Giovanni Abignente (1)

Sulla questione della modifica degli atteggiamenti:
è possibile ridurre il pregiudizio etnico?
Una ricerca fra adolescenti

 

Le problematiche legate alla possibilità di riduzione del pregiudizio, che da sempre ha costituito un oggetto di interesse e una sfida per gli psicologi sociali, ritornano drammaticamente d'attualità nel periodo storico presente: il moltiplicarsi di scambi e di incontri multietnici e multirazziali produce sempre più frequenti manifestazioni di intolleranza e di discriminazione nei confronti di coloro che vengono categorizzati e stigmatizzati in base alla loro diversa appartenenza etnica.
La difficoltà di ridurre il livello del pregiudizio negli individui e nei gruppi è legata alla resistenza, ben nota agli psicologi, che negli individui si oppone ad una modifica degli atteggiamenti di cui sono portatori e che condividono, rinforzandoli grazie all'attiva influenza dei processi di conformità, con gli appartenenti ai loro gruppi di riferimento. Tale difficoltà è tanto più rilevante in quanto, come è stato messo in evidenza in modo particolare da Devine, il pregiudizio influenza il comportamento della persona anche quando questa consapevolmente sostiene opinioni non pregiudiziali (Devine, 1989; Arcuri, 1990).
Pur essendo diffuso da lungo tempo, soprattutto nella psicologia sociale americana, l'interesse per le tematiche relative agli atteggiamenti, solo in tempi relativamente recenti si è cominciato a prendere in considerazione due aspetti originariamente sottovalutati: la dimensione socio-culturale ed ideologica che interviene massivamente nella formazione degli atteggiamenti come variabile non facilmente modificabile in ambito sperimentale (Moscovici, 1984b) e la pregnanza della funzione di economia cognitiva svolta dai processi che intervengono nella produzione degli stereotipi, elementi cognitivi centrali degli atteggiamenti pregiudiziali.
Il pregiudizio, come ogni atteggiamento, partecipa di diverse dimensioni: cognitiva, emotivo-affettivo-motivazionale, conativa-comportamentale. Le analisi più tradizionali del pregiudizio, condotte da studiosi che condividono l'interpretazione freudiana della lettura di Adorno e dei colleghi della Scuola di Francoforte (1950), hanno privilegiato la dimensione emotiva ed affettiva, accentuando o la dinamica conflittuale intrapsichica responsabile della formazione del pregiudizio negativo verso l'estraneo o l'influenza dell'educazione familiare. Se fosse data rilevanza esclusiva a tali componenti, la riduzione del pregiudizio, e dei comportamenti discriminatori che ne derivano, dovrebbe passare attaverso una modifica delle dinamiche emotive, con interventi che tengano conto delle determinanti intrapsichiche personali, della storia psicologica individuale, delle influenze familiari ed educative che hanno contribuito alla formazione del pregiudizio. Un tale intervento, come nota Cacciaguerra (1994) si configura come un vero e proprio intervento clinico, di ben difficile attuazione anche, e forse soprattutto, per la scarsa consapevolezza che i portatori di pregiudizio hanno del carattere pregiudiziale dei propri atteggiamenti e quindi per la scarsa o nulla disponibilità al cambiamento (Yzerbyt e Schadron, 1994, p. 128).
La comprensione dei fenomeni legati al pregiudizio ha beneficiato di un duplice spostamento di interesse messo in atto dalla psicologia sociale: verso le dinamiche peculiari delle relazioni intergruppo e verso gli aspetti cognitivi del sociale (Capozza e Volpato, 1994).
Per il primo versante, è merito degli Sherif l'avere spostato l'attenzione dall'analisi delle dinamiche ingroup alla considerazione delle dinamiche di competizione e collaborazione che si stabiliscono fra gruppi diversi: la teoria dei conflitti reali costituisce probabilmente il primo tentativo di comprensione del pregiudizio e del bias a favore dell'in-group in termini squisitamente psicosociali (Sherif, 1966).
Sul secondo versante, la rilevanza dello stereotipo come aspetto cognitivo del pregiudizio e la sua funzione di economia psichica nel normale funzionamento cognitivo erano già state ben messe in evidenza da Lippman nel 1922 (2), e Allport indicava nelle stesse caratteristiche del sistema di trattamento dell'informazione da parte degli osservatori l'origine degli stereotipi (Allport, 1954); ma è solo negli ultimi due decenni che il focus dell'attenzione si è spostato su tali aspetti, producendo una ricca messe di ricerche e interpretazioni teoriche degli stereotipi e delle loro origini e funzioni socio-cognitive: dalle ricerche sulla categorizzazione sociale (vedi la rassegna di Corneille e Leyens, 1994), a quelle sull'attribuzione, fino alla teoria dell'identità sociale di Tajfel (1981) che ha il merito di integrare gli aspetti cognitivi con gli aspetti motivazionali in gioco nella valutazione e nella discriminazione intergruppo.
Per quel che riguarda l'aspetto comportamentale del pregiudizio, è stato osservato che non necessariamente al pregiudizio si accompagna la discriminazione e che, viceversa, un comportamento obiettivamente discriminatorio può essere esente da pregiudizio (Billig, 1984; Pettigrew, 1959; Bourhis, Gagnon e Moïse, 1994). Questa relativa assenza di interdipendenza comporta, come conseguenza negativa, il fatto che un'eventuale modifica della valutazione cognitiva dell'oggetto del pregiudizio e della correlata disposizione emotiva non possa essere considerata come condizione sufficiente per una corrispondente modifica del comportamento, facilmente influenzato da un'adesione conformistica alle norme sociali o culturali del gruppo di appartenenza.

 

Strategie per la riduzione del pregiudizio


Le modalità tradizionalmente proposte per la riduzione degli atteggiamenti pregiudiziali fra gruppi diversi, ed in particolare per ridurre la discriminazione nei confronti delle minoranze etniche oggetto di pregiudizio, si fondano generalmente sulla nota ipotesi del contatto (contact hypotesis ): moltiplicando le occasioni in cui si crea prossimità con il gruppo caratterizzato da una qualsivoglia diversità e incrementando la diffusione di elementi conoscitivi su di esso, si possono modificare gli stereotipi negativi che sottostanno ai comportamenti discriminatori nei suoi confronti.
I limiti dell'ipotesi del contatto, che è stata all'origine della politica di desegregazione razziale negli USA a partire dagli anni '60, erano già messi in evidenza da Allport (1954), che pure ne era un sostenitore. Egli indicava infatti le condizioni indispensabili perché il contatto possa avere come effetto la riduzione del pregiudizio (obiettivo comune da realizzare, sostegno normativo, eguaglianza di potere e di statuto fra i gruppi in contatto). A quarant'anni di distanza, un'analisi delle ricerche condotte sull'argomento conferma che solo in condizioni particolari il contatto è suscettibile di ridurre il pregiudizio e la discriminazione intergruppo (Bourhis, Gagnon e Moïse, 1994). Bisogna in particolare tener conto del fatto che una valutazione positiva dei membri di un altro gruppo con i quali si è stabilito un rapporto diretto può essere generalizzata all'insieme del gruppo solo se quei membri sono percepiti come prototipici del gruppo e non come eccezioni. E' stato messo in luce il fenomeno della sottotipizzazione, che sembra costituire un ostacolo alla modifica dello stereotipo per apporto di informazioni controstereotipiche (Hewstone, 1989; Johnston, Hewstone, Pendry e Frankish, 1994). Per contrastare questa resistenza al cambiamento, Hewstone e Brown (1986) suggeriscono che la proposta di informazioni controstereotipiche sia preceduta dall'instaurazione di un'interazione positiva; è però necessario che il comportamento degli individui controstereotipici possa essere percepito come derivante dalla loro identità in quanto appartenenti al gruppo piuttosto che da caratteristiche personali. E' inoltre opportuno prendere in considerazione le condizioni nelle quali ha luogo il contatto: a seguito di una ricerca condotta in ambito scolastico, Wagner, Hewstone e Machleite (1989) evidenziano come la semplice copresenza di appartenenti a gruppi etnici diversi non vada confusa con un reale contatto e come il contatto possa ridurre il pregiudizio solo quando avviene in condizioni favorevoli (e tali non sono, ad esempio, la vicinanza abitativa in quartieri ghetto, situazioni di competizione per un impiego, obbligazioni coercitive e frustranti, discriminazioni relative al rendimento scolastico ecc.).
La seconda strategia citata - l'apporto di informazioni conoscitive sui gruppi minoritari oggetto di pregiudizio e di discriminazione - è considerata già da Allport come suscettibile di incidere sulla componente cognitiva stereotipa, modificandola nel senso di una maggiore comprensione di differenze e somiglianze. E' la strategia che dà origine, in ambito scolastico, ai programmi di insegnamento multiculturale. Ma la ben nota rigidità degli stereotipi e la sottovalutazione degli aspetti affettivi e motivazionali può non solo inficiare ogni tentativo di modifica ma addirittura indurre un aumento degli atteggiamenti pregiudiziali. In tal modo, dei programmi di insegnamento multiculturale possono diventare, per usare un'efficace espressione di Brandt, "a Trojan horse created as a proverbial peace offering but containing within in the back a lash of a restructured racism" (Brandt, 1986, p. 118). In una rassegna della letteratura sulle strategie messe in opera per la riduzione del pregiudizio, anche McGregor nota come aumento del contatto intergruppo e apporto conoscitivo se presi isolatamente, possano avere effetti controproducenti; mentre se sono attentamente programmati ed integrati, possono costituire la base per realizzare interventi più approfonditi ed efficaci (McGregor, 1993).

 

Metodi attivi


Fra i metodi che potremmo definire 'attivi', in quanto fondati sull'attivazione di esperienze comportamentali e di coinvolgimento personale, il più conosciuto è sicuramente quello della cooperazione volta a fini comuni, realizzato sperimentalmente dagli Sherif (1966). Le ipotesi e le procedure sperimentali degli Sherif sono fin troppo note perché se ne debba accennare in questa sede. Bisogna però tener conto del fatto che la validità ed i limiti della cooperazione sono legati alla possibilità di controllare la variabile successo (Worchel, Andreoli e Folger, 1977): una cooperazione fra gruppi che abbia come esito l'insuccesso ottiene, come risultato, lo sviluppo di atteggiamenti nei confronti dell'out-group ancora più sfavorevoli di quelli prodotti dalla competizione; a meno che la causa dell'insuccesso non possa essere chiaramente attribuita a circostanze ambientali sfavorevoli esterne ai gruppi stessi. E' ancora Worchel (1986) a mettere in guardia contro il rischio di impegnarsi sulla via della cooperazione intergruppo senza avere prima valutato attentamente le possibilità di un esito favorevole dell'azione comune. E d'altra parte, come notano acutamente Bourhis e coll., "il faut admettre que dans la vie réelle la coopération intergroupes n'est pas facilement réalisable entre des groupes rivaux déjà en situation de conflit réel. (...) il reste à démontrer que l'effet bénéfique de la coopération peut se généraliser aux situations intergroupes plus courantes, caractérisées par un partage inégal du pouvoir, du statut et des ressources" (Bourhis, Gagnon e Moïse, 1994, p. 193).
Il role-playing, come tecnica per ridurre pregiudizio e discriminazione, è stato utilizzato principalmente in situazione scolastica in presenza di classi multietniche. Comporta lo sforzo di identificarsi con membri della minoranza discriminata per assumerne la differente prospettiva cognitiva ed esperienziale (McGregor, 1993). Una variante del role-playing, che ne accentua la dimensione cognitiva, è la situazione di accordo forzato, nella quale si richiede all' individuo di sostenere una posizione differente dalla propria (De Montmollin, 1989). Il role-playing si fonda sulla possibilità di decentramento cognitivo ed emotivo ed a sua volta contribuisce ad incrementarlo: in modo particolare, utilizzato nella tarda infanzia e nella preadolescenza, può favorire lo sviluppo della capacità di reciprocità (Piaget, 1950; Barbiero, 1985), consentendo anche, nonostante l'artificiosità delle situazioni in cui viene utilizzato, l'ampliamento del concetto di normalità (Gindro e Melotti, 1991) e l'acquisizione di un sentimento di appartenenza concentrica (Battacchi, 1964).
Un rischio connesso con l'utilizzo del role-playing è segnalato da Ijaz (1984, citato in McGregor, 1993): condurre involontariamente ad una caratterizzazione dei membri del gruppo minoritario come vittime impotenti della situazione di discriminazione, influenzando negativamente l'immagine di sé degli appartenenti alla minoranza.

 

Metodi cognitivi


La collaborazione per un obiettivo sovra-ordinato, il role-playing, la strategia dell'accordo forzato, pur privilegiando, come le strategie volte ad incrementare il contatto, la dimensione dell'esperienza diretta ed attiva, hanno anche come obiettivo e come risultato una ristrutturazione cognitiva: tutte, infatti, contribuiscono a indurre nei partecipanti una condizione di dissonanza cognitiva, la cui riduzione richiede una rielaborazione delle opinioni stereotipe sfavorevoli all'out-group ; rielaborazione che, se l'esito è positivo, va nel senso di una modifica dell'atteggiamento pregiudiziale.
L'approccio socio-cognitivo si propone di incidere ancor più direttamente sulla componente cognitiva del pregiudizio. Alla luce delle teorizzazioni sulla categorizzazione vista come processo cognitivo di base, sono stati proposti metodi che, modificando le categorizzazioni relative all'in-group ed all'out-group, possono indurre modifiche nei corrispondenti vissuti emotivi e comportamenti. Le ricerche sperimentali sulla ricategorizzazione, sulla decategorizzazione, sulle appartenenze incrociate e multiple, sull'effetto dell'individualizzazione (Doise, Deschamps e Mugny, 1980; Doise, 1989; Gaertner, D'Ovidio, Anastasio, Bachman e Rust, 1993; Bar Tal, Graumann, Kruglanski e Stroebe, 1989) dimostrano come, modificando la salienza delle definizioni categoriali, la stessa discriminazione categoriale finisca per perdere di significato, riducendo consistentemente i biases favorevoli all' in-group e sfavorevoli all'out-group.
Nell'ambito delle ricerche sull'effetto delle informazioni controstereotipiche, Hewstone (1989) segnala l'importanza di integrare l'analisi cognitiva degli stereotipi e della loro modifica con un'adeguata attenzione alle componenti motivazionali che possono interferire, favorevolmente o sfavorevolmente, con l'auspicata riduzione. In un'ottica simile, Bar Tal e coll. (1989), analizzando i processi di influenza del leader del gruppo (fattore a loro avviso sottovalutato nella ricerca sugli stereotipi), affermano che lo stereotipo può essere modificato quando gli individui appartenenti ad un gruppo realizzano che i loro bisogni possono essere soddisfatti con maggiore efficacia cambiando, piuttosto che conservando, il contenuto della credenza stereotipica; ed indica così una serie di strategie che possono essere utilizzate dal leader per modificare la motivazione epistemica dei membri del gruppo.
Una particolare strategia, che rientra nell'approccio cognitivo, è quella utilizzata dai programmi di antiracist teaching. L'obiettivo di tali programmi è quello di combattere il pregiudizio attraverso la conoscenza delle forme di razzismo, passate ed attuali, dei meccanismi che sottostanno alla formazione del pregiudizio, degli stereotipi, della discriminazione nel contesto sociale presente. Come nota McGregor (1993), tale strategia differisce dai noti programmi di educazione multiculturale in quanto non focalizza l'attenzione sulla conoscenza e comprensione delle caratteristiche culturali delle diverse etnie o razze, ma sulla conoscenza e consapevolezza delle radici storiche, economiche, psicologiche della discriminazione, che producono e giustificano il razzismo. La stessa autrice, alla luce di una rassegna condotta su alcune decine di ricerche precedenti (McGregor, 1993), giunge alla conclusione che il role playing e l'antiracist teaching, al di là delle differenze che li distinguono (3), costituiscono uno strumento efficace per la riduzione del pregiudizio razziale.

 

Descrizione della ricerca


Premessa
L'opportunità di realizzare la ricerca che viene qui presentata è stata offerta da una circostanza particolare. In un liceo scientifico statale della provincia di Arezzo gli studenti hanno accolto il suggerimento del preside e dei docenti di utilizzare le ore destinate istituzionalmente alle assemblee studentesche per affrontare, con l'aiuto di esperti esterni alla scuola, alcuni temi di particolare rilevanza sociale: le origini storiche dell'antisemitismo, le radici psicologiche del razzismo, la libertà di pensiero e l'obiezione di coscienza. Ognuna di tali assemblee, che prevedeva la partecipazione dell'intero corpo studentesco, veniva preparata nelle singole classi, con la guida di alcuni insegnanti, mediante un primo approccio al tema oggetto delle assemblee seguenti e la preparazione di alcuni quesiti da sottoporre all'oratore di turno.

Obiettivo e ipotesi
La ricerca in oggetto si inserisce a latere in questa programmazione. L'autore ha infatti ritenuto che l'iniziativa del liceo potesse considerarsi, per come era strutturata, un'attività di vero e proprio antiracist teaching, nel senso definito più sopra. Ha perciò somministrato agli studenti un protocollo di indagine prima e dopo la serie di assemblee programmate ed in modo del tutto indipendente da esse, con l'obiettivo di valutare l'efficacia di un intervento del genere per quanto riguarda la modifica di atteggiamenti legati al pregiudizio etnico. In termini più formali, l'ipotesi era che il fornire a degli adolescenti degli input cognitivi strutturati in una situazione di coinvolgimento potesse produrre una riduzione degli atteggiamenti di tipo autoritario, correlati, secondo la lettura adorniana, con la presenza di pregiudizio.

Soggetti
I Soggetti della ricerca costituiscono l'intera popolazione di un liceo scientifico statale, per un totale di 321 studenti, suddivisi in 3 sezioni e 14 classi.
Non è stato possibile costituire un gruppo di controllo. Infatti per costituire tale gruppo all'interno del Liceo, sarebbe stato necessario escludere una parte consistente degli Studenti dalla partecipazione alle assemblee, cosa ovviamente improponibile, oltre che per motivi di ordine pragmatico, per considerazioni attinenti all'etica della ricerca scientifica.

Metodo
E' stato utilizzato un protocollo di indagine costituito dalla Scala F di Adorno e da una vignetta stilizzata, costruita ad hoc, nella quale figuravano due ragazzi, uno dei quali di colore e dal sesso non chiaramente definito, impegnati visibilmente in un'interazione verbale; il Soggetto veniva invitato a riempire i due fumetti:

(Disegno 1)

Il protocollo è stato somministrato ai Soggetti due volte: prima della serie di assemblee programmate e a due mesi di distanza dall'ultima assemblea, per poter valutare in modo più adeguato lo sleeper effect. I protocolli sono stati riempiti in classe, su invito degli insegnanti, ed erano, naturalmente, anonimi. Le informazioni anagrafiche richieste sono state utilizzate, oltre che per l'analisi statistica, per accoppiare i due protocolli anonimi di ogni singolo Soggetto; tale accorgimento ha consentito di utilizzare per l'analisi dei dati solamente i protocolli dei Soggetti che hanno preso parte ai due momenti dell'indagine, eliminando tutti gli altri.
In tal modo, la popolazione risultante è stata di 263 Soggetti, suddivisi in base alle frequenze relative alla variabili anagrafiche prese in considerazione, come illustrato nella Tav. 1.

(Tavola 1)

Analisi dei dati

Per la scala F, (scala di tipo Lickert a 7 punti) sono state calcolate le medie dei punteggi della scala nel suo insieme (Autoritarismo) e delle sottoscale utilizzate (Sottomissione, Aggressione autoritaria, Potere, Etnocentrismo, Proiezione/Anti-intraccezione). Il calcolo e confronto delle medie, pur prestando il fianco a critiche metodologiche, trattandosi di una scala ad intervalli, è il procedimento correntemente impiegato fin dalle origini per l'analisi comparata dei punteggi della scala F.
La significatività delle differenze fra punteggi per le variabili dipendenti prese in considerazione (Sesso, Età, Residenza) è stata individuata mediante analisi della varianza.
Per quanto riguarda lo stimolo visivo, si è provveduto a creare, partendo dalle produzioni scritte dei Soggetti, delle categorie di codifica in relazione a due variabili principali: atteggiamento del ragazzo bianco, atteggiamento della persona di colore. Le diverse categorie sono poi state raggruppate, per evitare una eccessiva dispersione dei dati


Atteggiamento del ragazzo occidentale

1. favorevole: comprende enunciati che indicano: a. accettazione teorica: il ragazzo si esprime in termini genericamente contrari alla discriminazione e al rifiuto nei confronti dell'altro ("Siamo tutti uguali", "Dobbiamo volerci bene indipendentemente dalla razza" ); b. accettazione operativa: il ragazzo si mostra pronto a far qualcosa in favore dell'altro ("Dimmi che cosa posso fare per te", "Puoi contare su di me", "Vieni anche tu nel nostro gruppo" ); c. interesse: il ragazzo dimostra interesse a conoscere l'altro, la sua storia, le sue condizioni ("Da dove vieni", "Perché hai lasciato il tuo paese", "Come ti trovi qui da noi?" )

2. sfavorevole: comprende enunciati che indicano forme diverse di ostilità: il ragazzo mostra chiaramente una discriminazione, un rifiuto o un'aggressività nei confronti dell'altro ("Vattene", "Torna nel tuo paese", "Brutto muso!" )

3. 'normale': il ragazzo usa espressioni per così dire 'neutre', proprie di un rapporto quotidiano fra ragazzi, come se la differenza razziale non fosse nemmeno presa in considerazione ("Scusa che ora è?", Ciao, come va", "Che ne pensi di questo disegno?" )

4. altro: rientrano in questa categorie gli enunciati non riconducibili ad alcuna delle categorie precedenti.

 

Atteggiamento del personaggio di colore

1. favorevole: il personaggio di colore reagisce positivamente alla comunicazione o alla proposta che gi viene rivolta dall'altro (" Grazie, ho davvero bisogno di aiuto", "Sei un vero amico" )

2. di richiesta: viene espressamente rivolta una richiesta di aiuto, materiale o morale ("Mi aiuti a trovare casa?", "Vu' cumpra'?", "Ho bisogno della tua amicizia" )

3. teso: comprende gli enunciati che esprimono: a. ostilità: viene espressa collera come reazione ad un atteggiamento di rifiuto ("Sporco razzista", "Che testone, non capisci una sega" ); b. denuncia: il personaggio di colore descrive comportamenti di discriminazione di cui è vittima lui stesso o la sua gente ("I bianchi sono cattivi con me", "Spesso la gente mi evita" ); c. fierezza: viene fatto un esplicito riferimento al valore o alla dignità della propria persona, cultura, razza ("Io lavoro onestamente come te", "Io sono nera e non mi vergogno di esserlo")

4. 'normale': il ragazzo usa espressioni per così dire 'neutre', proprie di un rapporto quotidiano fra ragazzi, come se la differenza razziale non fosse nemmeno presa in considerazione ("Mi fai accendere?", "Ci vediamo alle 4" )

5. altro: rientrano in questa categorie gli enunciati non riconducibili ad alcuna delle categorie precedenti.


Per l'analisi dei dati relativi allo stimolo visivo, si è proceduto al calcolo delle frequenze e delle percentuali ed alla ricerca della significatività delle differenze per le variabili indipendenti mediante il test del chi quadro.
Sono stati poi incrociati i dati relativi all'autoritarismo (ed alle relative sottoscale) e quelli risultanti dall'analisi dello stimolo visivo mediante analisi della varianza per prove ripetute.

 

I risultati


Il confronto fra il livello di autoritarismo risultante dalla prima somministrazione e quello risultante dalla seconda evidenzia una riduzione dei valori medi per l'intera popolazione (4.13 vs. 4.05, P=.022). Analizzando i risultati delle diverse sottoscale della scala F, si rileva

(Fig. 1)

come tale riduzione del grado di autoritarismo generale sia determinata in modo particolare da una riduzione significativa dei punteggi di sottomissione (4.57 vs. 4.38, P. = 000) e da una riduzione al limite della significatività dei punteggi di etnocentrismo (4.38 vs. 4.26, P. = 0.57).


L'atteggiamento attribuito al ragazzo occidentale

(Fig. 2)

è prevalentemente percepito come favorevole, ma la percentuale degli enunciati che rientrano in tale categoria diminuisce fra la prima e la seconda somministrazione (P = .000).


Anche l'atteggiamento attribuito al personaggio di colore

(Fig. 3)

è prevalentemente favorevole e sono significative le differenze fra le risposte della prima e quelle della seconda somministrazione. In questo caso, però, il cambiamento sembra assumere un andamento 'positivo': se è vero, infatti, che diminuiscono le risposte che indicano la presenza di un atteggiamento favorevole, è anche vero che diminuicono in misura più sensibile quelle denotanti manifestazioni di ostilità, mentre aumentano le risposte riconducibili alla categoria 'normalità'.


E' interessante notare poi come influiscono alcune della variabili indipendenti prese in considerazione.

Sesso
Esiste globalmente una differenza significativa nel livello di autoritarismo fra maschi e femmine (4.21 vs. 3.99, P. = 000).

(Fig. 4)

Per i maschi è più evidente la tendenza alla diminuzione nel passaggio dal primo al secondo protocollo, in particolare per le sottoscale di etnocentrismo (4.51 vs. 4.22) e di sottomissione (4.69 vs. 4.52).

Il genere influisce anche sugli atteggiamenti attribuiti al ragazzo occidentale: i ragazzi tendono ad attribuire percentualmente meno atteggiamenti benevoli e più atteggiamenti sfavorevoli rispetto alle ragazze.

(Fig. 5)

La differenza al chi quadro è significativa (P. = .024 per la 1, .001 per la 2 somministrazione).
Non sono invece significative le differenze fra maschi e femmine per quanto riguarda gli atteggiamenti attribuiti al personaggio di colore.

Età
Non si è evidenziata una relazione significativa fra età e livello di autoritarismo, pur esistendo la tendenza ad una relazione inversa.

Residenza
Il livello di autoritarismo tende ad essere superiore nei Comuni con maggior numero di abitanti e la riduzione del livello di autoritarismo fra 1 a 2 somministrazione appare più marcata nel gruppo dei Soggetti residenti nei Comuni con minore numero di abitanti.

(Fig. 6)

Tali differenze, non significative per i Comuni raggruppati, lo diventano se si considerano separatamente i singoli Comuni.

E' stata anche presa in considerazione la percentuale di immigrati residenti nei diversi Comuni, calcolata sul numero di abitanti di ogni Comune. Il calcolo del coefficiente di correlazione ha evidenziato una marcata correlazione negativa fra livello di autoritarismo e percentuale dei residenti stranieri sul totale della popolazione residente (r.= -.803 alla 1 somministrazione e -.788 alla 2 somministrazione).

Per quanto riguarda gli atteggiamenti attribuiti, i Soggetti residenti nei Comuni con popolazione più ridotta tendono ad attribuire al ragazzo occidentale atteggiamenti globalmente più positivi rispetto a quelli attribuiti dai Soggetti residenti in Comuni con popolazione più numerosa.

(Fig. 7)

E' anche interessante notare come per gli stessi Soggetti dei Comuni minori gli atteggiamenti che abbiamo definito 'normali' aumentino dalla prima alla seconda somministrazione.

Per quanto riguarda gli atteggiamenti attribuiti al personaggio di colore

(Fig. 8)

si noti come, oltre ad una percezione più favorevole nei Soggetti residenti nei Comuni minori, siano notevolemente più rappresentati gli atteggiamenti che abbiamo definito 'di richiesta', nei Soggetti residenti nei Comuni più grandi.

Titolo di studio dei genitori
Non sono risultate significative le differenze in relazione alla variabile del livello culturale dell'ambiente di provenienza. Si è evidenziata solo una tendenza alla riduzione del livello di autoritarismo nei Soggetti figli di genitori con livello di istruzione più elevato.

Livello di autoritarismo in relazione agli atteggiamenti attribuiti
Incrociando fra di loro le variabili dipendenti prese in considerazione, appare chiaramente come l'attribuzione di atteggiamenti negativi del ragazzo occidentale si accompagni ad una media più elevata nei punteggi di autoritarismo, mentre atteggiamenti normali sono attribuiti mediamente da Soggetti con livello di autoritarismo più basso, in modo particolare nel corso della 2 somministrazione.

(Fig. 9)

E' anche interessante rilevare come la media dei punteggi di autoritarismo sia più elevata, soprattutto nel corso della 1 somministrazione, nei Soggetti che rappresentano il personaggio di colore in atteggiamento di richiesta. Anche per quel che riguarda il personaggio di colore, gli atteggiamenti 'normali' si accompagnano ad un più ridotto indice di autoritarismo, soprattutto nel corso della 2 somministrazione.

(Fig. 10)

 

Discussione dei risultati


L'analisi dei risultati pur non consentendo, data la contraddittorietà di alcune risposte e la presenza di alcuni limiti metodologici, di esprimersi a favore di una piena validazione dell'ipotesi di partenza, fornisce, a nostro avviso, delle indicazioni utili.
I risultati mettono infatti in rilevo la tendenza negli Studenti coinvolti in un'attività cognitiva di antiracist-teaching a ridurre il numero di risposte di tipo autoritario e a modificare la rappresentazione della relazione interetnica nel senso di una maggiore accettazione della diversità.
E' particolarmente interessante notare come la riduzione del punteggio globale di autoritarismo sia determinata da una riduzione dei punteggi alle sottoscale di sottomissione e di etnocentrismo. Queste due variabili possono, infatti, essere facilmente messe in relazione a due dimensioni sulle quali si è focalizzata l'attenzione nell'ambito degli incontri organizzati da e per gli studenti: si ricorderà che furono trattati temi quali la libertà di coscienza (riferibile implicitamente alla possibilità di assumere atteggiamenti e decisioni non conformistiche, anche in aperto contrasto con le indicazioni e le imposizioni dell'autorità dominante) e gli atteggiamenti e comportamenti discriminatori nei confronti di individui e gruppi stigmatizzati come diversi (con l'analisi delle origini storiche e psicologiche del pregiudizio antisemita).
Sembra dunque che la conoscenza, accompagnata da riflessione ed elaborazione personale e di gruppo, di queste particolari tematiche sia stata utile a condurre gli individui coinvolti ad una più o meno inconsapevole modifica dei propri atteggiamenti.
Un altro aspetto degno di attenzione è quello del rapporto diretto esistente fra livello di autoritarismo degli studenti e ampiezza della popolazione del Comune di residenza: gli studenti appartenenti a comunità abitative quantitativamente più ridotte hanno, mediamente, punteggi più bassi alla Scala F. Inoltre, come si è visto, gli studenti residenti nei Comuni più grandi, tendono ad avere con maggiore frequenza una rappresentazione negativa del rapporto fra il ragazzo bianco e il personaggio di colore ed una rappresentazione più stereotipata del personaggio di colore, più spesso visto in atteggiamento di richiesta nei confronti del bianco (sembra entrare qui in gioco lo stereotipo del vu cumprà?' ).
E' possibile ipotizzare che l'esperienza relazionale dei piccoli centri, in cui la conoscenza personale e le relazioni dirette con l'altro costituiscono l'abitudine sociale prevalente, giochi a favore di una presenza più contenuta di atteggiamenti difensivi e di diffidenza nei confronti dell'altro, anche quando questi si configuri come diverso.
Questa ipotesi - che sembra opporsi alla tradizionale rappresentazione, socialmente condivisa, delle piccole comunità abitative come caratterizzate da chiusura e diffidenza nei confronti del nuovo e dell'estraneo - andrebbe naturalmente verificata in modo adeguato con indagini più approfondite e mirate.
E' interessante poi il dato che mostra una relazione inversa fra la percentuale di immigrati e il livello di autoritarismo. Appare infatti come una conferma dell'ipotesi del contatto, che prevede il formarsi di atteggiamenti più positivi nei confronti dell'estraneo in presenza di una conoscenza diretta di esso. E' da notare che nel contesto sociale di cui fanno parte i Soggetti della ricerca - ed in cui sono inseriti gli immigrati - esistono almeno alcune delle condizioni favorevoli considerate dagli studiosi del pregiudizio (Allport, 1954; Wagner, Hewstone e Machleite, 1989; Bourhis, Gagnon e Moïse, 1994) come indispensabili alla formazione di atteggiamenti positivi nei confronti degli immigrati appartenenti a etnie diverse: l'assenza di competizione per l'accesso alle attività lavorative, la non ghettizzazione abitativa, il sostegno normativo sia istituzionale sia culturale all'eguaglianza di diritti e di dignità personale; condizioni accompagnate, inoltre, da una tradizione culturale di accoglienza favorevole nei riguardi di coloro che, provenendo da altre regioni geografiche, si inseriscono stabilmente nella comunità (4).
Un'indicazione interessante è anche quella che si ricava considerando come la rappresentazione di un rapporto fra il ragazzo bianco e il personaggio di colore caratterizzato da quella che abbiamo definito 'normalità' degli atteggiamenti si accompagni, nei Soggetti, a più ridotti punteggi di autoritarismo rispetto sia alle rappresentazioni di atteggiamenti aggressivi o rifiutanti sia - soprattutto nella seconda fase - a quelle di atteggiamenti globalmente favorevoli. La normalità dell'interazione può dunque essere considerata la cifra della reale accettazione dell'altro, ancor più dell'attribuzione proiettiva di un atteggiamento favorevole, che potrebbe essere vista come compensatoria rispetto ad un soggiacente atteggiamento meno positivo. E' significativo poi il fatto che la rappresentazione del personaggio di colore in atteggiamento di richiesta (che, come detto poc'anzi, veicola lo stereotipo del vu cumprà? ) si accompagni ai più elevati punteggi alla scala F, confermando implicitamente la classica correlazione adorniana fra autoritarismo e pregiudizio.
Per concludere, rileviamo come l'assenza di influenza del livello culturale familiare ci consenta di confermare l'esistenza, già ripetutamente messa in rilevo dai sociologi, di un'azione di omologazione culturale esercitata dalla scuola e dai media sulle giovani generazioni.

 

Conclusione


L'indagine condotta nel gruppo di adolescenti toscani incoraggia a proseguire nella ricerca di strategie contro il pregiudizio. Tenendo conto delle indicazioni emerse, sarebbe opportuno approfondire, con l'utilizzo di strumenti mirati, la portata dell'impatto di input strutturati, a livello sia cognitivo sia esperienziale, sugli atteggiamenti degli adolescenti nei confronti di individui e gruppi categorizzabili come diversi, anche in considerazione della flessibilità cognitiva ed emotiva ancora predominante nell'età adolescenziale.
E' anche necessario approfondire la ricerca nella fasi evolutive precedenti, con l'obiettivo di creare veri e propri programmi di intervento per prevenire la formazione di atteggiamenti e comportamenti pregiudiziali fin dalle prime fasi dello sviluppo.

 

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NOTE


1) Il Dr. Fernando La Greca (Collaboratore Tecnico presso il Dipartimento di Scienze dell'Educazione, Università di Salerno) ha collaborato per l'analisi statistica dei dati.

2) "(...Lippmann) estimait ces 'images dans la tête' indispensables pour faire fâce à l'abondance des informations issues de notre environnement. Elles nous permettent de filtrer la réalité objective. Pour Lippmann, en effet, nous ne voyons pas avant de définir mais nous définissons avant de voir. Outre le fait que les stéréotypes possèdent généralement une forte tonalité affective, ils trouvent leur origine dans la société et offrent de pouvoir justifier la nature des rapports entre les groupes et les nations." (Yzerbyt e Schadron, 1994, pp. 129-130). Mi sembra, inoltre, oltremodo interessante rilevare come già in epoca ancora precedente (oltre un secolo prima della nascita della psicologia come scienza e oltre due secoli prima del ricco fiorire di interesse e di studi sugli atteggiamenti e sulle rappresentazioni stereotipiche) nella Germania del '700 un docente di fisica, attento osservatore del comportamento umano, Georg Christoph Lichtenberg, mettesse in rilievo, acutamente, la funzione di economia psichica svolta dal pregiudizio: "...Non gli sfugge il valore, per così dire, abbreviativo dei pregiudizi come motivo delle azioni umane e surrogato di un giudizio razionale: 'Die Vorurteile sind, so zu sagen, die Kunsttriebe der Menschen; sie tun dadurch vieles, das ihnen zu schwer werden würde, bis zum Entschluss durchzudenken, ohne alle Mühe' ('I pregiudizi sono, per così dire, gli artifici degli uomini; essi finiscono col fare molte cose che sarebbero per loro troppo pesanti, fino a maturare decisioni, senza alcuna fatica' ); in Ressia C. (1937), pag. 8; il corsivo è mio.

3) In particolare, pur essendo ambedue strategie che producono una dissonanza cognitiva, la seconda non prevede, come fa invece la prima, l'esplicitazione dell'impatto emotivo prodotto dalla dissonanza stessa.

4) I Comuni in cui risiedono i Soggetti della ricerca sono situati in una vallata circondata quasi interamente da montagne e periferica rispetto alle grandi vie di comunicazione Nord-Sud ed Est-Ovest. Tale caratteristica geografica ha portato, in secoli passati, a problemi genetici derivanti dall'abitudine forzata dell'incrocio fra appartenenti a ceppi familiari legati da consanguineità. E' per questo che l'immissione nella comunità di individui provenienti da altre regioni è tradizionalmente vista con favore dagli abitanti.