso dalla logica del sesso cui aspira, non di quello da cui proviene! In tal caso dovrebbe valere l'opposto.

Chi ha avuto modo di frequentare transessuali, passata l'incertezza del primo impatto, ha presto imparato a riconoscerli. Non solo e non tanto per alcune loro caratteristiche somatiche fin troppo evidenti (per esempio, nei transessuali maschi: la fattura e le dimensioni delle mani, la corporatura massiccia e imponente, la voce grave e grossa, la misura dei piedi) ma per qualcosa di tanto sottile e discorsivamente indefinibile, quanto emotivamente ed eroticamente decisivo e inconfondibile. Si tratta di qualcosa che non deve passare inosservato e che, forse, consiste nel tipo di femminilità che i transessuali costruiscono: essi tendono ad essere femminili secondo alcuni clichèes, spesso riconducibili alle varie forme tradizionali di "femme fatale", di vamp, di pin-up o, in ogni caso, di donna eroticamente conturbante e sessualmente seducente. Spesso esprimono una femminilità che sembra rispondere proprio al modello che molti uomini fanno proprio e che viene spesso rappresentato ed esternato nello spettacolo erotico. I transessuali manifestano una notevole complicità con tale modello e incarnano con enfasi erotica particolare quelle sembianze e quei modi. La loro femminilità è qualche volta caricaturale, altre volte semplicemente esagerata, ma ciò viene anche incontro al bisogno di sottolineare e comunicare la nuova identità, di prendere distanza dalla precedente, di cancellarne ogni residuo.

Al di là di tutto ciò, tuttavia, persiste qualcosa di concettualmente impalpabile ma eroticamente determinante, al punto che essi sono oggetto di una crescente e specifica concupiscenza, di un particolare desiderio, capace di alimentare e sostenere un preciso giro di prostituzione. Proprio dal mondo della prostituzione transessuale si possono trarre alcune illuminanti considerazioni, poiché proprio qui si ritrovano concentrati alcuni elementi significativi della loro nuova identità.

Fino a qualche tempo fa il cliente doveva accertarsi di non aver ingaggiato un omosessuale travestito (una "regina") ma, effettivamente, una donna (e su questo tema l'aneddotica popolare e la cinematografia da avanspettacolo ci ha ossessionato e anche annoiato con scenette e battute da quattro soldi). Ora, invece, si è creato un universo sessuale a sé stante in cui una clientela socialmente trasversale è interessata a procurarsi rapporti proprio con i transessuali, magari del tutto escludendo l'offerta femminile. Ciò fino al punto da aver generato conflitti concorrenziali e spartizioni territoriali, tra prostitute donne e prostituti "transex" (tra cui i famosi "Viados").

E' evidente che essi soddisfano precise esigenze erotiche e aspettative sessuali strettamente connesse con le problematiche inerenti al genere. Infatti, quel che sembra prevalere in simili situazioni, non è tanto il transessuale completamente trasformato (genitalmente operato) e normalizzato come membro dell'altro sesso, magari del tutto inserito in una trama ordinaria di vita familiare e quotidiana, quanto una sorta di ibrido sui generis che mette bene in evidenza la sostanziale differenza tra sesso e genere.

Ad essere molto richiesta è, in effetti, la prestazione della figura ambigua che la terminologia pornografica anglofona individua come "She-Male", la donna col pene, la persona dalla presenza, dalle sembianze, dalle movenze, dall'anatomia estremamente femminile, femminile in tutto, fuorché nel genitale! (non è d'altro canto un caso che molti clienti chiedano ai transessuali di usare il loro membro su di essi in modo, appunto, virile e attivo, cioè da uomini).

E' già stato detto della notevole reazione che gli uomini manifestano a proposito dei loro stessi genitali, trattando la pornografia: oltre a soddisfare una forte componente narcisistica, la reiterata presenza e richiesta di genitali maschili, soprattutto in erezione, ha un grande valore omosociale per gli uomini, indipendentemente dalle loro scelte e gusti sessuali. Nella stessa pornografia il pene è ossessivamente e ritualisticamente centrale e conferma l'intensa reazione erotica maschile; questa reazione non può però essere definita omosessuale poiché è strettamente confinata al genitale e potrebbe meglio essere descritta come omogenitale.

Un altro ambito in cui è evidente l'importanza del proprio genitale non solo come mezzo ma anche come obiettivo di soddisfazione, è quello della masturbazione: l'investimento erotico riversato sul proprio genitale lo trascende come semplice strumento di piacere e lo colloca fra le mete, in sé libidiche.

I clienti dei "trans" esprimono insomma un'intensa attrazione erotica omogenitale, ma simultaneamente rigettano la corrispondente identità di genere: quella maschile. Il loro ideale è infatti un corpo e una personalità femminile dotata di genitali maschili: una sorta di eterosessualità (per il genere) omogenitale (per il sesso).

Se questo è l'ideale del cliente esso è anche l'ideale che si sta diffondendo e consolidando nella popolazione transessuale: moltissimi vogliono essere e sentirsi donne come persone e genere ma, rifiutando di operarsi e trasformarsi anche genitalmente, intendono mantenere l'elemento cardinale, il nucleo decisivo della maschilità: il suo organo genitale. Probabilmente è proprio questo ibrido quasi ermafroditico che consente la soddisfazione di elementi bisessuali e ambigui di molte persone: il pene si mantiene come un baricentro decisivo dell'erotismo maschile, sia nell'esperienza etero che omosessuale, sia come mezzo che come fine, sia attivamente che ricettivamente.

Tutto ciò non trova riscontro nell'erotismo lesbico e nella stessa eterosessualità la donna tende comunque a portare sull'intero corpo l'attenzione e la dedizione erotica, non a concentrarla necessariamente sui genitali. La stesa nudità femminile, la sua diffusa sensualità, invitano ad una interezza e ad una completezza libidica che salda la determinazione e la concentrazione genitale con l'indecisione e la vastità extragenitale.

Eroticamente la femminilità tende a valorizzarsi come genere (modo di essere), la maschilità dà invece priorità al sesso; la prima offre il corpo nel suo insieme, propende per l'unità; la seconda ostenta il genitale, si identifica con la parte: nell'ibrido transessuale queste due tendenze si riuniscono ( e anche si modificano, ovviamente) in un solo individuo. Siamo però così di fronte ad una nuova identità sessuale, una novità che urta fragorosamente contro l'inquadramento e la normalizzazione che le società operano su tutto e tutti.

La "She-Male" si configura infatti come una forma inedita di ermafroditismo. La definizione non è esagerata poiché l'ano viene valorizzato e usato come un perfetto sostituto della vagina femminile, non come una piacevole e trasgressiva variante coitale, ma come il luogo ricettivo per eccellenza: organo dalle valenze e funzionalità del tutto femminili. C'è da dire però, che a differenza degli omosessuali, nei transessuali non operati il pene è spesso destituito di valore e di significato virile: non è più cioè un organo di intenso investimento libidico, non è più così finalizzato alla penetrazione e non viene più vissuto con quelle valenze falliche, tipiche dello stereotipo maschile. Da questo punto di vista, forse, non si conserva una perfetta simmetria bisessuale.

In sostanza il transessuale che sceglie di non operarsi crea e colonizza una terza sponda sessuale, caratterizzata non dall'abolizione o dall'elisione dei sessi e dei generi, ma da una sommatoria complessa di maschilità e femminilità, ottenuta attraverso una mescolanza inedita di sesso e genere. Questo e precisamente questo è il nuovo elemento erotico che semina e alimenta lo specifico giro di prostituzione transessuale, poiché esso soddisfa la forte domanda di bisessualità e di ambiguità erotica e psicologica.

L'esperienza transessuale è paradigmatica della irriducibilità dei generi e della loro non sovrapponibilità, ma anche della loro compresenza e contiguità in una stessa persona. Essa testimonia anche del carattere evolutivo e psicologico della formazione e del consolidamento dell'identità di genere e della discrepanza di questa con la sessualità intesa come estrinsecazione e scelta libidica. La transessualità, insomma, sottolinea l'indistruttibile alterità ontologica del mascolino e del femminino quali modi di essere e di sentire se stessi, gli altri, il mondo e la vita ma, a un tempo, ne mostra anche il loro inevitabile miscuglio in ogni individualità, la loro incessante influenza nella costruzione di ogni personalità.

Molti transessuali, di fronte alla confusione e al conflitto tra sesso e identità di genere scelgono con fermezza di modificare il primo in accordo con la seconda, mostrando con ciò l'imprescindibilità, ai fini della costituzione di sé, di sapere bene da che parte stare. Ma molti altri, forse altrettanti, trovano in un'inedita coabitazione di sesso di un genere e identità dell'altro, la loro condizione di equilibrio, mostrando con ciò la possibilità di una terza via, creando i presupposti per un orizzonte erotico più complesso, forse più incerto e problematico, ma anche più aperto e inesplorato.

Articolo pubblicato su www.psicologiaonline.it