Antonio Leto


Cinema e filosofia
L'immagine-tempo




"Il pensiero filosofico non ha mai avuto tanta importanza quanto oggi, poiché si è installato tutto un regime non solamente politico, ma culturale e giornalistico, che è un'offesa a tutto il pensiero "
Gilles Deleuze



Questo secondo saggio sul tempo nel cinema è il seguito del lavoro sull'Immagine-movimento pubblicato sul n.1/2 1994 dei Quaderni.
Ad un cinema cosiddetto 'classico' farà posto un cinema 'moderno'; ad un cinema di 'narrazione' un cinema di 'descrizione'. Il Tempo sarà il soggetto di questo nuovo tipo di cinema, meno legato agli schemi senso-motori più aperto verso una dimensione sonora e visiva autonoma. La rottura del legame senso-motorio definirà questo secondo stadio del cinema.
"La crisi che ha scosso l'immagine-azione è dipesa da molte ragioni che non hanno agito pienamente se non dopo la guerra, e di cui alcune erano sociali, economiche, politiche, morali, altre più interne all'arte, alla letteratura e al cinema in particolare. Si potrebbero citare alla rinfusa: la guerra e le sue conseguenze, il vacillare del "sogno americano" in tutti i suoi aspetti, la nuova coscienza delle minoranze, la crescita e l'inflazione delle immagini, tanto nel mondo esterno che nella mente della gente, l'influenza sul cinema di nuovi modi di raccontare che la letteratura aveva sperimentato, la crisi di Hollywood e degli antichi generi... Certo, si continuano a fare film SAS e ASA: i più grandi successi commerciali passano sempre da qui, ma non più l'anima del cinema... L'anima del cinema esige sempre più pensiero, anche se il pensiero comincia con il disfare il sistema delle azioni, delle percezioni e delle affezioni di cui il cinema si era nutrito fino a quel momento. Non crediamo più affatto che una situazione globale possa dar luogo ad un'azione capace di modificarla. Ancor meno crediamo che un'azione possa forzare una situazione a svelarsi anche parzialmente. Le illusioni più "sane" cadono. Dovunque, ciò che è innanzi tutto compromesso sono i concatenamenti, situazione-azione, azione-reazione, eccitazione-risposta, insomma i legami sensorio-motori che facevano l'immagine-azione. Il realismo, malgrado tutta la sua violenza, o meglio con tutta la sua violenza che resta sensorio-motrice, non rende conto di questo nuovo stato di cose in cui i sinsegni si disperdono e gli indizi si ingarbugliano. Abbiamo bisogno di nuovi segni. Nasce una nuova specie d'immagine che si può tentare d'identificare nel cinema americano del dopoguerra, fuori Hollywood" (1).
L'immagine non rinvia più a una situazione globalizzante o sintetica, ma dispersiva; i personaggi hanno interferenze deboli, funzionano sia come secondari che come principali, senza che vi sia un ruolo fisso, tutti presi nella stessa realtà che li disperde... (Robert Altman, King Vidor). La linea o la fibra di universo che prolungava gli avvenimenti gli uni negli altri si è spezzata e non assicura più il raccordo delle porzioni di spazio (Altman, Cassavetes, Lumet, Scorsese con Taxi driver ). L'azione o la situazione sensorio-motrice è sostituita dalla passeggiata, dall'andare a zonzo, in un andirivieni continuo. "L'andare a zonzo aveva trovato in America le condizioni formali e materiali per un rinnovamento. L'andare a zonzo si fa per necessità, interna o esterna, per bisogno di fuga. Ma adesso perde l'aspetto iniziatico che aveva nel viaggio tedesco [Wenders], e che conservava malgrado tutto nel viaggio beat (Easy Rider di Dennis Hopper e Peter Fonda). E' diventato un andare a zonzo urbano e si è staccato dalla struttura attiva o affettiva che lo dirigeva, gl'imprimeva delle direzioni anche vaghe. [...] In effetti, la cosa più chiara dell'andare a zonzo moderno è che si fa in uno spazio qualsiasi, stazione di smistamento, deposito abbandonato, tessuto sdifferenziato della città, in opposizione all'azione che si svolgeva spessissimo negli spazi-tempo qualificati dell'antico realismo" (2).
In quarto luogo, cosa mantiene un insieme in questo mondo senza totalità né concatenamento?....i cliché, e nient'altro. Nient'altro che cliché, dappertutto cliché... (Dos Passos, Altman, Lumet, Scorsese, con Re per una notte ).
"L'America ha rilanciato la questione romantica dandole una forma ancor più radicale, più urgente, più tecnica: il regno dei cliché, all'interno come all'esterno. Come non credere a una potente organizzazione concertata, a un grande e potente complotto che ha trovato il mezzo di far circolare i cliché dal di fuori al di dentro, dal di dentro al di fuori? Il complotto criminale, in quanto organizzazione del Potere, assumerà nel mondo moderno un'andamento nuovo, che il cinema si sforzerà di seguire e di mostrare. Non si tratta più affatto, come nel film giallo del realismo americano, di un'organizzazione che rinvia a un ambiente distinto, a azioni assegnabili attraverso le quali i criminali si segnalano (benché si continuino a fare film di questo genere, di grande successo, come Il padrino )" (3).
Ricapitolando, ecco i cinque caratteri di questa nuova immagine:
a) la situazione dispersiva, i legami deliberatamente deboli;
b) la forma-andare a zonzo;
c) la presa di coscienza dei cliché;
d) la denuncia del complotto.
Sono questi i caratteri del nuovo cinema.
Ma si prospetteranno anche, per la filosofia, nuove soluzioni, a vecchi problemi. Il tempo, il modo in cui lo si vive, come ci si muove in esso, come 'ci' costituisce, come lo sentiamo e lo vediamo... Il cinema saprà dare delle valide risposte a tutto questo. Il modello sarà sempre Bergson, con i capitoli II, III, e IV di Materia e memoria.
La soggettività non sarà più la nostra (psicologica), ma il tempo stesso. Il tempo come soggettività che "ci trascina, ci raccoglie e ci rilascia". Noi viviamo nel tempo, in una Memoria integrale (o passato generale) che si incarna nei 'nostri' ricordi (memoria psicologica) ed è solo "nel cinema che si può, oggi, pensare il tempo" (4). Ecco le tesi generali di Bergson:
a) viviamo in un tempo non-cronologico;
b) il passato coesiste con il presente che è stato, e si conserva in sé, intatto, e in quanto passato non cronologico.
Si è bambini, adulti e anziani, nello stesso tempo, dice Fellini. Si è sempre in un passato senza tempo, presi nel ritmo di un tempo che ci trascina, ci raccoglie e ci rilascia... Fellini è bergsoniano.
L'immagine-azione era troppo 'oggettiva', e se spesso presentava dei 'buchi', dei 'vuoti', erano lì solo per essere colmati e non costituivano un tale tipo di cinema. Qui invece gli scacchi della memoria sono più importanti di qualsiasi 'concatenazione logica'; essi ci danno la possibilità di vedere realmente il tempo, e il cinema europeo ha sempre lavorato molto su questi stati della vita; amnesia, ipnosi, sogni, visione dei moribondi, deliri, déjà-vu, allucinazioni... (e così pure Bergson) (5). Sono questi i 'segni' del tempo, di come il tempo lavora, esiste, sdoppiantesi sempre in direzioni differenti che lacerano il soggetto. E' un cinema del veggente, più che dell'attante, dice Deleuze, del reale non rappresentato o riprodotto ma "mirato" (si spiega così anche la sostituzione al montaggio delle rappresentazioni del piano-sequenza). I personaggi muoiono per aver visto troppo; o ne vivono. Essi sono superati, abbagliati, da qualcosa che li sovrasta; vivono nell'impotenza di organizzare un'azione, una risposta, ma producono pensiero, spirito "sono finita, ho paura, che mistero, che bellezza, Dio mio..." (Stromboli, terra di Dio ).
Sono i caratteri generali del neorealismo (a cui Rossellini non ha mai voluto, in vero, essere 'etichettato'). "Il neorealismo si definisce quindi per questa crescita di situazioni puramente ottiche (e sonore, benché ai suoi inizi non esistesse il suono sincrono), che si distinguono sostanzialmente dalle situazioni senso-motorie dell'immagine-azione del vecchio realismo. [lo spettatore si è sempre trovato di fronte a "descrizioni", a immagini-sonore, a immagini-ottiche e sonore, ma il problema era che il personaggio reagiva alle situazioni e lo spettatore identificandosi con questi, percepiva un immagine senso-motoria. Hitchcock includendo lo spettatore nel film aveva inaugurato il capovolgimento di questo punto di vista] [Il personaggio] ha un bel muoversi, correre, agitarsi, la situazione nella quale si trova supera da ogni parte le sue capacità motorie e gli fa vedere e sentire quel che non può più essere teoricamente giustificato da una risposta o da un'azione. Più che reagire, il personaggio registra, più che essere impegnato in un'azione, è consegnato a una visione, che insegue o da cui è inseguito" (6). Dal momento che sono scomparse le possibilità effettive dei personaggi di modificare o di restaurare delle situazioni, o che, sono venute a mancare le concatenazioni che il meccanismo percezione-azione proponeva, l'immagine non presenta più del movimento (o indirettamente il tempo - come nel montaggio), ma il tempo al suo stato puro, ossia non dedotto dal movimento (si ricordi che per Bergson percezione-azione-affezione, erano delle specie del movimento).
E' il nucleo di Europa '51. Una perfetta donna borghese, con i suoi schemi, le sue abitudini, i suoi ritmi; gli ordini e i preparativi per una cena, il suo ruolo di mamma, di sposa, di padrona di casa, di conversatrice e mediatrice... cliché che pullulano dappertutto, nella donna, nel marito, negli invitati...
Ma la morte del figlio e il modo in cui avviene segna una rottura nelle concatenazioni senso-motorie della protagonista. Una ferita larga un mondo si apre nella sua vita, lei capisce di essere vissuta nel vuoto, senza amore. Così aiuta una povera famiglia col figlio malato, poi una prostituta; procura del lavoro ad una donna del popolo; lavora essa stessa in una fabbrica; protegge un rapinatore, ma infine viene rinchiusa in una casa di cura per malati di mente dalla buona famigliola borghese, da una grata di ferro piange e bacia il mondo che va via... ma ora lei vede, ha imparato a vedere, i suoi sguardi hanno abbandonato "la funzione pratica di una padrona di casa capace di mettere in ordine esseri e cose, per passare attraverso tutti gli stadi di una visione interiore, afflizione, compassione, amore, felicità, accettazione, perfino nell'ospedale psichiatrico dove la si rinchiude al termine di un nuovo processo alla Giovanna D'Arco" (7).
Deleuze ci parla di "un 'astratto' visivo e sonoro, molto poco 'denotato concretamente', ridotto a pochi tratti", una descrizione inorganica (in un altro tipo di descrizione - organica - l'oggetto sarebbe visto secondo le sue normali funzioni, come "una sedia è fatta per sedersi"). In realtà, osserva Deleuze, tra l'immagine senso-motoria del realismo e quella ottica e sonora del neorealismo non c'è di meno; "l'immagine senso-motoria tiene in considerazione della cosa solo ciò che ci interessa, o ciò che si prolunga nella reazione di un personaggio. [...] Inversamente, per quanto l'immagine ottica pura sia soltanto una descrizione e riguardi un personaggio che non sa o non può più reagire alla situazione, la sobrietà di quest'immagine, la rarità di ciò che tiene in considerazione, linea semplice o punto, 'minuscolo frammento senza importanza' portano ogni volta la cosa a una singolarità essenziale e descrivono l'inesauribile, poiché rinviano senza fine ad altre descrizioni. E' l'immagine ottica, dunque, ad essere veramente ricca o 'tipica'" (8).
Il problema è che questa immagine non richiama semplicemente un ricordo, saremo ancora nello schema senso motorio, in una concatenazione 'organica' percezione-ricordo. L'immagine ottica e sonora presenta immediatamente i due lati della cosa: la sua realtà materiale e la sua realtà mentale o spirituale, senza che tra di loro vi sia una concatenazione logica necessaria. I due stati coesistono senza che sopravvenga la capacità o la possibilità di distinguerne i contorni; vivono mescolati, "zone d'indiscernibilità": reale o immaginario? fisico o mentale? oggettivo o soggettivo? "A questo o quell'altro aspetto della cosa corrisponde una zona di ricordi, di sogni o di pensieri: ogni volta è un piano o un circuito, sicché la cosa passa per un'infinità di piani o di circuiti che corrispondono ai suoi strati o ai suoi aspetti. A una diversa descrizione corrisponderebbe una diversa immagine virtuale, e viceversa: una altro circuito. [...] Ogni circuito cancella e crea un oggetto. Ma è proprio in questo 'doppio movimento di creazione e di cancellatura' che i piani successivi, i circuiti indipendenti, annullandosi, contraddicendosi, riprendendosi, biforcandosi, formeranno contemporaneamente gli strati di una sola e medesima realtà fisica e i livelli di una sola e medesima realtà mentale, memoria o spirito" (9).
Ma siamo entrati in un punto difficile della teoria bergsoniana, nei temi famosi dell'attualità e della virtualità (i circuiti sono la concatenazione di immagini attuali e virtuali dato che l'immagine attuale non si prolunga più in movimento), e di quello delle differenze di natura.
Questo nuovo tipo di immagine è un misto reale-immaginario, mentale-fisico, virtuale-attuale..., zone di indiscernibilità difficili da delineare. L'errore è ricondurre la percezione a un ricordo o viceversa, non accorgendosi che questi due termini differiscono in natura ; è che già porre il problema in questo modo significa non poterlo poi risolvere e impantanarsi in riflessioni che condurrebbero da palude a palude, in un ingarbugliamento senza fine.
Ci troviamo dunque di fronte ad un misto percezione-ricordo (quasi un'allucinazione), ad esempio una fabbrica e l'immagine mentale che gli sopravviene "mi sembra di vedere dei condannati". Lo sforzo continuo del primo capitolo di Materia e memoria sarà proprio quello di convincere che tra i due non c'è una differenza di grado ma di natura, presenze pure o tendenze che spingono su di uno stesso lato come il dritto e il rovescio di una stessa superficie. Il ricordo non prolunga il movimento materiale del mondo esso è il 'risultato' di un'attività spirituale e mentale, del tempo in persona. Il ricordo non può intervenire dal lato della percezione, su questo lato non ci allontaneremmo dalla materia. Bisogna pensare in termini di tempo. Una volta scomposte le due linee della percezione e del ricordo, ritrovandone le loro differenze di natura, bisogna ripensarle nella loro realtà vivente, che ha come caratteristica, lo ripetiamo, di cambiare in continuazione, di essere eterogenea, unica, ed una; fatta solo d'intensità (la durata ). Ciò che cambia, ciò a cui spetta di cambiare non è sul lato della percezione-azione ma nel ricordo, nella memoria, nel tempo o nello spirito; è su questo lato che ritroveremo "tutte le differenze di natura" (sul lato della percezione un oggetto non cambierebbe dall'altro presentando solo differenze di grado; l'immagine senso-motoria "associa alla cosa molte altre cose che le assomigliano sullo stesso piano, in quanto suscitano tutte movimenti simili [...] Lo schema senso-motorio è in questo senso agente d'astrazione") (10). Era ciò che Bergson chiamava metodo dell'intuizione.
Sono le immagini abituali che occorrono quotidianamente verso le nostre percezioni che ci permettono di 'riconoscere' l'oggetto (o qualsiasi altra cosa) percepito; è "un riconoscimento senso-motorio che avviene soprattutto tramite movimenti: si sono formati e accumulati dei meccanismi motori che la semplice vista dell'oggetto basta a far scattare" (11). Dall'altro però l'immagine-ricordo interviene nel riconoscimento attento. Le immagini-ricordo "intervengono solo in via accidentale e secondaria nel riconoscimento automatico, mentre sono essenziali per il riconoscimento attento: questo avviene attraverso quelle. Con le immagini-ricordo appare dunque un senso tutto nuovo della soggettività. Abbiamo visto che la soggettività si manifestava anche nell'immagine-movimento: sorge non appena vi è uno scarto tra un movimento ricevuto e un movimento eseguito, un'azione e una reazione, un'eccitazione e una risposta, un'immagine-percezione e un'immagine-azione. Anche l'affezione è una dimensione di questa prima soggettività, in quanto appartiene allo scarto, ne costituisce il "dentro", in qualche modo lo occupa, ma senza riempirlo o colmarlo. Ora, al contrario, l'immagine-ricordo arriva a riempire la scarto, lo colma effettivamente, in modo tale da ricondurci individualmente alla percezione, invece di prolungarla in movimento generico. Approfitta dello scarto, lo presuppone, poiché vi si inserisce, ma è di altra natura. La soggettività acquista dunque un nuovo senso, non più motorio o materiale, ma temporale o spirituale: ciò che "si aggiunge" alla materia e non più ciò che la dilata; l'immagine-ricordo, e non più l'immagine-movimento" (12).
Ma non bisogna confondersi. L'immagine-ricordo, secondo ciò che si è detto sulla virtualità, non può essere virtuale. La protagonista di Europa '51, non evoca un'immagine-ricordo (immagine attualizzata), essa ha quasi un'allucinazione: "mi sembra di vedere di condannati", ma non è del tipo del riconoscimento attivo (in cui io percepisco un oggetto tramite ricordi). Qui si è in una zona di indiscernibilità, di fallimento del riconoscimento attivo. Fenomeni di scacco o di disturbo della memoria più che del suo corretto funzionamento: déjà-vu, fantasmi, sogno... Qui la protagonista ha difficoltà nel riconoscere una fabbrica, non ricorda propriamente, essa lavora con elementi virtuali venuti da un ricordo più generale, da un passato generale che si incarna di volta in volta e a livelli differenti (ognuno contente in sé tutto il passato in generale) nelle immagini-ricordo.
"Quando non si riesce a ricordare, il prolungamento senso-motorio resta sospeso e l'immagine attuale, la percezione ottica presente, non si concatena né con un'immagine motoria né con un immagine-ricordo in grado di ristabilire il contatto [ho visto una fabbrica simile a X]. Entra piuttosto in rapporto con elementi autenticamente virtuali, sentimenti di déjà-vu o di passato "in generale" (devo aver già visto quest'uomo da qualche parte...), immagini di sogno (ho l'impressione di averlo visto in sogno...), fantasmi o scene di teatro (ha l'aria di recitare una parte che mi è familiare...)" (13). Accade quando la percezione non si prolunga direttamente in azione, e viene investita dai sensi, prima che l'azione, dal suo interno, si formi (neorealismo). E tramite gli organi di senso liberati, si stabilisce, tra l'ambiente e l'azione, un rapporto onirico. L'azione fluttua nella situazione più che compierla o rafforzarla (il realismo).
Ogni descrizione cancella e ricrea l'oggetto, ma nello stesso tempo raggiunge strati più profondi della realtà; inoltre si ha un circuito più largo di tutti, l'involucro esterno di tutti i circuiti con gli stati del sogno, della fantasticheria, del sogno ad occhi aperti, dello straniamento o della fantasmagoria. Lo si vede in Stromboli terra di Dio di Rossellini. L'isola veniva attraversata da descrizioni sempre più profonde, gli approdi, la pesca, la tempesta, l'eruzione, e la straniera saliva sempre più in alto nell'isola, "finché la descrizione si abissa in profondità e la mente cede sotto una tensione troppo forte. Dalle pendici del vulcano scatenato, il villaggio lo si vede giù in basso, che brilla sulla nera fiumana, mentre la mente mormora: 'sono finita, ho paura, quale mistero, quale bellezza, Dio mio...'" (14).
Questa rivelazione sarà così profonda per il personaggio proprio in quanto questi non disporrà di alcuna 'reazione' compensatrice. La violenza di ciò che vedrà, non sarà attenuata, né in qualche modo addolcita. Non sarà solo il vulcano, ma la mattanza del tonno ("era orribile..."), o la desolazione dell'isola.
Ne esce, da questo film, un Rossellini profondamente bergsoniano, con i temi dell'attesa come realtà mentale o spirituale... "ogni soluzione nasce dall'attesa. E' l'attesa che fa vivere, l'attesa che scatena la realtà, l'attesa che - dopo la preparazione - dà la liberazione. Prenda ad esempio l'episodio della tonnara, in Stromboli. E' un episodio che nasce dall'attesa. Si viene creando, nello spettatore, una curiosità per ciò che dovrà succedere: poi è l'esplosione della mattanza dei tonni. L'attesa è la forza di ogni avvenimento della nostra vita: e così anche per il cinema" (15).
L'immagine ottica e sonora non solo viene decisamente tagliata dal suo prolungamento motorio, ma non compensa più questa perdita con un'immagine-ricordo o un'immagine-sogno esplicita. Si può definire questo stato sogno implicato, in cui l'immagine si prolunga in movimento di mondo. "Vi è dunque un ritorno al movimento (donde ancora la sua insufficienza). Ma non è più il personaggio che reagisce alla situazione ottica-sonora, è un movimento di mondo che supplisce al movimento che vien meno al personaggio [in questo caso la donna di Stromboli]. Si produce una specie di mondializzazione o "mondanizzazione", di depersonalizzazione, di pronominalizzazione del movimento perduto o impedito" (16). Questi stadi (fantasticheria, sogni ad occhi aperti...) superano la scissione del circuito più vasto. Il sogno, presentava un sognatore ed uno spettatore (coscienza del sogno); qui invece non c'è scissione, con il movimento di mondo (movimento virtuale) si ha il limite del circuito più grande (17).
Nel cinema le tecniche sono varie per presentare tali immagini. Dissolvenze, sovrimpressioni, disinquadrature, complessi movimenti di macchina, effetti speciali, manipolazioni di laboratorio che tendono all'astrazione; o anche tagli netti o montaggio-taglio (quello di Rossellini ad esempio, che procede tra oggetti concreti e "fa" sogno). Si può dire che tra i due (montaggio-taglio e gli altri), si giochi una metafisica dell'immaginazione. La tecnica dell'immagine, dice Deleuze, "rinvia sempre a una metafisica dell'immaginazione". Ma perché Deleuze avverte che questo livello del circuito è ancora insufficiente perché presenta del movimento, seppur sganciato dal suo prolungamento motorio?
Ancora non si è arrivati, secondo Deleuze, ad un'immagine capace di presentare 'in pieno' quelle zone di indiscernibilità di cui dicevamo sopra. Bisogna che si riesca a trovare un'immagine capace di presentare direttamente e senza negazioni il tempo nel suo funzionamento, nella sua realtà vivente. L'immagine-cristallo assolverà a questa funzione.
Con l'immagine-cristallo ci porremo direttamente nella teoria del tempo bergsoniana e in quella che noi avevamo prospettata per Deleuze, una filosofia dell'espressione. "Il cristallo è espressione" (18).
E' il momento in cui virtuale e attuale coesistono, vivono insieme, in coalescenza. E' il momento in cui il tempo si dà a vedere, come l'unità indivisibile di un passato che si conserva e di un presente che passa... ancora presente, e già passata.
"Il presente è l'immagine attuale e il proprio passato contemporaneo, è l'immagine virtuale, l'immagine allo specchio. Secondo Bergson, la "paramnesia" (illusione di déjà-vu, di già vissuto) non fa che rendere sensibile questa evidenza: vi è un ricordo del presente, contemporaneo al presente stesso, così ben aderente come un ruolo all'attore. 'La nostra esistenza attuale, man mano che si svolge nel tempo, è così anche un esistenza virtuale, un'immagine allo specchio. Ogni movimento della nostra vita presenta dunque questi due aspetti: è attuale e virtuale, percezione da un lato e ricordo dall'altro [...] Colui che avrà coscienza del continuo sdoppiamento del suo presente in percezione e ricordo [...] si paragonerà all'attore che recita automaticamente la propria parte, ascoltandosi e guardandosi recitare'" (19). Ma non bisogna confondere il ricordo, di cui parla Bergson, con la semplice coscienza che abbiamo dei ricordi attualizzati. L'immagine virtuale è ricordo puro. Esso non è uno stato psicologico ed esiste fuori dalla coscienza, nel tempo (inconscio ontologico, secondo le indicazioni di Materia e memoria ).
Parte un appello dal presente (abbiamo visto una donna e abbiamo avuto l'impressione di averla già vista da qualche parte) di colpo ci installiamo in una determinata regione del passato a cercare il ricordo che corrisponderebbe a questa sensazione diffusa. Ogni volta che parte un appello dal presente noi saltiamo in una regione del passato generale, in uno strato contratto che comprende la totalità del nostro passato; se questo non corrisponde ai nostri bisogni (non avremo allora trovato il ricordo corrispondente alla vaga sensazione), si ricomincia alla ricerca di un'altra regione, e così via... In questo stesso momento la memoria integrale risponde simultaneamente con dei movimenti di traslazione, contrazione, e rotazione, che sono le risposte della memoria all'appello del presente. Secondo il primo movimento (di traslazione), la memoria si pone interamente di fronte all'esperienza, contraendosi in vista dell'azione senza dividersi; inoltre, ruota su se stessa in modo da orientarsi verso la situazione del momento e presentarle il suo lato più utile.
Non bisogna confondere tutto questo con l'attualizzazione dei ricordi. "Le memorie, i sogni, i mondi stessi sono soltanto circuiti relativi apparenti che dipendono dalle variazioni di questo Tutto. Sono gradi o modi di attualizzazione che si scaglionano tra questi due estremi dell'attuale e del virtuale. [...] Come si percepiscono le cose là dove sono e bisogna installarsi nelle cose per percepire, così andiamo a cercare il ricordo là dove esso è, e dobbiamo d'un balzo installarci nel passato in generale, in queste immagini puramente virtuali che non hanno smesso di conservarsi nel corso del tempo" (20).
L'immagine cristallo rivelerà l'immagine-tempo diretta, e non più conclusa dal movimento. Rivelerà il paradosso del tempo, il suo differenziarsi in due getti: passati che si conservano e presenti che passano.
Ma i due getti formeranno a loro volta immagini-tempo: il passato nella forma del già-là; di una preesistenza in generale. Il presente, nella forma di un passato infinitamente contratto; il successivo è il presente che passa, che scorre... simultaneità delle punte di presente e punte di presente de-attualizzate: presente del passato, presente del futuro, presente del presente.
La memoria non è in noi; siamo noi che ci muoviamo in una memoria-Essere, in una memoria-mondo. La soggettività non è la nostra, è il tempo in persona, l'anima o lo spirito, il virtuale; era dapprima l'affetto, ciò che proviamo nel tempo; poi il tempo stesso, pura virtualità che si sdoppia nell'affettare e nell'essere affetta, l'"affezione di sé per sé" come definizione del tempo. Dall'altro, possiamo sprofondare nell'avvenimento e trattare la vita, o una vita, come "il tempo in cui non avviene nulla", nell'implicazione dei presenti; "un incidente sta per accadere, accade, è accaduto. [...] Due persone si conoscono, ma si conoscevano già e non si conoscevano ancora. Il tradimento avviene, non è mai avvenuto, eppure è avvenuto e avverrà, tradendo l'uno talora l'altro e talora l'altro l'uno, tutto in una volta". (non più coesistenza di falde di passato ma simultaneità di punte di presente) (21).
Era il cinema di Renoir, Fellini, Visconti, Buñuel, Resnais, Welles (il primo ad aver fatto un film sul tempo, Quarto potere, e ad aver concepito il tempo come coesistenza di regioni o falde di passato da esplorare. L'uso della profondità di campo e il raddoppio del grandangolare lo aiuteranno in quest'operazione). Il cinema troverà soluzioni e tecniche diverse per la messa in scena di un tale tipo di cinema: specchi (famosa è la scena de La signora di Shanghai, di Orson Welles), giochi di luci e ombre, di limpido e di opaco (mentre l'immagine virtuale del ruolo diventa attuale e limpida, l'immagine attuale dell'attore passa nelle tenebre e diventa opaca; Zanussi), lo strano cristallo verde de La camera verde di Truffaut... ecc., ecc. Cosa comportava dunque un tale cinema del tempo? Quali erano ad esempio, i passaggi avvenuti tra il vecchio realismo di Ford e il nuovo di Rossellini?
Il regime cristallino andava al di là di un uso particolare delle tecniche. C'era ad esempio un regime di narrazione cristallino (inorganico) che concerneva le descrizioni, quel movimento di creazione e di cancellatura dell'oggetto. Inversamente c'era una descrizione (organica), in cui l'oggetto era indipendente; "non si tratta di sapere se l'oggetto è realmente indipendente; né se si tratti di esterni o di scene. L'importante è che l'ambiente descritto, siano scene o esterni, venga posto come indipendente dalla descrizione che ne fa la cinepresa e valga per una realtà che si suppone preesistente" (22) (anche il neorealismo vantava la ripresa di esterni, ma per trarne delle descrizioni pure che rompevano con i prolungamenti motori). In una seconda maniera, la descrizione organica, si caratterizza per la sua continuità narrativa (con relazioni ben individuate, concatenazioni logiche e causali, ecc...) e per aver sempre presente la coppia reale-immaginario. L'altra descrizione, l'abbiamo visto, presuppone e crea delle zone d'indiscernibilità (immagini-cristallo), e l'attuale non si prolunga nei centri motori, così come il reale perde la sua concatenazione legale e il virtuale si fa valere per sé stesso (23).
Poi c'era il problema della narrazione. Quella organica, sviluppava gli schemi senso-motori attraverso cui i personaggi agivano e reagivano alle situazioni (SAS, SAS', ASA, ASA'). Gli spazi erano intesi in quanto relazioni di forze in opposizione e in tensione, e la loro risoluzione avveniva dopo "la distribuzione di mete, ostacoli, mezzi, svolte..." (24) Deleuze parla di un principio di economia... la via più semplice, la svolta più adeguata, la parola più efficace, il minimo di mezzi per un massimo d'effetti - i western di Ford ne sono un esempio brillante, come lo era la sua vita, lo si ricorda come un uomo di poche e giuste parole. In una riunione convocata nel periodo maccartista sulla decisione di De Mille di esonerare dall'incarico Joe Mankiewicz (presidente del Guild), "quando l'applauso per Stevens si spense, ci fu un attimo di silenzio, poi Ford alzò la mano. C'era anche uno stenografo, e tutti dovevano dichiarare la loro identità per il verbale. Ford si alzò e si piantò davanti allo stenografo. 'Mi chiamo John Ford', disse, 'e faccio western'. Fece una breve pausa perché questa battuta avesse il suo effetto. 'Credo che nessuno in questa sala sappia meglio di C. B. De Mille cosa vuole il pubblico americano, e senza dubbio De Mille sa anche come darglielo. Da questo punto di vista lo ammiro'. Poi guardò dritto verso De Mille, che sedeva di fronte a lui dall'altra parte della stanza. 'Ma tu non mi piaci, C. B.' disse. 'Non mi piace quello che rappresenti e non mi piace quello che hai detto stasera. Joe è stato offeso e penso che meriti delle scuse'. Fissò De Mille mentre l'assemblea aspettava in silenzio. De Mille guardava dritto davanti a sé senza battere ciglio. Dopo trenta secondi Ford concluse: 'Allora credo che ci sia una sola alternativa: che il signor De Mille e tutta la direzione rassegnino le dimissioni e che accordino a Joe un voto di fiducia - e poi andiamocene tutti a casa a dormire. Domani dobbiamo girare dei film". Ford si accese la pipa, la sua proposta passò. Sembra di vedere uno dei suoi eroi sullo schermo. Poche parole, e giuste (le più efficaci, comprese le pause e gli sguardi; o le posture e il coraggio), grandi effetti, ricompattazione della frattura con risoluzione e riordino delle parti, e così via (25).
La narrazione cristallina, invece, lo ripetiamo, rompeva con la senso-motricità, producendo spazi riemanniani (rizoma, piano d'immanenza, patchwork...). Il neorealismo produceva un tale tipo di spazio. Le parti si raccordavano senza rapporti predeterminati; in più il raccordo delle parti poteva essere fatto in un infinità di modi: "spazio sconnesso, puramente ottico, sonoro o anche tattile. [...] spazi vuoti, amorfi, che perdono le loro coordinate euclidee" (26).
La guerra creò una miriade di tali spazi, le città smantellate o in ricostruzione, i terreni incolti, le bidonville; anche dove non era passata, si ritroveranno, sotto altre forme, questi spazi, i tessuti urbani "sdifferenziati", i vasti luoghi abbandonati, i docks, i depositi, ammassi di putrelle e rottami di ferro. Il cinema verificò una crisi dell'immagine-azione: i personaggi si trovavano sempre meno in situazioni sensorio-motrici "motivanti", in uno stato di passeggiata, di bighellonaggio o di erranza che daranno vita a situazioni ottiche e sonore pure. "L'immagine-azione tendeva allora a frantumarsi, mentre i luoghi determinati si attenuavano sfumando, lasciando salire spazi qualsiasi dove si sviluppavano gli affetti moderni di paura, di distacco, ma anche di freschezza, di velocità estrema e di attesa interminabile" (27). Il neorealismo italiano si opponeva al realismo proprio perché rompeva con le coordinate spaziali, con l'antico realismo dei luoghi. Ingarbugliava i punti di riferimento motori oppure forniva degli "astratti" visivi. Sintomatica sarà la palude o la fortezza di Paisà di Rossellini, o la fabbrica di Europa '51 (28). Ma perché anzitutto l'Italia, prima della Francia e della Germania? E' la domanda che si pone Deleuze. "Forse per una ragione essenziale, - dice - ma esterna al cinema. Sotto l'impulso di De Gaulle, la Francia, alla fine della guerra, aveva l'ambizione storica e politica di far pienamente parte dei vincitori: bisognava dunque che la Resistenza, anche sotterranea, apparisse come il distaccamento di un'armata regolare, perfettamente organizzata; e che la vita dei francesi, anche se attraversata da conflitti e ambiguità apparisse come un contributo alla vittoria. Tali condizioni non erano favorevoli a un rinnovamento dell'immagine cinematografica, che era mantenuta nel quadro di un immagine-azione tradizionale, al servizio di un "sogno" propriamente francese. Tanto che il cinema in Francia non potrà rompere con la propria tradizione che molto tardi, e attraverso una svolta riflessiva o intellettuale quale fu quella della nouvelle vague. Tutt'altra era la situazione in Italia: non poteva certo pretendere al rango di vincitore; ma contrariamente alla Germania, da un lato disponeva di un istituzione cinematografica che era relativamente sfuggita al fascismo, dall'altro poteva invocare una resistenza e una vita popolare soggiacenti all'oppressione, anche se prive d'illusione. Era necessario soltanto, per coglierle, un nuovo tipo di "narrazione" capace di comprendere l'ellittico e l'inorganizzato, come se il cinema dovesse ripartire da zero, rimettendo in discussione tutto ciò che la tradizione americana aveva acquisito. Gli Italiani potevano dunque avere una coscienza intuitiva della nuova immagine che stava nascendo. Con ciò non spieghiamo niente del genio dei primi film di Rossellini. Spieghiamo però almeno la reazione di certi critici americani che vi videro la pretesa smisurata di un paese vinto, un ricatto odioso, un modo per far vergognare i vincitori. [R.S. Warshow]. E soprattutto, proprio la situazione particolarissima dell'Italia rese possibile l'impresa del neorealismo" (29).
I cinque caratteri che prima si elencavano, e che segnavano la fine dell'immagine-azione, furono creati dal neorealismo italiano. in Roma città aperta, Rossellini mostra una realtà dispersiva e lacunare, e Paisà è un patchwork d'incontri frammentari e spezzati.
Ma non bisognava ancorare il neorealismo solo al suo contenuto sociale. Esso mostrava come delle percezioni impedite si concatenano con atti di pensiero. Non era solo la ripresa della realtà cruda ma del suo doppio, il regno dei cliché, tanto all'interno quanto all'esterno, nella testa e nel cuore delle persone, come nell'intero spazio. Paisà era la raccolta dei cliché dell'incontro italo-americano; e Viaggio in Italia quello della pura italianità, "così come la vede la borghesia a passeggio", vulcano, statue del museo, santuario dei cristiani... Il Generale Della Rovere invece, svilupperà il cliché della fabbricazione di un eroe (30).
Tra i due regimi (organico e inorganico) cambiano le diverse concezioni del tempo (e dello spazio); tratto dal movimento o presentato in forme dirette.
Ma, osserva Deleuze, questa concezione del tempo mette in crisi i valori di verità. Se è vero che degli spazi possono essere raccordati in mille modi diversi, come trarne un modo vero, un modo che sia anche l'unico a dare il raccordo nel migliore dei modi possibili? "La narrazione cristallina giungeva già all'indiscernibilità tra reale e immaginario, ma la narrazione falsificante che le corrisponde fa un passo in più e pone al presente le differenze inesplicabili, al passato alternative indecidibili tra vero e falso. L'uomo verace muore, ogni modello di verità crolla, a vantaggio della nuova narrazione", è la fine del cinema di Ford, "il falsario diventa il personaggio stesso del cinema: non più il criminale, il cow-boy, l'uomo psico-sociale, l'eroe storico, il detentore di potere, eccetera..., come nell'immagine-azione, ma il puro e semplice falsario, a detrimento di ogni azione" (31).
Ma non c'era solo la descrizione e la narrazione, c'era il racconto. La narrazione operava con schemi senso-motori, il racconto con ciò che era soggettivo (ciò che vede il personaggio che è visto) o oggettivo (ciò che vede la cinepresa, che è anche a volte ciò che vede il personaggio). Questi due tipi di immagini, dice Deleuze, devono risolversi in un'identità del tipo Io=Io, "identità del personaggio visto e che vede, me anche identità del regista-cinepresa, che vede il personaggio e ciò che il personaggio vede" (32). Ma questa doppia articolazione crea seri problemi in questa nuova ottica del vero e del falso, anche se, il cinema classico, finiva per affermare il Vero.
In un altro modo, questo schema viene rotto. Lo farà Pasolini con la "soggettiva libera indiretta". Le visioni della macchina esprimevano le visioni soggettive del personaggio e queste si esprimevano in quelle... non il vero, ma la simulazione, "simulazione di racconto". Lo stesso cinema di Ford, che il regista vuole "documentario", non sfugge a un tal tipo di struttura. Per quanto si tenda verso il 'reale' e si continui a mantenere un modello di verità, questo presuppone la finzione e ne deriva. "Nell'Est, pensano che ciò che io mostro è falso, ma io voglio mostrare ciò che è accaduto. 'That's the way it was' [Era così] [...] Mostrare il reale, in maniera quasi documentaria" (33). Ciò che vedevamo nel cristallo era dunque la potenza del falso, il tempo in persona. Il tempo come divenire metteva in crisi ogni modello formale di verità.
Ma il cinema non avrebbe interessato Deleuze solo per le questioni fin qui presentate. Esso aveva a che vedere con certi problemi ancor più vicini al lavoro filosofico, e che interessavano particolarmente Deleuze. Il cinema si era sempre interessato ai meccanismi del pensiero, all'immagine del pensiero. E ricordiamolo, l'immagine del pensiero era il presupposto della filosofia, "è l'immagine del pensiero che guida la creazione dei concetti" (34).
Il regime organico procedeva per 'tagli' razionali e concatenamenti, col suo modello di verità (il Vero è il tutto); quello inorganico operava per tagli irrazionali e con ri-concatenamenti, colla sua potenza del falso come divenire: non è la stessa immagine del pensiero. "Il rapporto cinema-filosofia, dice Deleuze - è quello dell'immagine e del concetto. Ma c'è nel concetto stesso un rapporto con l'immagine, e nell'immagine un rapporto col concetto" (35).
Il secondo era più vicino ad un cinema 'del cervello' (il cinema di Resnais ad esempio). Ed il cervello interessava Deleuze. Esso era il rizoma per eccellenza, dell'erba piuttosto che un albero, l'immagine del pensiero. Un "uncertain system", con meccanismi probabilitari, semi-aleatori, quantici. "Ogni nuovo pensiero traccia dal vivo, nel cervello, dei solchi sconosciuti, esso lo torce, lo piega e lo fende. [...] Nuove connessioni, nuove aperture, nuove sinapsi; è ciò che la filosofia mobilizza creando dei concetti [...] Ciò che mi interessa nel cinema è che lo schermo possa essere un cervello" (36). Nel cinema di Resnais i circuiti trascinano i personaggi, li installano sulle onde (circuiti cerebrali, onde cerebrali). Il pensiero faceva posto a un impensato del pensiero, a un irrazionale proprio del pensiero (37). Era diverso da quello che succedeva nell'immagine-azione. Essa "andava dalla situazione all'azione o, viceversa, dall'azione alla situazione, era inseparabile da atti di comprensione, mediante i quali l'eroe valutava i dati del problema o della situazione, oppure da atti di interferenza, mediante i quali intuiva ciò che non era dato [...] E questi atti di pensiero nell'immagine si prolungavano in una doppia direzione, rapporto delle immagini con un tutto pensato, con delle figure del pensiero" (38).
Il cinema moderno dava invece la possibilità di conoscere il fatto che i meccanismi del pensiero si fondano sulla follia, sulla patologia, negli eccessi... era ciò che voleva dire pensare, non più solo concatenamenti e tagli razionali, ma ri-concatenamenti e tagli irrazionali. Rossellini: "Non mi trovo bene che là dove posso evitare il nesso logico" (39).
L'immagine non è più senso-motoria. Si cercano, in una sperimentazione brancolante, "vere e proprie situazioni psichiche nelle quali il pensiero si incunea e cerca una sottile via d'uscita, [...] delle situazioni puramente visive e il cui dramma deriverebbe da un urto costitutivo per gli occhi, attinto, se così si può dire, nella sostanza stessa dello sguardo" (40). E' il corso di Europa '51.
Questa rottura, che è anche più profondamente una rottura tra l'uomo e il mondo (ancora Europa '51 ), fa dell'essere umano un veggente, colpito da qualcosa di intollerabile nel mondo e confrontato con qualcosa d'impensabile nel pensiero. Il pensiero subisce una strana pietrificazione, "che è come se fosse la sua impotenza a funzionare, a essere, la privazione di se stesso e del mondo" (41). La mummia è il pensiero stesso, nell'ultimo sguardo di Ingrid Bergman, dalle sbarre della clinica psichiatrica, "mummia che irradia tenerezza" (42).
Questo è il nuovo aspetto del cinema: la rottura del legame senso-motorio (l'immagine-azione) e più in profondità del legame tra uomo e mondo (grande composizione organica). Ma anche la scomparsa di figure quali la metonimia, la metafora... "la necessità propria dei rapporti di pensiero nell'immagine ha sostituito la contiguità di rapporti d'immagini (campo-controcampo)" (43).
E ancora, la trasformazione della nozione di Tutto. L'aperto si confondeva con la rappresentazione indiretta del tempo, "ovunque c'era movimento, c'era, aperto in qualche parte, nel tempo, un tutto che mutava. [...] Quando si dice: 'il tutto, è il fuori', la cosa si presenta in tutt'altro modo. Innanzitutto perché la questione non è più quella dell'associazione o dell'attrazione delle immagini. Ciò che conta, al contrario, è l'interstizio tra immagini, tra due immagini: una spaziatura che fa sì che ogni immagine si strappi al vuoto e vi ricada" (44). Ma il cinema aveva in serbo tante altre ricchezze. Leggiamo questa bella pagina di Deleuze, sul corpo, il pensiero e il cinema.
"'Datemi dunque un corpo': è la formula del capovolgimento filosofico. Il corpo non è più l'ostacolo che separa il pensiero da se stesso, ciò che il pensiero deve superare per arrivare a pensare. Al contrario è ciò in cui affonda o deve affondare, per raggiungere l'impensato, cioè la vita. Non che il corpo pensi, ma, ostinato, testardo, forza a pensare, e forza a pensare ciò che si sottrae al pensiero, la vita. Non si farà più comparire la vita davanti alle grandi categorie del pensiero, si getterà il pensiero nelle categorie della vita. E queste sono appunto gli atteggiamenti del corpo, le sue posture. 'Non abbiamo neppure idea di quel che può un corpo' nel suo sonno, nella sue ebbrezza, nei suoi sforzi e nelle sue resistenze [Spinoza]. Pensare è apprendere quel che può un corpo non-pensante, le sue facoltà, i suoi atteggiamenti o posture. Con il corpo (e non più tramite il corpo) il cinema sposa lo spirito, il pensiero. 'Dateci dunque un corpo' significa per prima cosa montare la cinepresa su un corpo quotidiano. Il corpo non è mai al presente, contiene il prima e il dopo, la stanchezza, l'attesa. La stanchezza, l'attesa, persino la disperazione sono gli atteggiamenti del corpo. In questa direzione nessuno è andato più avanti di Antonioni" (45).
Gli atteggiamenti del copro dell'eroe nel western, con quella sua particolare camminatura, quel suo modo di parlare o di portare la pistola o di bere o di amare... "L'atteggiamento del corpo è come un'immagine-tempo, quella che mette il prima e il dopo nel corpo, la serie del tempo; ma il gestus è già un'altra immagine-tempo, l'ordine o l'ordinamento del tempo, la simultaneità dei suoi punti, la coesistenza delle sue falde" (46).
Il nostro lavoro purtroppo non può, in questa sede, prolungarsi oltre. Terminiamo con un passo di Gilles Deleuze sulle immagini elettroniche e sul concetto di informazione, cosa così cara al nostro secolo.
Il cinema moderno, dice Deleuze, sembra che ad un certo punto tenda "a trattare l'immagine in maniera elettronica, informatica, ossia come una tavola su cui scrivere informazioni". Lo schermo, "pur conservando per convenzione una posizione verticale, non sembra più rinviare alla postura umana, come una finestra o anche un quadro, ma costituisce piuttosto una tavola d'informazione, superficie opaca su cui si iscrivono dei 'dati', poiché l'informazione sostituisce la Natura, e il cervello-città, il terzo occhio, sostituisce gli occhi della Natura. Infine, dal momento che il sonoro conquista un'autonomia che gli conferisce sempre più lo statuto di immagine, le due immagini, la sonora e la visiva, entrano in relazioni complesse senza subordinazione né commensurabilità, e raggiungono il limite comune nella misura in cui ciascuna raggiunge il proprio limite. [...] Si avrà un bel mostrare tutti i documenti, far sentire tutte le testimonianze: ciò che rende l'informazione onnipotente (il giornale, e poi la radio, e poi la televisione) è la sua stessa nullità, la sua radicale inefficacia. [...] Ora, l'informazione si supera contemporaneamente da due lati, verso due domande: qual'è la fonte e qual'è il destinatario? Le stesse due domande della pedagogia godardiana. L'informatica non risponde né all'una né all'altra perché la fonte dell'informazione non è un'informazione, non più di quanto lo sia lo stesso informato. Se non c'è deterioramento dell'informazione è perché l'informazione stessa è un deterioramento" (47).

 

NOTE

 

1 ) Gilles Deleuze, L'immagine-movimento. Cinema 1, Ubulibri, Milano 1984, p. 235.

2 ) Ivi, p. 236-237.

3 ) Ivi, p. 238. "Ma in che modo il cinema può denunciare la sinistra organizzazione dei cliché, quando partecipa alla loro fabbricazione e allo loro propagazione, quanto le riviste o le televisioni? Forse le condizioni particolari in cui esso produce e riproduce dei cliché, permettono a certi autori di giungere a una riflessione critica che non troverebbe spazio altrove. L'organizzazione del cinema fa sì che, per quanto grandi siano i controlli che pesano su di lui, il creatore disponga almeno di un certo tempo per "commettere" l'irreversibile. Egli ha la possibilità di sprigionare una immagine di tutti i cliché, e d'innalzarla contro di essi. A condizione tuttavia di un progetto estetico e politico capace di costituire un'impresa positiva. Ora, è proprio in questo che il cinema americano trova i suoi limiti. Tutte le qualità estetiche e anche politiche che può avere, restano strettamente critiche e per ciò stesso meno "pericolose" che se si esercitassero in un progetto positivo di creazione. [...] il furore contro i cliché non conduce a nulla finché ci si accontenta di farne una parodia; [Altman, Lumet] malmenato, mutilato, distrutto, un cliché non tarda a rinascere dalle proprie ceneri. Di fatto, ciò che ha costituito il vantaggio del cinema americano, l'essere nato cioè senza tradizione preliminare che lo strangolasse, si rivolta adesso contro di lui. Poiché questo cinema dell'immagine-azione ha generato una tradizione di cui, nella maggior parte dei casi, non può più liberarsi se non negativamente. I grandi generi di questo cinema, il film psico-sociale, il giallo, il western, la commedia americana, crollano mantenendo tuttavia il loro quadro vuoto. Per alcuni grandi creatori, il cammino dell'emigrazione si è dunque invertito, per ragioni che non sono legate soltanto al maccartismo. Infatti, l'Europa aveva più libertà in questo senso; ed è innanzi tutto in Italia che si è prodotta la grande crisi dell'immagine-azione. La periodicità è pressappoco questa: intorno al 1948, l'Italia; intorno al 1958, la Francia; intorno al 1968, la Germania". ivi, pp. 239-240.

4 ) G. Cabasso, L'Image-Temps, in Cinéma, n. 334, 1985, pp. 3, 9.

5 ) Il cinema sovietico (e i suoi legami con il futurismo, il costruttivismo, il formalismo); l'espressionismo tedesco (e i suoi legami con la psicoanalisi e la psichiatria); la scuola francese (e i suoi legami col surrealismo); tutti rompevano "con i limiti "americani" dell'immagine-azione e per raggiungere anche un mistero del tempo, per unire l'immagine, il pensiero e la cinepresa in una stessa "soggettività automatica", in opposizione alla concezione troppo oggettiva degli americani. Tutti questi stati hanno innanzi tutto in comune il fatto che un personaggio sia preda di sensazioni visive e sonore (o anche tattili, cutanee, cenestetiche) che hanno perduto il proprio prolungamento senso-motorio. Può essere una situazione-limite, l'imminenza o la conseguenza di un incidente, la prossimità della morte, ma anche gli stati più banali del sonno, del sogno o di un disturbo dell'attenzione". Gillese Deleuze, L'immagine-tempo. Cinema 2, Ubulibri, Milano 1989, pp.68-69.

6 ) Ivi, pp. 12-13.

7 ) Ivi, p. 12.

8 ) Ivi, pp. 58-59.

9 ) Ivi, pp. 58-59. E' lo schema che si ritrova in Materia e memoria :

Schema 1

Un "atto di attenzione implica una tale solidarietà tra lo spirito e il suo oggetto, è un circuito così ben chiuso, che non si potrebbe passare a degli strati di concentrazione superiore senza creare di sana pianta altrettanti nuovi circuiti che avvolgono il primo, e che tra i loro non abbiano in comune che l'oggetto percepito. Di questi cerchi della memoria, il più stretto, A, è il più vicino alla percezione immediata. Esso non contiene che l'oggetto O, esso stesso con l'immagine consecutiva che ritorna a coprirlo. Dietro a lui i cerchi B, C, D, sempre più larghi, rispondono a dei crescenti sforzi di espansione intellettuale. [...] la memoria è sempre presente ; ma questa memoria, che la sua elasticità permette di dilatare indefinitivamente, riflette sull'oggetto un numero crescente di cose suggerite. [...] chiamiamo B', C', D', queste cause di crescente profondità, situate dietro l'oggetto, e virtualmente date con l'oggetto stesso. [...] via via che i cerchi B, C, D, rappresentano una maggiore espansione della memoria, la loro riflessione raggiunge in B', C', D', degli strati più profondi della realtà. La stessa vita psicologica sarebbe dunque ripetuta un numero indefinito di volte, ai successivi livelli della memoria, e lo stesso atto dello spirito potrebbe giocarsi a delle altezze molto differenti"; pp. 113-114.

10 ) Ivi, p. 58.

11 ) Ivi, p. 57. A differenza del riconoscimento attento (era il caso dell'esempio della fabbrica tratto da Europa '51 ), qui l'oggetto non viene ricreato a livelli o piani diversi, "non smettiamo di allontanarci dal primo oggetto, passiamo da un oggetto a un altro, secondo un movimento orizzontale o secondo associazioni d'immagini, ma restando su un unico e medesimo piano (la mucca passa da un ciuffo d'erba all'altro e, con il mio amico Pietro, io passo da un oggetto di conversazione a un altro)". Ib.

12 ) Ivi, p. 61.

13 ) Ivi, p. 68.

14 ) Ivi, p. 60. "Non vi sono più immagini-senso-motorie con i loro prolungamenti, ma legami circolari più complessi fra immagini ottiche e sonore pure da una parte e dall'altra immagini provenienti dal tempo o dal pensiero, su piani che virtualmente coesistono tutti poiché costituiscono l'anima e il corpo dell'isola". ib.

15 ) Roberto Rossellini, Il mio metodo, a cura di Adriano Aprà, Marsilio, Venezia 1987.

16 ) Gillese Deleuze, L'immagine-tempo. Cinema 2, Ubulibri, Milano 1989, p. 72.

17 ) "La teoria bergsoniana del sogno dimostra che il dormiente non è per nulla refrattario alle sensazioni del mondo esterno e interiore. Tuttavia non le mette più in rapporto con particolari immagini-ricordo, ma con falde di passato fluide e malleabili che si accontentano di un adattamento molto ampio o fluttuante. [...] Da una parte le percezioni del dormiente permangono, ma allo stato diffuso di pulviscolo di sensazioni attuali, esteriori o interiori, che non sono colte per se stesse, in quanto sfuggono alla coscienza. Dall'altra, l'immagine virtuale che si attualizza, non si attualizza direttamente, ma in un'altra immagine, che gioca anch'essa il ruolo d'immagine virtuale attualizzandosi in una terza, all'infinito: il sogno non è una metafora, ma una serie di anamorfosi che tracciano un circuito molto ampio". Ivi, p. 70.

18 ) "Il compito che avrei desiderato portare a termine, in questi due libri sul cinema, non è una riflessione sull'immaginario, è una operazione più pratica, sfornare dei cristalli di tempo. [...] Non è dell'immaginario, è un regime di segni. In favore, spero, di altri regimi ancora. La classificazione dei segni è infinita, e innanzi tutto perché c'è un'infinità di classificazioni". Gillese Deleuze, Pouparlers, Les Éditions de Minuit, Paris 1990, p. 95.

19 ) Gilles Deleuze, L'immagine-tempo. Cinema 2, Ubulibri, Milano 1989, pp. 93-94. La frase di Bergson è tratta da L'énergie spirituelle.

20 ) Ivi, p. 95 Ecco lo schema di Materia e memoria.

Schema 2

Le sezioni AB, A'B', A''B'', sono le regioni o falde di passato generale di cui si parlava (non immagini-ricordo, ma ricordi puri, virtuali). S, è l'attuale presente (che non bisogna pensare come un punto in quanto contiene già il passato di questo presente, l'immagine virtuale che raddoppia l'immagine attuale).
I circuiti psicologici si formano nel salto che operiamo da S a una di queste sezioni, attualizzando una certa virtualità che dovrà discendere da un nuovo presente. Henry Bergson, Materia e Memoria, Città Armoniosa, Reggio Emilia 1982, p. 161.
Era anche lo statuto del tempo del piano d'immanenza. Un tempo stratigrafico, "dove il prima e il dopo non indicano più che un ordine di sovrapposizioni. [...] Il tempo filosofico è un tempo grandioso di coesistenza, che non esclude il prima e il dopo, ma li sovrappone in un ordine stratigrafico". Gilles Deleuze, Qu'est-ce que la philosophie?, Les Éditions de Minuit 1991, p. 58.

21 ) Gilles Deleuze, L'immagine-tempo. Cinema 2, Ubulibri, Milano 1989, pp. 115-116.
A queste due immagini-tempo dirette, Deleuze ne aggiunge un'altra, sulle serie del tempo (in contrapposizione alla concezione empirica del tempo con presenti che si succedono secondo un rapporto estrinseco del prima e del dopo, e con un passato come 'vecchio' presente ed un futuro come 'presente a venire' - il corso del tempo ). Nelle serie del tempo, il prima e il dopo non sono più in una successione empirica, ma sono le due facce della potenza, o il passaggio della potenza a una potenza superiore (serie ). Non più coesistenza o simultaneità ma divenire come potenziamento (serie di potenze). Sarebbe utile mettere a confronto queste teorie sul tempo con quelle di Logica del senso (Feltrinelli, Milano 1984), su Kronos e Aiôn (si veda in particolare la Ventitreesima serie, e più in generale tutto il testo).

22 ) Ivi, p. 143.

23 ) Deleuze avverte: 'immaginario', se ci si volesse porre un problema propriamente filosofico, è un buon concetto? "E' una nozione molto complicata, perché è all'incrocio di due coppie [reale-irreale, vero-falso]. L'immaginario non é l'irreale, ma l'indiscernibilità del reale e dell'irreale. I due termini non si corrispondono, restano distinti, ma non cessano di scambiare la loro distinzione. Lo si vede bene nel fenomeno cristallino [...] L'immaginario è l'immagine cristallo. [...] l'immaginario non si oltrepassa verso un significante, ma verso una presentazione del tempo puro. E' per questo che io non dò molta importanza alla nozione d'immaginario. Da una parte, essa suppone una cristallizzazione, fisica, chimica o psichica; essa non definisce niente, ma si definisce per l'immagine-cristallo come circuito di scambi; immaginare è fabbricare delle immagini-cristallo, far funzionare l'immagine come un cristallo. [...] non credo a una potenza dell'immaginario, nel sogno, nel fantasma, etc. L'immaginario è una nozione poco determinata, essa deve essere strettamente condizionata: la condizione è il cristallo, e l'incondizionato al quale ci eleva, il tempo. Non credo a una specificità dell'immaginario, ma a due regimi dell'immagine [regime organico e inorganico]" Gilles Deleuze, Pourparlers, Les Éditions de Minuit, Paris 1990, pp. 93-94.

24 ) Gilles Deleuze, L'immagine-tempo. Cinema 2, Ubulibri, Milano 1989, p. 145.

25 ) Lindsay Anderson, John Ford. Ubulibri, Milano 1985, p. 166-167.

26 ) Gilles Deleuze, L'immagine-tempo. Cinema 2, Ubulibri, Milano 1989, p. 146.

27 ) Gilles DeleuzeL'immagine-movimento. Cinema 1, Ubulibri, Milano 1984, p. 145. L'immagine-affezione già presentava un tale tipo di spazio. "Lo spazio non è più determinato, è diventato lo spazio qualsiasi identico alla potenza dello spirito [...]", ib. p. 141. L'importanza del concetto di affezione (modificazione) è considerevole, e tocca entrambi i testi sul cinema di Deleuze. Ricordiamolo, il tempo sarà concepito come l'affezione di sé per sé.
Non "appena abbandoniamo il volto e il primo piano, non appena consideriamo piani complessi che oltrepassano la distinzione troppo semplice tra primo piano, piano medio e piano d'insieme, pare che si entri in un "sistema delle emozioni" molto più sottile e differenziato, meno facile da identificare, atto a indurre affetti non-umani". Ib., p.133.

28 ) Sullo spazio neorealista si consultino i due numeri di Cinématographe, dedicati al neorealismo (nn. 42, 43 1978 e 1979): "E' certo che le costrizioni economiche hanno suscitato ispirazioni folgoranti, e che delle immagini, inventate in condizioni di economia, hanno potuto avere una risonanza universale. Ci sarebbero molti esempi del neorealismo, nella nouvelle vague, ma ciò è vero di ogni tempo, e si può spesso considerare la serie B come un centro attivo d'azione e di sperimentazione". p. 190.

29 ) La crisi economica del dopoguerra "ispira De Sica e lo conduce a spezzare la forma ASA: non c'è più vettore o linea di universo che prolunghi o raccordi gli avvenimenti di Ladri di biciclette ; la pioggia può sempre interrompere o sviare la ricerca dirigendola verso il caso, e interrompere o sviare l'andare a zonzo dell'uomo e del bambino. La pioggia italiana diventa il senso del tempo morto e dell'interruzione possibile. E inoltre, il furto di biciclette o gli avvenimenti insignificanti di Umberto D. hanno un'importanza vitale per i protagonisti. Ciononostante, I vitelloni di Fellini non testimoniano soltanto l'insignificanza degli avvenimenti ma anche l'incertezza del concatenamento, e la non appartenenza a quelli che li subiscono, sotto questa nuova forma dell'andare a zonzo. Nella città in demolizione o ricostruzione, il neorealismo fa proliferare gli spazi qualsiasi, cancro urbano, tessuto sdifferenziato, terreni incolti, che si oppongono agli spazi determinati dell'antico realismo". Gilles Deleuze, L'immagine-movimento. Cinema 1, Ubulibri, Milano 1984, p. 241.

30 ) "In modo particolarissimo, è proprio Fellini a avere posto i suoi primi film sotto il segno della fabbricazione, del reperimento e dalla proliferazione dei cliché, esterni e interni: il fotoromanzo dello Sceicco bianco, la foto-inchiesta di Agenzia matrimoniale, i night, i music-hall e il circo, e poi tutti i ritornelli che consolano o tormentano. [F. Rosi e il complotto: la mafia; l'erede neorealista: la nouvelle vague; il rispetto e l'amore neorealista contro il disprezzo e la parodia, per combattere i cliché; il problema di Godard: l'immagine mentale non deve più contentarsi di tessere ma deve divenire sostanza]. "Era necessario che diventasse veramente pensiero e pensante, anche dovendo farsi per questo più "difficile". Due erano le condizioni. Da un lato avrebbe preteso e supposto una messa in crisi dell'immagine-azione, dell'immagine-percezione e dell'immagine-affezione, a rischio di scoprire dappertutto dei "cliché". Ma dall'altro questa crisi non sarebbe valsa per se stessa, sarebbe stata solo la condizione negativa per il sorgere della nuova immagine pensante, anche dovendo cercarla aldilà del movimento". Ivi, p. 241-244.

31 ) Gilles Deleuze, L'immagine-tempo. Cinema 2, Ubulibri, Milano 1989, pp. 148-149. "Il falsario poteva esistere poco prima in una determinata forma, mentitore o traditore, ma ora assume una figura illimitata che impregna l'intero film. E' l'uomo delle descrizioni pure e contemporaneamente fabbrica l'immagine-cristallo, l'indiscernibilità ", ib, pp. 150-151, corsivo mio.

32 ) Ivi, p.166.

33 ) Ford, a cura di Franco Ferrini nella collana 'Il castoro cinema'. La nuova Italia, Firenze 1975.
"In uno stesso movimento, le descrizioni diventano pure, puramente ottiche e sonore, le narrazioni falsificanti, i racconti, delle simulazioni. L'intero cinema diventa un discorso libero indiretto, che agisce nella realtà. Il falsario e la sua potenza, il regista e il suo personaggio, o viceversa, perché hanno esistenza soltanto in questa comunanza che permette di dire 'noi, creatori di verità'". Era ciò che prima si diceva serie del tempo, la terza immagine-tempo diretta; essa congiunge il prima e il dopo in un divenire senza separazioni o rotture, un flusso. Il suo paradosso "consiste nell'introdurre un intervallo che dura nel momento stesso". Gilles Deleuze, L'immagine-tempo. Cinema 2, Ubulibri, Milano 1989, pp. 173-174.

34 ) Gilles Deleuze, Pourparlers, Les Éditions de Minuit, Paris 1990, p. 203

35 ) Ivi, p. 91.

36 ) Ivi, p. 204.

37 ) Resnais, inventa un cinema di filosofia, un cinema del pensiero, "del tutto nuovo nella storia del cinema, del tutto vivente nella storia della filosofia". Gilles Deleuze, L'immagine-tempo. Cinema 2, Ubulibri, Milano 1989, p. 231.
Altro grande autore di un cinema del cervello è Kubrick. Nei suoi film è il cervello ad essere messo in scena. Mondo=cervello, Cervello=mondo. "L'identità di mondo e cervello, l'automa, non forma un tutto, ma piuttosto un limite, una membrana che mette in contato un fuori e un dentro, li rende presenti uno all'altro, li confronta o li mette di fronte. Il dentro è la psicologia, il passato, l'involuzione, tutta una psicologia del profondo che mina il cervello. Il fuori è la cosmologia delle galassie, il futuro, l'evoluzione, tutto un sovrannaturale che fa esplodere il mondo. Le due forze sono forze di morte che si abbracciano, si scambiano e diventano al limite indiscernibili". Ib, p. 228.

38 ) Ivi, p. 183.

39 ) Roberto Rossellini, Il mio metodo, a cura di Adriano Aprà. Marsilio, Venezia 1987, p. 91.

40 ) Gilles Deleuze, L'immagine-tempo. Cinema 2, Ubulibri, Milano 1989, p. 190.

41 ) Ib.

42 ) Cosa potrà fare allora il regista o in generale l'artista in questa situazione? A lui spetta il difficile compito di far credere ad un rapporto tra uomo e mondo. "Il fatto moderno è che noi non crediamo più in questo mondo. Non crediamo neppure agli avvenimenti che ci accadono, l'amore, la morte, come se ci riguardassero solo a metà. Non siamo noi a fare del cinema, è il mondo che ci appare come un brutto film [...] E' il legame fra uomo e mondo a essersi rotto; è questo legame quindi a dover diventare oggetto di credenza: l'impossibile che può essere restituito soltanto in una fede. [...] Nelle sue ultime opere Rossellini non si interessa dell'arte, cui rimprovera di essere infantile e lamentosa, di cullarsi in una perdita di mondo: vuole sostituirvi una morale che ci restituisca una credenza in grado di perpetuare la vita. Rossellini conserva certo ancora l'ideale del sapere, non abbandonerà mai questo ideale socratico. Ma ha bisogno appunto di fondarlo su una credenza, una fede semplice nell'uomo e nel mondo.[...] In Rossellini troviamo un capovolgimento della credenza cristiana, come massimo paradosso. La credenza, anche con i suoi personaggi sacri, Maria, Giuseppe e il Bambino è sempre pronta a passare dalla parte dell'ateo". Ivi, pp. 191-193.

43 ) Ivi, p. 194.

44 ) L'aperto si confondeva con la rappresentazione indiretta del tempo, "ovunque c'era movimento, c'era, aperto in qualche parte, nel tempo, un tutto che mutava. [...] Quando si dice: 'il tutto, è il fuori', la cosa si presenta in tutt'altro modo. Innanzitutto perché la questione non è più quella dell'associazione o dell'attrazione delle immagini. Ciò che conta, al contrario, è l'interstizio tra immagini, tra due immagini: una spaziatura che fa sì che ogni immagine si strappi al vuoto e vi ricada". Ivi, p. 200.

45 ) Ivi, p. 210.

46 ) Ivi, p. 216.

47 ) Ivi, pp. 293, 298. Il cinema moderno comportava altre modifiche anche sul piano del sonoro, che diveniva immagine. In Rossellini, le componenti visive e sonore assumono una loro piena autonomia. Così bisogna leggere Il Messia, con un Cristo che lavora come un semplice artigiano e parla da profeta.
Bisogna sia leggere che udire l'atto di parola, così come accade nel cinema di Duraso Straub, dove le componenti visive e sonore dell'immagine, si separano e si dissociano, sganciate da interruzioni irrazionali: "immagini eautonome ".
Ci sarà anche da definire il nuovo aspetto del fuori-campo, e, cosa più importante, una nuova pedagogia dell'immagine (vedi Rossellini e poi più tardi Godard. A questo riguardo si veda il capitolo IX di Immagine-tempo, sulle componenti dell'immagine).