Il problema dell'intelligenza   

di Massimo Rinaldi             

Uno dei primi scopi che la psicologia si è data, fin dall'inizio del secolo, è stata la misurazione dell'intelligenza. Molti ricercatori si sono impegnati nella definizione dell'intelligenza e nella ricerca dei fattori che la compongono. Sono nate scuole di pensiero diverse, ma tutte erano d'accordo sul fatto che l'intelligenza fosse un dato sostanzialmente unitario e misurabile, e che si potesse esprimere il livello dell'intelligenza di un individuo attraverso un punteggio specificamente calcolato.

Per ciò sono stati costruiti diversi test, perfezionati in seguito di pari passo con l'avanzare della loro diffusione, e sempre più utilizzati, specialmente nella psicologia americana, tanto nel campo della psicologia del lavoro (selezione del personale e orientamento) quanto in quello scolastico. Il risultato dei test di intelligenza viene di solito sintetizzato in un punteggio, chiamato QI o quoziente d'intelligenza. Il punteggio di 100 corrisponde al risultato medio; punteggi poco superiori o poco inferiori a 100 corrispondono sempre a risultati medi al test; punteggi sensibilmente più alti (ad esempio, oltre i 110 punti) o sensibilmente più bassi (ad esempio, sotto i 90 punti) corrispondono a prestazioni rispettivamente al di sopra e al di sotto della media. Scarti ancor maggiori indicano prestazioni al test ancora più difformi da quelle medie. Negli States l'applicazione dei test inizia già nella scuola materna e il QI così calcolato costituisce spesso un ingombrante bagaglio che lo studente porta con sé come un viatico per tutto il suo iter formativo.

Oggi, a distanza di molti decenni dalle prime ricerche e dai primi test, nuove voci si levano a contestare queste pratiche e queste concezioni. Primo fra tutti, H. Gardner, psicologo e pedagogista americano, che spicca per la serietà delle sue conclusioni e per l'importanza e l'imponenza della sua critica.

Secondo Gardner, non esiste una sola intelligenza, ma molte, poiché nei diversi campi applicativi la mente umana dimostra di possedere differenti potenzialità, indipendenti da quelle degli altri settori. Per fare un esempio, si pensi alle attitudini possedute da uno studente riguardo le lettere, la matematica e il disegno: difficilmente si verifica che il livello di abilità specifica sia il medesimo, e ciascuno mostra differenti propensioni, niente affatto omogenee nella maggior parte dei casi.

Basandosi su molte e complesse osservazioni, Gardner definisce quindi il concetto di intelligenze multiple: non una sola intelligenza con propensioni diverse, ma intelligenze diverse: è l'uovo di Colombo, l'evidenza sotto gli occhi di tutti, ma di cui nessuno si avvede finché non viene evidenziata. Già altri autori avevano parlato di analisi fattoriale dell'intelligenza, ma nessuno aveva ancora mai messo in discussione il concetto stesso di intelligenza.

Secondo l'analisi svolta da Gardner, da lui stesso considerata tuttavia provvisoria, esistono almeno sette intelligenze: linguistica, matematica, musicale, figurativo-spaziale, corporea-cinestesica, intra-personale, relazionale. Ciascuna di esse nasce e si sviluppa in modo indipendente dalle altre, anche se per l'espletamento di molti compiti che la vita ci impone si richiede il concorso di più di una competenza (intelligenza).

È opinione di molti che la teoria di Gardner costituisca un importante punto di partenza per la revisione critica del concetto di intelligenza. Questa è anche l'opinione dello scrivente.

Articolo pubblicato su www.psicologiaonline.it