Pina Boggi Cavallo
Michele Cesaro
Antonio Iannaccone
Fernando La Greca

La felicità è un'emozione primaria?

Introduzione


La psicologia delle emozioni ha trascurato di studiare la felicità, emozione indicata dalla pressoché totalità dei ricercatori come una delle non numerose emozioni fondamentali e proprio per questo, forse, tale da non meritare approfondimenti.
In questa direzione muovono le numerose ricerche condotte, sulla scia della teoria dell'universalità dell'espressione emotiva, sul riconoscimento delle espressioni facciali delle emozioni, dalle quali risulta essere la felicità, insieme alla tristezza, l'emozione che riceve il maggior numero di riconoscimenti corretti, un numero tale da sfiorare sovente la totalità dei riconoscimenti ottenuti dai giudici in situazione sperimentale e che finiscono, pertanto, con il confermarla come una delle emozioni fondamentali.
La proposta teorica dell'esperienza edonica, che colloca sul continuum piacere - dolore tutta quanta l'esperienza emozionale (Frijda, 1990), fornisce a questo modo di intendere la felicità un ulteriore avallo teorico e sottrae, pertanto, alla curiosità del ricercatore una emozione, quale quella della felicità, definitivamente consacrata alla posizione di emozione di base.
La stessa definizione della felicità, d'altra parte, in quanto emozione, risulta abbastanza consensualmente ristretta nei limiti di uno stato emotivo che consegue alla soddisfazione di un desiderio, "lo stato che soddisfa tutte le nostre inclinazioni in estensione, grado e durata" (Kant), implicando, questa definizione, il nesso strettissimo tra felicità e desiderio, tra felicità e piacere, ma, anche tra felicità e virtù, o tra felicità e saggezza o tra felicità ed etica o tra felicità e disagio della civiltà, dal momento che "l'uomo civile ha barattato una parte della sua possibilità di felicità per un po' di sicurezza" (Freud, 1929, p. 602).
L'accenno a Freud ci introduce nell'ambito della riflessione che la psicologia ha dedicato all'elaborazione di un concetto di felicità che potesse avere il suo posto all'interno di uno studio scientifico dell'uomo e del suo oscillare tra malessere e benessere, tra sofferenza e adattamento, lungo il percorso che tali stati segnano tra salute e malattia, nella prospettiva di una costruzione della felicità, che la reazione al comportamentismo ed alla psicoanalisi, ad opera degli umanisti, ha tentato di proporre.
Nessun ausilio può, dunque, venire richiesto alla ricchissima tradizione filosofica che si è lungamente interrogata su felicità, buona sorte, appagamento, beatitudine, gioia, piacere, a seconda delle prospettive adottate, da quella edonistica a quella del sentimento o a quella della ragione, nella perfezione della natura ragionevole e nella morale dalla ragione indicata.
Argyle (1987) sceglie di studiare la felicità, costituita dagli aspetti dell'appagamento, della gioia, dell'angoscia e della salute, ed esplora ciascuno di questi aspetti all'interno dei differenti tipi di rapporti sociali, assumendo questi ultimi come fattori della felicità ed elaborando una sorta di manuale di psicologia sociale della felicità. Il concetto, tuttavia, al quale si fa riferimento, è, in definitiva, il concetto di felicità come appagamento di desideri, appagamento reso variabile dalla condizione familiare, economica, lavorativa, di svago e di divertimento, relazionale, e reso variabile, inoltre, dal sesso e dall'età.

 

Ipotesi


La presente ricerca si pone come suo primo obiettivo quello di esplorare l'ipotesi che possano venire proposte altre definizioni della felicità, presenti sicuramente nella tradizione filosofica, ma probabilmente ancora scarsamente evidenti nell'area della psicologia, sia sociale che delle emozioni.
E' la felicità riconducibile esclusivamente alla nozione di appagamento, di soddisfazione di desideri, sia pure con il carico di infelicità, che, seguendo Freud, in quanto tale essa contiene?
Il secondo obiettivo della ricerca è quello di esplorare la possibilità che la felicità, emozione primaria, non sfugga alla necessità di costituirsi sopra un contenuto proposizionale, al pari delle altre emozioni complesse, in accordo con la proposta di Leventhal e Scherer (1987), di Lewis (1992), di Battacchi (1993), facendo riferimento cioè allo sviluppo della competenza emozionale ed al nesso tra questo e lo sviluppo dell'autocoscienza, ed al nesso tra conoscenza delle emozioni ed emozioni primarie (Galati, 1993).

 

I soggetti


Hanno partecipato alla ricerca 476 soggetti, maschi e femmine, di quattro differenti classi di età, e cioè preadolescenti (56 maschi e 60 femmine), adolescenti (41 maschi e 67 femmine), giovani studenti universitari (78 maschi e 90 femmine) e giovani inseriti nel mondo del lavoro (41 maschi e 43 femmine).

 

Metodologia della ricerca


E' stato chiesto ai soggetti sperimentali:
- di narrare brevemente di un avvenimento, accaduto di recente, nel corso del quale essi avevano sperimentato la felicità;
- di rispondere alla domanda "Che cosa è la felicità";
- di attribuire all'espressione di felicità, che veniva mostrata con le foto di due degli attori di Ekman, l'evento all'origine di quella emozione.
I dati così raccolti sono stati sottoposti a tre giudici, i quali, separatamente prima e congiuntamente poi, hanno provveduto a definire le categorie emerse dai resoconti e, per ciascuna di esse, alla individuazione della dimensione di internalità versus esternalità.
Il trattamento statistico dei dati è stato effettuato applicando il calcolo del Chi quadrato nel confronto dei gruppi per sesso e per età.

 

I risultati


Categorie di risposte per ciascun compito sperimentale
Per quel che riguarda gli antecedenti situazionali

(grafico 1)

la felicità appare prodotta:
- dall'esperienza amorosa, intesa come esperienza vissuta all'interno della coppia, come innamoramento, come amore, come scambio di effusioni, come tenerezza, come dialogo dei corpi (29,2%);
- dalla gratificazione di desideri, come il possesso di oggetti desiderati, il ricevere doni, il viaggiare alla scoperta di luoghi sconosciuti, la realizzazione di eventi sperati o agognati (22,7%);
- dall'esperienza di scambi amicali gratificanti, nel gruppo dei coetanei, caratterizzati dalla solidarietà, dall'altruismo, dalla reciprocità (16,6%);
- dal successo come affermazione di sé ed autorealizzazione, dal successo in prestazioni intellettuali, nelle relazioni interpersonali (15,8%);
- da avvenimenti apparentemente privi di importanza, quali la vista di un fiore, un incontro casuale, un sorriso fugace scambiato con un amico incontrato per caso, che danno luogo a momenti di gioia (9,3%);
- dalla serenità familiare e dalla stabilità dei legami familiari (6,5%).


La richiesta di definire la felicità, rispondendo alla domanda "Che cosa è la felicità"

(grafico 2)

viene soddisfatta dai nostri soggetti con la descrizione dello stato emozionale che essi etichettano con la parola felicità mediante il ricorso ad una gamma di sfumature. La felicità infatti è uno stato d'animo che predispone positivamente, di breve durata, determinato dall'assenza di malattie; la felicità è una emozione intensa, bellissima, difficile da spiegare, forse irrealizzabile (58,6%).
Ma accanto al tentativo di definirla in maniera astratta e slegandola dagli eventi che la producono, i nostri soggetti ricorrono proprio ad essi, per rispondere al quesito. La felicità è prodotta, allora,
- dalla gratificazione di desideri (11,3%);
- dal successo (10,6%);
- dalle interazioni sociali (10%);
- dagli affetti familiari (6,4%);
- dall'esperienza amorosa (3,1%).


L'altro compito dei nostri soggetti era quello di attribuire un evento alla felicità espressa dagli attori, di cui veniva mostrata la foto.

(grafico 3)

L'espressione della felicità viene attribuita dai nostri soggetti:
- ad eventi inattesi (23,0%);
- alla gratificazione di desideri (22,1%);
- al successo (21,0%);
- all'esperienza amorosa (8,6%);
- alle interazioni sociali (7,0%);
- agli affetti familiari (4,1%).
In molti casi l'espressione viene giudicata falsa e non attribuibile ad alcun evento (sorriso forzato: 14,2%).

Sembra si possa affermare che la felicità sperimentata dai nostri soggetti non coincida che parzialmente con la soddisfazione di desideri, con l'appagamento. La varietà di eventi indicati come quelli all'origine della felicità fornisce una dimostrazione di come le varie posizioni teoriche dei filosofi delle varie epoche avessero una fondatezza, dal momento che sia la posizione edonistica sia la posizione eudemonistica, ma anche quella dei razionalisti o dei teorici del sentimento appaiono in qualche modo rappresentate nelle descrizioni della felicità che abbiamo ottenuto.
Il confronto tra le risposte ottenute alle tre richieste

(grafico 4)

è statisticamente significativo e mostra come la mappa della felicità si componga dei medesimi elementi cognitivi, ma che acquistano rilevanza e significati differenti, quando si tratta di sperimentare la felicità, di categorizzarla, di attribuirne l'origine, a partire dalla sua espressione.
Assumendo come fonti di variabilità il sesso e l'età dei soggetti sono state inoltre trovate differenze tra i sottogruppi, in entrambi i casi.
Grazie a questi risultati possiamo tentare di fornire un contributo alla discussione in atto sopra le emozioni primarie.

Differenze maschi/femmine
Il confronto tra le frequenze di scelta delle categorie differenzia i gruppi di maschi e di femmine in modo significativo per quel che riguarda gli antecedenti (.01) e per l'attribuzione di un evento all'espressione di felicità presentata in foto (.0001). Per quel che concerne la definizione di felicità, invece, non emergono differenze apprezzabili.
Ma vediamo in dettaglio tali dati.
Per quel che riguarda gli antecedenti, in effetti, gli eventi all'origine della felicità

(grafico 5)

per i maschi, sono piuttosto legati all'affermazione di sé, al successo nei compiti, ai piccoli avvenimenti della vita di ogni giorno, alla gratificazione dei desideri.
Per le femmine sono piuttosto l'esperienza amorosa, le interazioni amicali e solidali, la serenità e la stabilità degli affetti familiari che connotano e determinano la felicità.
Il compito di dare una definizione di felicità (senza evocare antecedenti come per le altre due prove utilizzate nella ricerca) mostra di non discriminare le scelte di maschi e femmine.

(grafico 6)

Una possibile spiegazione è sicuramente riconducibile al fatto che predominano fortemente quelle definizioni che abbiamo classificato come "vissuti emozionali" e che sono probabilmente più distanti dall'esperienza personale dei soggetti intervistati. Esperienza che invece interviene quasi obbligatoriamente nella evocazione di eventi che determinano la felicità.
Importanti differenze riconducibili alla variabile sesso riappaiono a proposito dell'attribuzione di un evento all'espressione di felicità riprodotta a partire da foto di attori del set di Ekman.

(grafico 7)

Ciò conferma i dati relativi agli antecedenti indagati con il primo dei compiti, salvo che per la categoria "successo" che viene prescelta, in questo caso, maggiormente dalle donne.

Complessivamente, possiamo cogliere il percorso evolutivo di questa differenza, di come va costruendosi il contenuto proposizionale nei maschi e nelle femmine. Nella preadolescenza è già chiarissima e nettissima questa differenza, costituita dalla opposizione tra i due gruppi sulle categorie sopra riportate: il successo, le piccole cose, la gratificazione dei desideri polarizzano la felicità per i maschi; l'esperienza amorosa, la qualità delle relazioni amicali e familiari polarizzano la felicità delle femmine.

Differenze fra i sessi e dimensione interno/esterno.
Per quel che riguarda gli antecedenti, l'origine della felicità viene connotata nella dimensione interna dai soggetti maschi, che sembrano sentirsi maggiormente responsabili degli eventi che evocano. Per le femmine la felicità sembra dipendere da condizione esterne

(tabella 1)

La definizione di felicità, così come per le categorie, non appare connotata diversamente da maschi e femmine, rispetto alla dimensione interno/esterno. La

(tabella 2)

non evidenzia, difatti, differenze significative.

Per quel che riguarda, invece, gli eventi evocati a partire dalle espressioni, riemerge qualche differenza nella connotazione interno/esterno che maschi e femmine lasciano trasparire dalle narrazioni.

(tabella 3)

Tali differenze, comunque, superano, anche se lievemente, la soglia della significatività statistica e, pertanto, assumono un rilievo relativo. In ogni caso, notiamo, almeno in linea generale, che i maschi si mostrano in tal caso meno disponibili a ritenere l'attore responsabile della propria felicità. Una possibile spiegazione potrebbe plausibilmente derivare dal fatto che, mentre per gli antecedenti i soggetti narravano di se stessi, per le espressioni tali narrazioni sono attribuite ad altri, con la conseguenza di un minore coinvolgimento personale nel compito. Si vedrà avanti, a proposito delle differenze fra i gruppi, come è possibile spiegare il dato relativo alle differenze maschi/femmine.

Differenze fra gruppi
Gli eventi che i soggetti indicano come antecedenti della felicità, nel confronto tra gruppi di età

(grafico 8)

ci permettono di delineare, con una certa chiarezza, un percorso evolutivo.
Più che negli altri gruppi, i preadolescenti assumono le relazioni con i coetanei, relazioni ispirate alla solidarietà ed alla prosocialità, come eventi che fanno sperimentare la felicità; la gratificazione dei desideri, l'esperienza amorosa, gli affetti familiari, il successo nelle performances ne sono all'origine, anche, ma in successione e secondo un ordine decrescente di importanza. La felicità degli adolescenti è legata indubbiamente all'esperienza dell'amore, in tutte le sue caratterizzazioni: subito dopo avranno la stessa efficacia le relazioni amicali, il successo, la gratificazione dei desideri, le piccole cose.

I giovani universitari, pur conservando all'amore il valore che ha avuto nell'adolescenza come erogatore di felicità, vi affiancano il successo: dopo l'amore, la felicità sarà prodotta dalla soddisfazione dei desideri, dalle piccole cose, dalle interazioni amicali, dagli affetti familiari.
I loro coetanei che lavorano individuano nella gratificazione dei desideri l'origine della felicità, assumendo amore e successo come erogatori blandi della felicità; allo stesso modo, ma sempre in ordine decrescente per importanza, le altre fonti indicate e cioè gli affetti familiari, le piccole cose, gli scambi amicali.
Il calcolo del chi quadrato condotto sul gruppo dei maschi è significativo per i differenti livelli di età, a dimostrazione che la mappa della felicità va componendosi ed articolandosi in relazione alla maggiore articolazione del pensiero ed alla definizione del Sé e della autoconsapevolezza.
Il confronto per gruppi di età, condotto sul campione delle femmine, mostra il medesimo andamento, essendo le preadolescenti esposte all'influenza del mondo degli altri per la loro felicità, al pari dei coetanei maschi, mentre le adolescenti si assumono la responsabilità della loro felicità.
Ma le giovani studentesse e le lavoratrici dipendono dal mondo degli altri per la loro felicità più dei loro coetanei. Sembra si compia in questo modo il percorso culturale che differenzia maschi e femmine ed i ruoli che loro sono assegnati; un modo questo di leggere la dipendenza dal campo delle donne, anche per quel che riguarda il vivere emozioni quale la felicità, legata come è alla realizzazione di sé, dei desideri, alla libertà di organizzare il proprio progetto di vita, libertà dai confini più angusti, ancora, per le donne appartenenti all'area culturale del Sud d'Italia.
Anche per quel che riguarda la risposta alla domanda "Che cosa è la felicità"

(grafico 9)

le differenze tra i gruppi di età appaiono significative (.001). La definizione in astratto, come qualificazione e descrizione dell'esperienza emozionale etichettata come felicità, si accompagna al riferimento agli eventi elicitanti. Ma, a seconda dell'età, gli eventi che servono alla definizione variano.
Per i preadolescenti alla definizione del vissuto segue la categoria degli antecedenti che fa riferimento all'interazione e alla reciprocità con i coetanei, al successo nelle varie performances, alla gratificazione dei desideri, agli affetti familiari, all'esperienza amorosa.
Per gli adolescenti alla descrizione del vissuto si accompagna, come evento che concorre alla definizione della felicità, il successo nelle varie performances, la soddisfazione dei desideri, l'esperienza amorosa, gli affetti familiari e, per ultima, l'interazione amicale. Il contenuto proposizionale che sostiene l'emozione si modifica, col modificarsi dei compiti di sviluppo e col modificarsi della competenza cognitiva dei soggetti.
Gli universitari sembrano essere i più centrati sulla definizione concettuale della felicità. Gli eventi richiamati al fine di definirla si distribuiscono sulle restanti categorie, ma con valori assolutamente più bassi rispetto all'intero campione. Gratificazione dei desideri, successo, interazione amicale, affetti familiari, esperienza amorosa concorrono alla definizione della felicità, quasi a mostrare che la complessità della felicità, nella quale certamente rientrano esperienze emotive che vanno dalla beatitudine alla gioia, viene riconosciuta, sul piano cognitivo, proprio per essere una esperienza a molte facce, una sola delle quali consiste nella riduzione della tensione, nella soddisfazione di bisogni, nell'appagamento, mentre per le altre continua deve essere la ricerca e l'elaborazione cognitiva.
Mostra che forse è corretta tale linea interpretativa il comportamento del campione composto dai lavoratori. Alla definizione in termini di vissuto, si accompagna il ricorso agli eventi definitori che sono la gratificazione dei desideri, l'interazione amicale, il successo, gli affetti familiari, l'esperienza amorosa.
Sembra si possa dire che la mappa cognitiva della felicità sia soggetta ad una trasformazione progressiva, nel corso dello sviluppo, presentando punti di appoggio differenziati cui conseguono scelte comportamentali per il suo raggiungimento, da una parte, e l'individuazione di caratteristiche salienti, per la sua definizione.


L'attribuzione di un evento ad una espressione di felicità

(grafico 10)

si presenta differente, a seconda dei gruppi di età (.0001).
Nel giudicare l'espressione di felicità i preadolescenti fanno dipendere quell'emozione dalla gratificazione di desideri, dal successo, dalla esperienza amorosa, dall'interazione amicale, dagli affetti familiari, dal verificarsi di un evento inatteso e sorprendente.
Per gli adolescenti, mentre più forte si fa il rifiuto dell'espressione, in quanto falsa, l'evento all'origine può essere il successo, l'evento inatteso e sorprendente, la gratificazione dei desideri, l'esperienza amorosa, gli affetti familiari, l'interazione amicale.
Gli universitari attribuiscono all'espressione il verificarsi di eventi inattesi e sorprendenti, la gratificazione di desideri, il successo, le interazioni amicali, l'esperienza amorosa, gli affetti familiari. Si incrementa il valore della categoria sorriso forzato o falso, con una progressione costante.
I lavoratori attribuiscono l'espressione di felicità ad eventi inattesi, al successo, alle interazioni amicali, all'esperienza amorosa. Anche per i lavoratori, come per gli universitari, il valore della categoria della falsità espressiva si incrementa.

Differenze fra i gruppi e dimensione interno/esterno
Come per le variabile sesso anche l'età discrimina la connotazione interno/esterno che i soggetti attribuiscono agli eventi che narrano come antecedenti della felicità.
Nel confronto fra i gruppi, la dimensione internalità/esternalità muove dalla esternalità accentuata dei preadolescenti, verso la sempre maggiore internalità degli adolescenti e dei giovani, sia studenti che lavoratori

(tabella 4)

anche se tra questi due ultimi gruppi più elevato è il riconoscimento, da parte degli studenti, della personale responsabilità negli eventi che hanno condotto alla felicità.

Anche nel compito di definizione della felicità

(tabella 5)

emergono significative differenze fra i gruppi quanto all'attribuzione della dimensione interno/esterno. In ogni caso, però, se dalla preadolescenza alla adolescenza compiuta degli universitari assistiamo ad una crescita regolare della "internalità", contemporaneamente assistiamo, da parte dei lavoratori, ad una ben diversa attribuzione della dimensione in questione.
E' probabile che una spiegazione accettabile di questi valori fatti registrare dai diversi gruppi non possa essere unicamente stabilita in funzione della dimensione evolutiva. Nel caso dei lavoratori, infatti, è presumibile che incidano in qualche modo la posizione socio-professionale ed altre variabili socio-economiche delle quali non siamo in grado di controllare l'impatto.

In relazione al terzo dei compiti proposti i gruppi di soggetti non si discriminano significativamente in funzione della dimensione "internalità". In ogni caso, un esame globale della

(tabella 6)

mostra come le caratteristiche emerse per i precedenti compiti si ritrovano, anche se in modo meno accentuato, anche in questo caso.

 

Conclusioni


Dall'analisi dei dati è possibile ritenere verificata la prima ipotesi, che individua nella felicità, così come viene sperimentata, definita e attribuita, una famiglia di emozioni piuttosto che una emozione di base, in accordo con Ekman (1992), se si considera l'estrema variabilità dei contenuti cognitivi che la definiscono e degli eventi che la originano.
Tale varietà di contenuti e di eventi è legata a fattori di sviluppo (l'età) e culturali (il sesso), come mostrano le transizioni da punti di riferimento sociali ad altri, e le priorità assegnate di volta in volta alle classi di eventi giudicati essenziali perché tale esperienza emozionale possa prodursi. L'articolazione della definizione dell'emozione e l'abbandono dei punti di applicazione sociali e situazionali dell'esperienza emotiva, nella successione delle tappe di sviluppo e in relazione all'esperienza dei soggetti, si situa lungo il percorso che la competenza emozionale compie dalla minore alla sempre maggiore complessità dell'elaborazione dell'informazione e delle conoscenze.

 

NOTE

Questo lavoro è stato presentato al Convegno annuale sulle Emozioni 1994 (18-19 marzo) - Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano.

 

Riferimenti bibliografici


Argyle M. (1987), The Psychology of Happiness , Methuen, London (trad. it. Cortina, Milano, 1988).

Battacchi M. W. (1993), "Emozioni primarie e ontogenesi". In D. Galati (a cura di), Le emozioni primarie , Torino, Bollati Boringhieri, pp. 113-122.

Boggi Cavallo P. (1983), "Il riconoscimento delle espressioni facciali delle emozioni. Aspetti cross-culturali". In G. Attili e P. E. Ricci Bitti, Comunicare senza parole , Bulzoni, Roma.

Boggi Cavallo P., La Greca F. (1994), "Espressione delle emozioni e differenze di encoding", in Dal mondo percettivo al mondo sociale , Numero speciale di Archivio di Psicologia Neurologia e Psichiatria , Vita e Pensiero, Milano.

D'Urso V., Trentin R. (1992), Il Sillabario delle emozioni , Giuffré, Milano.

Ekman P. (1992), "An argument for Basic Emotions", Cognition and Emotion , 6, 162-200.

Freud S. (1929), Il disagio della civiltà , in Opere , Boringhieri, Torino.

Frijda H. N. (1990), "Teorie recenti sulle emozioni", in V. D'Urso, R. Trentin (a cura di), Psicologia delle emozioni , Bologna, Il Mulino, pp. 19-43.

Galati D. (1993), Le emozioni primarie , Torino, Bollati Boringhieri.

Leventhal H., Scherer K. R. (1987), "The relationship of emotion and cognition: a Functional approach to a Semantic Controversy", Cognition and Emotion , vol. II, 2-28.

Lewis M. (1992), Shame , New York, Free Press.

Nigro G., Galli I. (1988), La fortuna, l'abilità, il caso , Torino, Centro Scientifico Torinese.

Ricci Bitti P. E., Brighetti G., Garotti L., Boggi Cavallo P. (1989), "Is contempt expressed by pan-cultural facial movements?", in S. P. Forgas, J. M. Innes (Eds), Recent advances in Social Psychology , Elsevier, pp. 329-339.