Antonio Leto
Cinema e
filosofia
L'immagine-tempo
"Il
pensiero filosofico non ha mai avuto tanta importanza quanto oggi, poiché si è
installato tutto un regime non solamente politico, ma culturale e giornalistico,
che è un'offesa a tutto il pensiero "
Gilles
Deleuze
Questo secondo saggio sul tempo nel cinema è il seguito
del lavoro sull'Immagine-movimento pubblicato sul n.1/2 1994 dei
Quaderni.
Ad un cinema cosiddetto 'classico' farà posto un cinema 'moderno';
ad un cinema di 'narrazione' un cinema di 'descrizione'. Il Tempo sarà il
soggetto di questo nuovo tipo di cinema, meno legato agli schemi senso-motori
più aperto verso una dimensione sonora e visiva autonoma. La rottura del legame
senso-motorio definirà questo secondo stadio del cinema.
"La crisi che ha
scosso l'immagine-azione è dipesa da molte ragioni che non hanno agito
pienamente se non dopo la guerra, e di cui alcune erano sociali, economiche,
politiche, morali, altre più interne all'arte, alla letteratura e al cinema in
particolare. Si potrebbero citare alla rinfusa: la guerra e le sue conseguenze,
il vacillare del "sogno americano" in tutti i suoi aspetti, la nuova coscienza
delle minoranze, la crescita e l'inflazione delle immagini, tanto nel mondo
esterno che nella mente della gente, l'influenza sul cinema di nuovi modi di
raccontare che la letteratura aveva sperimentato, la crisi di Hollywood e degli
antichi generi... Certo, si continuano a fare film SAS e ASA: i più grandi
successi commerciali passano sempre da qui, ma non più l'anima del cinema...
L'anima del cinema esige sempre più pensiero, anche se il pensiero comincia con
il disfare il sistema delle azioni, delle percezioni e delle affezioni di cui il
cinema si era nutrito fino a quel momento. Non crediamo più affatto che una
situazione globale possa dar luogo ad un'azione capace di modificarla. Ancor
meno crediamo che un'azione possa forzare una situazione a svelarsi anche
parzialmente. Le illusioni più "sane" cadono. Dovunque, ciò che è innanzi tutto
compromesso sono i concatenamenti, situazione-azione, azione-reazione,
eccitazione-risposta, insomma i legami sensorio-motori che facevano
l'immagine-azione. Il realismo, malgrado tutta la sua violenza, o meglio con
tutta la sua violenza che resta sensorio-motrice, non rende conto di questo
nuovo stato di cose in cui i sinsegni si disperdono e gli indizi si
ingarbugliano. Abbiamo bisogno di nuovi segni. Nasce una nuova specie d'immagine
che si può tentare d'identificare nel cinema americano del dopoguerra, fuori
Hollywood" (1).
L'immagine non rinvia più a una situazione globalizzante o
sintetica, ma dispersiva; i personaggi hanno interferenze deboli, funzionano sia
come secondari che come principali, senza che vi sia un ruolo fisso, tutti presi
nella stessa realtà che li disperde... (Robert Altman, King Vidor). La linea o
la fibra di universo che prolungava gli avvenimenti gli uni negli altri si è
spezzata e non assicura più il raccordo delle porzioni di spazio (Altman,
Cassavetes, Lumet, Scorsese con Taxi driver ). L'azione o la
situazione sensorio-motrice è sostituita dalla passeggiata, dall'andare a
zonzo, in un andirivieni continuo. "L'andare a zonzo aveva trovato in
America le condizioni formali e materiali per un rinnovamento. L'andare a zonzo
si fa per necessità, interna o esterna, per bisogno di fuga. Ma adesso perde
l'aspetto iniziatico che aveva nel viaggio tedesco [Wenders], e che conservava
malgrado tutto nel viaggio beat (Easy Rider di Dennis Hopper e
Peter Fonda). E' diventato un andare a zonzo urbano e si è staccato dalla
struttura attiva o affettiva che lo dirigeva, gl'imprimeva delle direzioni anche
vaghe. [...] In effetti, la cosa più chiara dell'andare a zonzo moderno è che si
fa in uno spazio qualsiasi, stazione di smistamento, deposito abbandonato,
tessuto sdifferenziato della città, in opposizione all'azione che si svolgeva
spessissimo negli spazi-tempo qualificati dell'antico realismo" (2).
In
quarto luogo, cosa mantiene un insieme in questo mondo senza totalità né
concatenamento?....i cliché, e nient'altro. Nient'altro che cliché, dappertutto
cliché... (Dos Passos, Altman, Lumet, Scorsese, con Re per una
notte ).
"L'America ha rilanciato la questione romantica dandole una
forma ancor più radicale, più urgente, più tecnica: il regno dei cliché,
all'interno come all'esterno. Come non credere a una potente organizzazione
concertata, a un grande e potente complotto che ha trovato il mezzo di far
circolare i cliché dal di fuori al di dentro, dal di dentro al di fuori? Il
complotto criminale, in quanto organizzazione del Potere, assumerà nel mondo
moderno un'andamento nuovo, che il cinema si sforzerà di seguire e di mostrare.
Non si tratta più affatto, come nel film giallo del realismo americano, di
un'organizzazione che rinvia a un ambiente distinto, a azioni assegnabili
attraverso le quali i criminali si segnalano (benché si continuino a fare film
di questo genere, di grande successo, come Il padrino )"
(3).
Ricapitolando, ecco i cinque caratteri di questa nuova immagine:
a)
la situazione dispersiva, i legami deliberatamente deboli;
b) la forma-andare
a zonzo;
c) la presa di coscienza dei cliché;
d) la denuncia del
complotto.
Sono questi i caratteri del nuovo cinema.
Ma si prospetteranno
anche, per la filosofia, nuove soluzioni, a vecchi problemi. Il tempo, il modo
in cui lo si vive, come ci si muove in esso, come 'ci' costituisce, come lo
sentiamo e lo vediamo... Il cinema saprà dare delle valide risposte a tutto
questo. Il modello sarà sempre Bergson, con i capitoli II, III, e IV di
Materia e memoria.
La soggettività non sarà più la nostra
(psicologica), ma il tempo stesso. Il tempo come soggettività che "ci trascina,
ci raccoglie e ci rilascia". Noi viviamo nel tempo, in una Memoria integrale (o
passato generale) che si incarna nei 'nostri' ricordi (memoria psicologica) ed è
solo "nel cinema che si può, oggi, pensare il tempo" (4). Ecco le tesi generali
di Bergson:
a) viviamo in un tempo non-cronologico;
b) il passato coesiste
con il presente che è stato, e si conserva in sé, intatto, e in quanto passato
non cronologico.
Si è bambini, adulti e anziani, nello stesso tempo, dice
Fellini. Si è sempre in un passato senza tempo, presi nel ritmo di un tempo che
ci trascina, ci raccoglie e ci rilascia... Fellini è
bergsoniano.
L'immagine-azione era troppo 'oggettiva', e se spesso presentava
dei 'buchi', dei 'vuoti', erano lì solo per essere colmati e non costituivano un
tale tipo di cinema. Qui invece gli scacchi della memoria sono più importanti di
qualsiasi 'concatenazione logica'; essi ci danno la possibilità di vedere
realmente il tempo, e il cinema europeo ha sempre lavorato molto su questi stati
della vita; amnesia, ipnosi, sogni, visione dei moribondi, deliri, déjà-vu,
allucinazioni... (e così pure Bergson) (5). Sono questi i 'segni' del tempo, di
come il tempo lavora, esiste, sdoppiantesi sempre in direzioni differenti che
lacerano il soggetto. E' un cinema del veggente, più che dell'attante, dice
Deleuze, del reale non rappresentato o riprodotto ma "mirato" (si spiega così
anche la sostituzione al montaggio delle rappresentazioni del piano-sequenza). I
personaggi muoiono per aver visto troppo; o ne vivono. Essi sono superati,
abbagliati, da qualcosa che li sovrasta; vivono nell'impotenza di organizzare
un'azione, una risposta, ma producono pensiero, spirito "sono finita, ho paura,
che mistero, che bellezza, Dio mio..." (Stromboli, terra di Dio
).
Sono i caratteri generali del neorealismo (a cui Rossellini non ha mai
voluto, in vero, essere 'etichettato'). "Il neorealismo si definisce quindi per
questa crescita di situazioni puramente ottiche (e sonore, benché ai suoi inizi
non esistesse il suono sincrono), che si distinguono sostanzialmente dalle
situazioni senso-motorie dell'immagine-azione del vecchio realismo. [lo
spettatore si è sempre trovato di fronte a "descrizioni", a immagini-sonore, a
immagini-ottiche e sonore, ma il problema era che il personaggio reagiva alle
situazioni e lo spettatore identificandosi con questi, percepiva un immagine
senso-motoria. Hitchcock includendo lo spettatore nel film aveva inaugurato il
capovolgimento di questo punto di vista] [Il personaggio] ha un bel muoversi,
correre, agitarsi, la situazione nella quale si trova supera da ogni parte le
sue capacità motorie e gli fa vedere e sentire quel che non può più essere
teoricamente giustificato da una risposta o da un'azione. Più che reagire, il
personaggio registra, più che essere impegnato in un'azione, è consegnato a una
visione, che insegue o da cui è inseguito" (6). Dal momento che sono scomparse
le possibilità effettive dei personaggi di modificare o di restaurare delle
situazioni, o che, sono venute a mancare le concatenazioni che il meccanismo
percezione-azione proponeva, l'immagine non presenta più del movimento (o
indirettamente il tempo - come nel montaggio), ma il tempo al suo stato puro,
ossia non dedotto dal movimento (si ricordi che per Bergson
percezione-azione-affezione, erano delle specie del movimento).
E' il nucleo
di Europa '51. Una perfetta donna borghese, con i suoi schemi, le
sue abitudini, i suoi ritmi; gli ordini e i preparativi per una cena, il suo
ruolo di mamma, di sposa, di padrona di casa, di conversatrice e mediatrice...
cliché che pullulano dappertutto, nella donna, nel marito, negli
invitati...
Ma la morte del figlio e il modo in cui avviene segna una rottura
nelle concatenazioni senso-motorie della protagonista. Una ferita larga un mondo
si apre nella sua vita, lei capisce di essere vissuta nel vuoto, senza amore.
Così aiuta una povera famiglia col figlio malato, poi una prostituta; procura
del lavoro ad una donna del popolo; lavora essa stessa in una fabbrica; protegge
un rapinatore, ma infine viene rinchiusa in una casa di cura per malati di mente
dalla buona famigliola borghese, da una grata di ferro piange e bacia il mondo
che va via... ma ora lei vede, ha imparato a vedere, i suoi sguardi hanno
abbandonato "la funzione pratica di una padrona di casa capace di mettere in
ordine esseri e cose, per passare attraverso tutti gli stadi di una visione
interiore, afflizione, compassione, amore, felicità, accettazione, perfino
nell'ospedale psichiatrico dove la si rinchiude al termine di un nuovo processo
alla Giovanna D'Arco" (7).
Deleuze ci parla di "un 'astratto' visivo e
sonoro, molto poco 'denotato concretamente', ridotto a pochi tratti", una
descrizione inorganica (in un altro tipo di descrizione - organica - l'oggetto
sarebbe visto secondo le sue normali funzioni, come "una sedia è fatta per
sedersi"). In realtà, osserva Deleuze, tra l'immagine senso-motoria del realismo
e quella ottica e sonora del neorealismo non c'è di meno; "l'immagine
senso-motoria tiene in considerazione della cosa solo ciò che ci interessa, o
ciò che si prolunga nella reazione di un personaggio. [...] Inversamente, per
quanto l'immagine ottica pura sia soltanto una descrizione e riguardi un
personaggio che non sa o non può più reagire alla situazione, la sobrietà di
quest'immagine, la rarità di ciò che tiene in considerazione, linea semplice o
punto, 'minuscolo frammento senza importanza' portano ogni volta la cosa a una
singolarità essenziale e descrivono l'inesauribile, poiché rinviano senza fine
ad altre descrizioni. E' l'immagine ottica, dunque, ad essere veramente ricca o
'tipica'" (8).
Il problema è che questa immagine non richiama semplicemente
un ricordo, saremo ancora nello schema senso motorio, in una concatenazione
'organica' percezione-ricordo. L'immagine ottica e sonora presenta
immediatamente i due lati della cosa: la sua realtà materiale e la sua realtà
mentale o spirituale, senza che tra di loro vi sia una concatenazione logica
necessaria. I due stati coesistono senza che sopravvenga la capacità o la
possibilità di distinguerne i contorni; vivono mescolati, "zone
d'indiscernibilità": reale o immaginario? fisico o mentale? oggettivo o
soggettivo? "A questo o quell'altro aspetto della cosa corrisponde una zona di
ricordi, di sogni o di pensieri: ogni volta è un piano o un circuito, sicché la
cosa passa per un'infinità di piani o di circuiti che corrispondono ai suoi
strati o ai suoi aspetti. A una diversa descrizione corrisponderebbe una diversa
immagine virtuale, e viceversa: una altro circuito. [...] Ogni circuito cancella
e crea un oggetto. Ma è proprio in questo 'doppio movimento di creazione e di
cancellatura' che i piani successivi, i circuiti indipendenti, annullandosi,
contraddicendosi, riprendendosi, biforcandosi, formeranno contemporaneamente gli
strati di una sola e medesima realtà fisica e i livelli di una sola e medesima
realtà mentale, memoria o spirito" (9).
Ma siamo entrati in un punto
difficile della teoria bergsoniana, nei temi famosi dell'attualità e della
virtualità (i circuiti sono la concatenazione di immagini attuali e
virtuali dato che l'immagine attuale non si prolunga più in
movimento), e di quello delle differenze di natura.
Questo nuovo
tipo di immagine è un misto reale-immaginario, mentale-fisico,
virtuale-attuale..., zone di indiscernibilità difficili da delineare. L'errore è
ricondurre la percezione a un ricordo o viceversa, non accorgendosi che questi
due termini differiscono in natura ; è che già porre il problema in
questo modo significa non poterlo poi risolvere e impantanarsi in riflessioni
che condurrebbero da palude a palude, in un ingarbugliamento senza fine.
Ci
troviamo dunque di fronte ad un misto percezione-ricordo (quasi
un'allucinazione), ad esempio una fabbrica e l'immagine mentale che gli
sopravviene "mi sembra di vedere dei condannati". Lo sforzo continuo del primo
capitolo di Materia e memoria sarà proprio quello di convincere che
tra i due non c'è una differenza di grado ma di natura, presenze pure o tendenze
che spingono su di uno stesso lato come il dritto e il rovescio di una stessa
superficie. Il ricordo non prolunga il movimento materiale del mondo esso è il
'risultato' di un'attività spirituale e mentale, del tempo in persona. Il
ricordo non può intervenire dal lato della percezione, su questo lato non ci
allontaneremmo dalla materia. Bisogna pensare in termini di tempo. Una volta
scomposte le due linee della percezione e del ricordo, ritrovandone le loro
differenze di natura, bisogna ripensarle nella loro realtà vivente, che ha come
caratteristica, lo ripetiamo, di cambiare in continuazione, di essere
eterogenea, unica, ed una; fatta solo d'intensità (la durata ). Ciò
che cambia, ciò a cui spetta di cambiare non è sul lato della percezione-azione
ma nel ricordo, nella memoria, nel tempo o nello spirito; è su questo lato che
ritroveremo "tutte le differenze di natura" (sul lato della percezione un
oggetto non cambierebbe dall'altro presentando solo differenze di grado;
l'immagine senso-motoria "associa alla cosa molte altre cose che le assomigliano
sullo stesso piano, in quanto suscitano tutte movimenti simili [...] Lo schema
senso-motorio è in questo senso agente d'astrazione") (10). Era ciò che Bergson
chiamava metodo dell'intuizione.
Sono le immagini abituali che
occorrono quotidianamente verso le nostre percezioni che ci permettono di
'riconoscere' l'oggetto (o qualsiasi altra cosa) percepito; è "un riconoscimento
senso-motorio che avviene soprattutto tramite movimenti: si sono formati e
accumulati dei meccanismi motori che la semplice vista dell'oggetto basta a far
scattare" (11). Dall'altro però l'immagine-ricordo interviene nel riconoscimento
attento. Le immagini-ricordo "intervengono solo in via accidentale e secondaria
nel riconoscimento automatico, mentre sono essenziali per il riconoscimento
attento: questo avviene attraverso quelle. Con le immagini-ricordo appare dunque
un senso tutto nuovo della soggettività. Abbiamo visto che la soggettività si
manifestava anche nell'immagine-movimento: sorge non appena vi è uno scarto tra
un movimento ricevuto e un movimento eseguito, un'azione e una reazione,
un'eccitazione e una risposta, un'immagine-percezione e un'immagine-azione.
Anche l'affezione è una dimensione di questa prima soggettività, in quanto
appartiene allo scarto, ne costituisce il "dentro", in qualche modo lo occupa,
ma senza riempirlo o colmarlo. Ora, al contrario, l'immagine-ricordo arriva a
riempire la scarto, lo colma effettivamente, in modo tale da ricondurci
individualmente alla percezione, invece di prolungarla in movimento generico.
Approfitta dello scarto, lo presuppone, poiché vi si inserisce, ma è di altra
natura. La soggettività acquista dunque un nuovo senso, non più motorio o
materiale, ma temporale o spirituale: ciò che "si aggiunge" alla materia e non
più ciò che la dilata; l'immagine-ricordo, e non più l'immagine-movimento"
(12).
Ma non bisogna confondersi. L'immagine-ricordo, secondo ciò che si è
detto sulla virtualità, non può essere virtuale. La protagonista di Europa
'51, non evoca un'immagine-ricordo (immagine attualizzata), essa ha quasi
un'allucinazione: "mi sembra di vedere di condannati", ma non è del tipo del
riconoscimento attivo (in cui io percepisco un oggetto tramite ricordi). Qui si
è in una zona di indiscernibilità, di fallimento del riconoscimento attivo.
Fenomeni di scacco o di disturbo della memoria più che del suo corretto
funzionamento: déjà-vu, fantasmi, sogno... Qui la protagonista ha difficoltà nel
riconoscere una fabbrica, non ricorda propriamente, essa lavora con elementi
virtuali venuti da un ricordo più generale, da un passato generale che si
incarna di volta in volta e a livelli differenti (ognuno contente in sé tutto il
passato in generale) nelle immagini-ricordo.
"Quando non si riesce a
ricordare, il prolungamento senso-motorio resta sospeso e l'immagine attuale, la
percezione ottica presente, non si concatena né con un'immagine motoria né con
un immagine-ricordo in grado di ristabilire il contatto [ho visto una fabbrica
simile a X]. Entra piuttosto in rapporto con elementi autenticamente virtuali,
sentimenti di déjà-vu o di passato "in generale" (devo aver già visto quest'uomo
da qualche parte...), immagini di sogno (ho l'impressione di averlo visto in
sogno...), fantasmi o scene di teatro (ha l'aria di recitare una parte che mi è
familiare...)" (13). Accade quando la percezione non si prolunga direttamente in
azione, e viene investita dai sensi, prima che l'azione, dal suo interno, si
formi (neorealismo). E tramite gli organi di senso liberati, si stabilisce, tra
l'ambiente e l'azione, un rapporto onirico. L'azione fluttua nella situazione
più che compierla o rafforzarla (il realismo).
Ogni descrizione cancella e
ricrea l'oggetto, ma nello stesso tempo raggiunge strati più profondi della
realtà; inoltre si ha un circuito più largo di tutti, l'involucro esterno di
tutti i circuiti con gli stati del sogno, della fantasticheria, del sogno ad
occhi aperti, dello straniamento o della fantasmagoria. Lo si vede in
Stromboli terra di Dio di Rossellini. L'isola veniva attraversata
da descrizioni sempre più profonde, gli approdi, la pesca, la tempesta,
l'eruzione, e la straniera saliva sempre più in alto nell'isola, "finché la
descrizione si abissa in profondità e la mente cede sotto una tensione troppo
forte. Dalle pendici del vulcano scatenato, il villaggio lo si vede giù in
basso, che brilla sulla nera fiumana, mentre la mente mormora: 'sono finita, ho
paura, quale mistero, quale bellezza, Dio mio...'" (14).
Questa rivelazione
sarà così profonda per il personaggio proprio in quanto questi non disporrà di
alcuna 'reazione' compensatrice. La violenza di ciò che vedrà, non sarà
attenuata, né in qualche modo addolcita. Non sarà solo il vulcano, ma la
mattanza del tonno ("era orribile..."), o la desolazione dell'isola.
Ne esce,
da questo film, un Rossellini profondamente bergsoniano, con i temi dell'attesa
come realtà mentale o spirituale... "ogni soluzione nasce dall'attesa. E'
l'attesa che fa vivere, l'attesa che scatena la realtà, l'attesa che - dopo la
preparazione - dà la liberazione. Prenda ad esempio l'episodio della tonnara, in
Stromboli. E' un episodio che nasce dall'attesa. Si viene creando, nello
spettatore, una curiosità per ciò che dovrà succedere: poi è l'esplosione della
mattanza dei tonni. L'attesa è la forza di ogni avvenimento della nostra vita: e
così anche per il cinema" (15).
L'immagine ottica e sonora non solo viene
decisamente tagliata dal suo prolungamento motorio, ma non compensa più questa
perdita con un'immagine-ricordo o un'immagine-sogno esplicita. Si può definire
questo stato sogno implicato, in cui l'immagine si prolunga in
movimento di mondo. "Vi è dunque un ritorno al movimento (donde ancora la sua
insufficienza). Ma non è più il personaggio che reagisce alla situazione
ottica-sonora, è un movimento di mondo che supplisce al movimento che vien meno
al personaggio [in questo caso la donna di Stromboli]. Si produce una specie di
mondializzazione o "mondanizzazione", di depersonalizzazione, di
pronominalizzazione del movimento perduto o impedito" (16). Questi stadi
(fantasticheria, sogni ad occhi aperti...) superano la scissione del circuito
più vasto. Il sogno, presentava un sognatore ed uno spettatore (coscienza del
sogno); qui invece non c'è scissione, con il movimento di mondo (movimento
virtuale) si ha il limite del circuito più grande (17).
Nel cinema le
tecniche sono varie per presentare tali immagini. Dissolvenze, sovrimpressioni,
disinquadrature, complessi movimenti di macchina, effetti speciali,
manipolazioni di laboratorio che tendono all'astrazione; o anche tagli netti o
montaggio-taglio (quello di Rossellini ad esempio, che procede tra oggetti
concreti e "fa" sogno). Si può dire che tra i due (montaggio-taglio e gli
altri), si giochi una metafisica dell'immaginazione. La tecnica dell'immagine,
dice Deleuze, "rinvia sempre a una metafisica dell'immaginazione". Ma perché
Deleuze avverte che questo livello del circuito è ancora insufficiente perché
presenta del movimento, seppur sganciato dal suo prolungamento
motorio?
Ancora non si è arrivati, secondo Deleuze, ad un'immagine capace di
presentare 'in pieno' quelle zone di indiscernibilità di cui dicevamo sopra.
Bisogna che si riesca a trovare un'immagine capace di presentare direttamente e
senza negazioni il tempo nel suo funzionamento, nella sua realtà vivente.
L'immagine-cristallo assolverà a questa funzione.
Con
l'immagine-cristallo ci porremo direttamente nella teoria del tempo bergsoniana
e in quella che noi avevamo prospettata per Deleuze, una filosofia
dell'espressione. "Il cristallo è espressione" (18).
E' il momento in cui
virtuale e attuale coesistono, vivono insieme, in coalescenza. E' il momento in
cui il tempo si dà a vedere, come l'unità indivisibile di un passato che si
conserva e di un presente che passa... ancora presente, e già passata.
"Il
presente è l'immagine attuale e il proprio passato contemporaneo, è l'immagine
virtuale, l'immagine allo specchio. Secondo Bergson, la "paramnesia" (illusione
di déjà-vu, di già vissuto) non fa che rendere sensibile questa evidenza: vi è
un ricordo del presente, contemporaneo al presente stesso, così ben aderente
come un ruolo all'attore. 'La nostra esistenza attuale, man mano che si svolge
nel tempo, è così anche un esistenza virtuale, un'immagine allo specchio. Ogni
movimento della nostra vita presenta dunque questi due aspetti: è attuale e
virtuale, percezione da un lato e ricordo dall'altro [...] Colui che avrà
coscienza del continuo sdoppiamento del suo presente in percezione e ricordo
[...] si paragonerà all'attore che recita automaticamente la propria parte,
ascoltandosi e guardandosi recitare'" (19). Ma non bisogna confondere il
ricordo, di cui parla Bergson, con la semplice coscienza che abbiamo dei ricordi
attualizzati. L'immagine virtuale è ricordo puro. Esso non è uno stato
psicologico ed esiste fuori dalla coscienza, nel tempo (inconscio
ontologico, secondo le indicazioni di Materia e memoria
).
Parte un appello dal presente (abbiamo visto una donna e abbiamo avuto
l'impressione di averla già vista da qualche parte) di colpo ci installiamo in
una determinata regione del passato a cercare il ricordo che corrisponderebbe a
questa sensazione diffusa. Ogni volta che parte un appello dal presente noi
saltiamo in una regione del passato generale, in uno strato contratto che
comprende la totalità del nostro passato; se questo non corrisponde ai nostri
bisogni (non avremo allora trovato il ricordo corrispondente alla vaga
sensazione), si ricomincia alla ricerca di un'altra regione, e così via... In
questo stesso momento la memoria integrale risponde simultaneamente con dei
movimenti di traslazione, contrazione, e
rotazione, che sono le risposte della memoria all'appello del
presente. Secondo il primo movimento (di traslazione), la memoria si pone
interamente di fronte all'esperienza, contraendosi in vista dell'azione senza
dividersi; inoltre, ruota su se stessa in modo da orientarsi verso la situazione
del momento e presentarle il suo lato più utile.
Non bisogna confondere tutto
questo con l'attualizzazione dei ricordi. "Le memorie, i sogni, i mondi stessi
sono soltanto circuiti relativi apparenti che dipendono dalle variazioni di
questo Tutto. Sono gradi o modi di attualizzazione che si scaglionano tra questi
due estremi dell'attuale e del virtuale. [...] Come si percepiscono le cose là
dove sono e bisogna installarsi nelle cose per percepire, così andiamo a cercare
il ricordo là dove esso è, e dobbiamo d'un balzo installarci nel passato in
generale, in queste immagini puramente virtuali che non hanno smesso di
conservarsi nel corso del tempo" (20).
L'immagine cristallo rivelerà
l'immagine-tempo diretta, e non più conclusa dal movimento. Rivelerà il
paradosso del tempo, il suo differenziarsi in due getti: passati che si
conservano e presenti che passano.
Ma i due getti formeranno a loro volta
immagini-tempo: il passato nella forma del già-là; di una preesistenza in
generale. Il presente, nella forma di un passato infinitamente contratto; il
successivo è il presente che passa, che scorre... simultaneità delle punte di
presente e punte di presente de-attualizzate: presente del passato,
presente del futuro, presente del presente.
La
memoria non è in noi; siamo noi che ci muoviamo in una memoria-Essere, in una
memoria-mondo. La soggettività non è la nostra, è il tempo in persona, l'anima o
lo spirito, il virtuale; era dapprima l'affetto, ciò che proviamo nel tempo; poi
il tempo stesso, pura virtualità che si sdoppia nell'affettare e nell'essere
affetta, l'"affezione di sé per sé" come definizione del tempo. Dall'altro,
possiamo sprofondare nell'avvenimento e trattare la vita, o una vita, come "il
tempo in cui non avviene nulla", nell'implicazione dei presenti; "un incidente
sta per accadere, accade, è accaduto. [...] Due persone si conoscono, ma si
conoscevano già e non si conoscevano ancora. Il tradimento avviene, non è mai
avvenuto, eppure è avvenuto e avverrà, tradendo l'uno talora l'altro e talora
l'altro l'uno, tutto in una volta". (non più coesistenza di falde di passato ma
simultaneità di punte di presente) (21).
Era il cinema di Renoir, Fellini,
Visconti, Buñuel, Resnais, Welles (il primo ad aver fatto un film sul tempo,
Quarto potere, e ad aver concepito il tempo come coesistenza di
regioni o falde di passato da esplorare. L'uso della profondità di campo e il
raddoppio del grandangolare lo aiuteranno in quest'operazione). Il cinema
troverà soluzioni e tecniche diverse per la messa in scena di un tale tipo di
cinema: specchi (famosa è la scena de La signora di Shanghai, di
Orson Welles), giochi di luci e ombre, di limpido e di opaco (mentre l'immagine
virtuale del ruolo diventa attuale e limpida, l'immagine attuale dell'attore
passa nelle tenebre e diventa opaca; Zanussi), lo strano cristallo verde de
La camera verde di Truffaut... ecc., ecc. Cosa comportava dunque un
tale cinema del tempo? Quali erano ad esempio, i passaggi avvenuti tra il
vecchio realismo di Ford e il nuovo di Rossellini?
Il regime cristallino
andava al di là di un uso particolare delle tecniche. C'era ad esempio un regime
di narrazione cristallino (inorganico) che concerneva le descrizioni, quel
movimento di creazione e di cancellatura dell'oggetto. Inversamente c'era una
descrizione (organica), in cui l'oggetto era indipendente; "non si tratta di
sapere se l'oggetto è realmente indipendente; né se si tratti di esterni o di
scene. L'importante è che l'ambiente descritto, siano scene o esterni, venga
posto come indipendente dalla descrizione che ne fa la cinepresa e valga per una
realtà che si suppone preesistente" (22) (anche il neorealismo vantava la
ripresa di esterni, ma per trarne delle descrizioni pure che rompevano con i
prolungamenti motori). In una seconda maniera, la descrizione organica, si
caratterizza per la sua continuità narrativa (con relazioni ben individuate,
concatenazioni logiche e causali, ecc...) e per aver sempre presente la coppia
reale-immaginario. L'altra descrizione, l'abbiamo visto, presuppone e crea delle
zone d'indiscernibilità (immagini-cristallo), e l'attuale non si prolunga nei
centri motori, così come il reale perde la sua concatenazione legale e il
virtuale si fa valere per sé stesso (23).
Poi c'era il problema della
narrazione. Quella organica, sviluppava gli schemi senso-motori attraverso cui i
personaggi agivano e reagivano alle situazioni (SAS, SAS', ASA, ASA'). Gli spazi
erano intesi in quanto relazioni di forze in opposizione e in tensione, e la
loro risoluzione avveniva dopo "la distribuzione di mete, ostacoli, mezzi,
svolte..." (24) Deleuze parla di un principio di economia... la via più
semplice, la svolta più adeguata, la parola più efficace, il minimo di mezzi per
un massimo d'effetti - i western di Ford ne sono un esempio brillante, come lo
era la sua vita, lo si ricorda come un uomo di poche e giuste parole. In una
riunione convocata nel periodo maccartista sulla decisione di De Mille di
esonerare dall'incarico Joe Mankiewicz (presidente del Guild), "quando
l'applauso per Stevens si spense, ci fu un attimo di silenzio, poi Ford alzò la
mano. C'era anche uno stenografo, e tutti dovevano dichiarare la loro identità
per il verbale. Ford si alzò e si piantò davanti allo stenografo. 'Mi chiamo
John Ford', disse, 'e faccio western'. Fece una breve pausa perché questa
battuta avesse il suo effetto. 'Credo che nessuno in questa sala sappia meglio
di C. B. De Mille cosa vuole il pubblico americano, e senza dubbio De Mille sa
anche come darglielo. Da questo punto di vista lo ammiro'. Poi guardò dritto
verso De Mille, che sedeva di fronte a lui dall'altra parte della stanza. 'Ma tu
non mi piaci, C. B.' disse. 'Non mi piace quello che rappresenti e non mi piace
quello che hai detto stasera. Joe è stato offeso e penso che meriti delle
scuse'. Fissò De Mille mentre l'assemblea aspettava in silenzio. De Mille
guardava dritto davanti a sé senza battere ciglio. Dopo trenta secondi Ford
concluse: 'Allora credo che ci sia una sola alternativa: che il signor De Mille
e tutta la direzione rassegnino le dimissioni e che accordino a Joe un voto di
fiducia - e poi andiamocene tutti a casa a dormire. Domani dobbiamo girare dei
film". Ford si accese la pipa, la sua proposta passò. Sembra di vedere uno dei
suoi eroi sullo schermo. Poche parole, e giuste (le più efficaci, comprese le
pause e gli sguardi; o le posture e il coraggio), grandi effetti,
ricompattazione della frattura con risoluzione e riordino delle parti, e così
via (25).
La narrazione cristallina, invece, lo ripetiamo, rompeva con la
senso-motricità, producendo spazi riemanniani (rizoma,
piano d'immanenza, patchwork...). Il neorealismo
produceva un tale tipo di spazio. Le parti si raccordavano senza rapporti
predeterminati; in più il raccordo delle parti poteva essere fatto in un
infinità di modi: "spazio sconnesso, puramente ottico, sonoro o anche tattile.
[...] spazi vuoti, amorfi, che perdono le loro coordinate euclidee" (26).
La
guerra creò una miriade di tali spazi, le città smantellate o in ricostruzione,
i terreni incolti, le bidonville; anche dove non era passata, si ritroveranno,
sotto altre forme, questi spazi, i tessuti urbani "sdifferenziati", i vasti
luoghi abbandonati, i docks, i depositi, ammassi di putrelle e rottami di ferro.
Il cinema verificò una crisi dell'immagine-azione: i personaggi si trovavano
sempre meno in situazioni sensorio-motrici "motivanti", in uno stato di
passeggiata, di bighellonaggio o di erranza che daranno vita a situazioni
ottiche e sonore pure. "L'immagine-azione tendeva allora a frantumarsi, mentre i
luoghi determinati si attenuavano sfumando, lasciando salire spazi qualsiasi
dove si sviluppavano gli affetti moderni di paura, di distacco, ma anche di
freschezza, di velocità estrema e di attesa interminabile" (27). Il neorealismo
italiano si opponeva al realismo proprio perché rompeva con le coordinate
spaziali, con l'antico realismo dei luoghi. Ingarbugliava i punti di riferimento
motori oppure forniva degli "astratti" visivi. Sintomatica sarà la palude o la
fortezza di Paisà di Rossellini, o la fabbrica di Europa
'51 (28). Ma perché anzitutto l'Italia, prima della Francia e della
Germania? E' la domanda che si pone Deleuze. "Forse per una ragione essenziale,
- dice - ma esterna al cinema. Sotto l'impulso di De Gaulle, la Francia, alla
fine della guerra, aveva l'ambizione storica e politica di far pienamente parte
dei vincitori: bisognava dunque che la Resistenza, anche sotterranea, apparisse
come il distaccamento di un'armata regolare, perfettamente organizzata; e che la
vita dei francesi, anche se attraversata da conflitti e ambiguità apparisse come
un contributo alla vittoria. Tali condizioni non erano favorevoli a un
rinnovamento dell'immagine cinematografica, che era mantenuta nel quadro di un
immagine-azione tradizionale, al servizio di un "sogno" propriamente francese.
Tanto che il cinema in Francia non potrà rompere con la propria tradizione che
molto tardi, e attraverso una svolta riflessiva o intellettuale quale fu quella
della nouvelle vague. Tutt'altra era la situazione in Italia: non poteva certo
pretendere al rango di vincitore; ma contrariamente alla Germania, da un lato
disponeva di un istituzione cinematografica che era relativamente sfuggita al
fascismo, dall'altro poteva invocare una resistenza e una vita popolare
soggiacenti all'oppressione, anche se prive d'illusione. Era necessario
soltanto, per coglierle, un nuovo tipo di "narrazione" capace di comprendere
l'ellittico e l'inorganizzato, come se il cinema dovesse ripartire da zero,
rimettendo in discussione tutto ciò che la tradizione americana aveva acquisito.
Gli Italiani potevano dunque avere una coscienza intuitiva della nuova immagine
che stava nascendo. Con ciò non spieghiamo niente del genio dei primi film di
Rossellini. Spieghiamo però almeno la reazione di certi critici americani che vi
videro la pretesa smisurata di un paese vinto, un ricatto odioso, un modo per
far vergognare i vincitori. [R.S. Warshow]. E soprattutto, proprio la situazione
particolarissima dell'Italia rese possibile l'impresa del neorealismo"
(29).
I cinque caratteri che prima si elencavano, e che segnavano la fine
dell'immagine-azione, furono creati dal neorealismo italiano. in Roma
città aperta, Rossellini mostra una realtà dispersiva e lacunare, e
Paisà è un patchwork d'incontri frammentari e spezzati.
Ma non
bisognava ancorare il neorealismo solo al suo contenuto sociale. Esso mostrava
come delle percezioni impedite si concatenano con atti di pensiero. Non era solo
la ripresa della realtà cruda ma del suo doppio, il regno dei cliché, tanto
all'interno quanto all'esterno, nella testa e nel cuore delle persone, come
nell'intero spazio. Paisà era la raccolta dei cliché dell'incontro
italo-americano; e Viaggio in Italia quello della pura italianità,
"così come la vede la borghesia a passeggio", vulcano, statue del museo,
santuario dei cristiani... Il Generale Della Rovere invece,
svilupperà il cliché della fabbricazione di un eroe (30).
Tra i due regimi
(organico e inorganico) cambiano le diverse concezioni del tempo (e dello
spazio); tratto dal movimento o presentato in forme dirette.
Ma, osserva
Deleuze, questa concezione del tempo mette in crisi i valori di verità. Se è
vero che degli spazi possono essere raccordati in mille modi diversi, come
trarne un modo vero, un modo che sia anche l'unico a dare il raccordo nel
migliore dei modi possibili? "La narrazione cristallina giungeva già
all'indiscernibilità tra reale e immaginario, ma la narrazione falsificante che
le corrisponde fa un passo in più e pone al presente le differenze
inesplicabili, al passato alternative indecidibili tra vero e falso. L'uomo
verace muore, ogni modello di verità crolla, a vantaggio della nuova
narrazione", è la fine del cinema di Ford, "il falsario diventa il personaggio
stesso del cinema: non più il criminale, il cow-boy, l'uomo psico-sociale,
l'eroe storico, il detentore di potere, eccetera..., come nell'immagine-azione,
ma il puro e semplice falsario, a detrimento di ogni azione" (31).
Ma non
c'era solo la descrizione e la narrazione, c'era il racconto. La narrazione
operava con schemi senso-motori, il racconto con ciò che era soggettivo (ciò che
vede il personaggio che è visto) o oggettivo (ciò che vede la cinepresa, che è
anche a volte ciò che vede il personaggio). Questi due tipi di immagini, dice
Deleuze, devono risolversi in un'identità del tipo Io=Io, "identità del
personaggio visto e che vede, me anche identità del regista-cinepresa, che vede
il personaggio e ciò che il personaggio vede" (32). Ma questa doppia
articolazione crea seri problemi in questa nuova ottica del vero e del falso,
anche se, il cinema classico, finiva per affermare il Vero.
In un altro modo,
questo schema viene rotto. Lo farà Pasolini con la "soggettiva libera
indiretta". Le visioni della macchina esprimevano le visioni soggettive del
personaggio e queste si esprimevano in quelle... non il vero, ma la simulazione,
"simulazione di racconto". Lo stesso cinema di Ford, che il regista vuole
"documentario", non sfugge a un tal tipo di struttura. Per quanto si tenda verso
il 'reale' e si continui a mantenere un modello di verità, questo presuppone la
finzione e ne deriva. "Nell'Est, pensano che ciò che io mostro è falso, ma io
voglio mostrare ciò che è accaduto. 'That's the way it was' [Era così] [...]
Mostrare il reale, in maniera quasi documentaria" (33). Ciò che vedevamo nel
cristallo era dunque la potenza del falso, il tempo in persona. Il tempo come
divenire metteva in crisi ogni modello formale di verità.
Ma il cinema non
avrebbe interessato Deleuze solo per le questioni fin qui presentate. Esso aveva
a che vedere con certi problemi ancor più vicini al lavoro filosofico, e che
interessavano particolarmente Deleuze. Il cinema si era sempre interessato ai
meccanismi del pensiero, all'immagine del pensiero. E ricordiamolo, l'immagine
del pensiero era il presupposto della filosofia, "è l'immagine del pensiero che
guida la creazione dei concetti" (34).
Il regime organico procedeva per
'tagli' razionali e concatenamenti, col suo modello di verità (il Vero è il
tutto); quello inorganico operava per tagli irrazionali e con ri-concatenamenti,
colla sua potenza del falso come divenire: non è la stessa immagine del
pensiero. "Il rapporto cinema-filosofia, dice Deleuze - è quello dell'immagine e
del concetto. Ma c'è nel concetto stesso un rapporto con l'immagine, e
nell'immagine un rapporto col concetto" (35).
Il secondo era più vicino ad un
cinema 'del cervello' (il cinema di Resnais ad esempio). Ed il cervello
interessava Deleuze. Esso era il rizoma per eccellenza, dell'erba
piuttosto che un albero, l'immagine del pensiero. Un "uncertain
system", con meccanismi probabilitari, semi-aleatori, quantici. "Ogni nuovo
pensiero traccia dal vivo, nel cervello, dei solchi sconosciuti, esso lo torce,
lo piega e lo fende. [...] Nuove connessioni, nuove aperture, nuove sinapsi; è
ciò che la filosofia mobilizza creando dei concetti [...] Ciò che mi interessa
nel cinema è che lo schermo possa essere un cervello" (36). Nel cinema di
Resnais i circuiti trascinano i personaggi, li installano sulle onde (circuiti
cerebrali, onde cerebrali). Il pensiero faceva posto a un impensato del
pensiero, a un irrazionale proprio del pensiero (37). Era diverso da quello che
succedeva nell'immagine-azione. Essa "andava dalla situazione all'azione o,
viceversa, dall'azione alla situazione, era inseparabile da atti di
comprensione, mediante i quali l'eroe valutava i dati del problema o della
situazione, oppure da atti di interferenza, mediante i quali intuiva ciò che non
era dato [...] E questi atti di pensiero nell'immagine si prolungavano in una
doppia direzione, rapporto delle immagini con un tutto pensato, con delle figure
del pensiero" (38).
Il cinema moderno dava invece la possibilità di conoscere
il fatto che i meccanismi del pensiero si fondano sulla follia, sulla patologia,
negli eccessi... era ciò che voleva dire pensare, non più solo concatenamenti e
tagli razionali, ma ri-concatenamenti e tagli irrazionali. Rossellini: "Non mi
trovo bene che là dove posso evitare il nesso logico" (39).
L'immagine non è
più senso-motoria. Si cercano, in una sperimentazione brancolante, "vere e
proprie situazioni psichiche nelle quali il pensiero si incunea e cerca una
sottile via d'uscita, [...] delle situazioni puramente visive e il cui dramma
deriverebbe da un urto costitutivo per gli occhi, attinto, se così si può dire,
nella sostanza stessa dello sguardo" (40). E' il corso di Europa
'51.
Questa rottura, che è anche più profondamente una rottura tra
l'uomo e il mondo (ancora Europa '51 ), fa dell'essere umano un
veggente, colpito da qualcosa di intollerabile nel mondo e confrontato con
qualcosa d'impensabile nel pensiero. Il pensiero subisce una strana
pietrificazione, "che è come se fosse la sua impotenza a funzionare, a essere,
la privazione di se stesso e del mondo" (41). La mummia è il pensiero stesso,
nell'ultimo sguardo di Ingrid Bergman, dalle sbarre della clinica psichiatrica,
"mummia che irradia tenerezza" (42).
Questo è il nuovo aspetto del cinema: la
rottura del legame senso-motorio (l'immagine-azione) e più in profondità del
legame tra uomo e mondo (grande composizione organica). Ma anche la scomparsa di
figure quali la metonimia, la metafora... "la necessità propria dei rapporti di
pensiero nell'immagine ha sostituito la contiguità di rapporti d'immagini
(campo-controcampo)" (43).
E ancora, la trasformazione della nozione di
Tutto. L'aperto si confondeva con la rappresentazione indiretta del tempo,
"ovunque c'era movimento, c'era, aperto in qualche parte, nel tempo, un tutto
che mutava. [...] Quando si dice: 'il tutto, è il fuori', la cosa si presenta in
tutt'altro modo. Innanzitutto perché la questione non è più quella
dell'associazione o dell'attrazione delle immagini. Ciò che conta, al contrario,
è l'interstizio tra immagini, tra due immagini: una spaziatura che fa sì che
ogni immagine si strappi al vuoto e vi ricada" (44). Ma il cinema aveva in serbo
tante altre ricchezze. Leggiamo questa bella pagina di Deleuze, sul corpo, il
pensiero e il cinema.
"'Datemi dunque un corpo': è la formula del
capovolgimento filosofico. Il corpo non è più l'ostacolo che separa il pensiero
da se stesso, ciò che il pensiero deve superare per arrivare a pensare. Al
contrario è ciò in cui affonda o deve affondare, per raggiungere l'impensato,
cioè la vita. Non che il corpo pensi, ma, ostinato, testardo, forza a pensare, e
forza a pensare ciò che si sottrae al pensiero, la vita. Non si farà più
comparire la vita davanti alle grandi categorie del pensiero, si getterà il
pensiero nelle categorie della vita. E queste sono appunto gli atteggiamenti del
corpo, le sue posture. 'Non abbiamo neppure idea di quel che può un corpo' nel
suo sonno, nella sue ebbrezza, nei suoi sforzi e nelle sue resistenze [Spinoza].
Pensare è apprendere quel che può un corpo non-pensante, le sue facoltà, i suoi
atteggiamenti o posture. Con il corpo (e non più tramite il corpo) il cinema
sposa lo spirito, il pensiero. 'Dateci dunque un corpo' significa per prima cosa
montare la cinepresa su un corpo quotidiano. Il corpo non è mai al presente,
contiene il prima e il dopo, la stanchezza, l'attesa. La stanchezza, l'attesa,
persino la disperazione sono gli atteggiamenti del corpo. In questa direzione
nessuno è andato più avanti di Antonioni" (45).
Gli atteggiamenti del copro
dell'eroe nel western, con quella sua particolare camminatura, quel suo modo di
parlare o di portare la pistola o di bere o di amare... "L'atteggiamento del
corpo è come un'immagine-tempo, quella che mette il prima e il dopo nel corpo,
la serie del tempo; ma il gestus è già un'altra immagine-tempo, l'ordine o
l'ordinamento del tempo, la simultaneità dei suoi punti, la coesistenza delle
sue falde" (46).
Il nostro lavoro purtroppo non può, in questa sede,
prolungarsi oltre. Terminiamo con un passo di Gilles Deleuze sulle
immagini elettroniche e sul concetto di informazione,
cosa così cara al nostro secolo.
Il cinema moderno, dice Deleuze, sembra che
ad un certo punto tenda "a trattare l'immagine in maniera
elettronica, informatica, ossia come una tavola su cui
scrivere informazioni". Lo schermo, "pur conservando per convenzione una
posizione verticale, non sembra più rinviare alla postura umana, come una
finestra o anche un quadro, ma costituisce piuttosto una tavola d'informazione,
superficie opaca su cui si iscrivono dei 'dati', poiché l'informazione
sostituisce la Natura, e il cervello-città, il terzo occhio, sostituisce gli
occhi della Natura. Infine, dal momento che il sonoro conquista un'autonomia che
gli conferisce sempre più lo statuto di immagine, le due immagini, la sonora e
la visiva, entrano in relazioni complesse senza subordinazione né
commensurabilità, e raggiungono il limite comune nella misura in cui ciascuna
raggiunge il proprio limite. [...] Si avrà un bel mostrare tutti i documenti,
far sentire tutte le testimonianze: ciò che rende l'informazione onnipotente (il
giornale, e poi la radio, e poi la televisione) è la sua stessa nullità, la sua
radicale inefficacia. [...] Ora, l'informazione si supera contemporaneamente da
due lati, verso due domande: qual'è la fonte e qual'è il destinatario? Le stesse
due domande della pedagogia godardiana. L'informatica non risponde né all'una né
all'altra perché la fonte dell'informazione non è un'informazione, non più di
quanto lo sia lo stesso informato. Se non c'è deterioramento dell'informazione è
perché l'informazione stessa è un deterioramento" (47).
NOTE
1 ) Gilles Deleuze, L'immagine-movimento. Cinema 1, Ubulibri,
Milano 1984, p. 235.
2 ) Ivi, p. 236-237.
3 ) Ivi, p. 238. "Ma in che modo il cinema può denunciare la
sinistra organizzazione dei cliché, quando partecipa alla loro fabbricazione e
allo loro propagazione, quanto le riviste o le televisioni? Forse le condizioni
particolari in cui esso produce e riproduce dei cliché, permettono a certi
autori di giungere a una riflessione critica che non troverebbe spazio altrove.
L'organizzazione del cinema fa sì che, per quanto grandi siano i controlli che
pesano su di lui, il creatore disponga almeno di un certo tempo per "commettere"
l'irreversibile. Egli ha la possibilità di sprigionare una immagine di tutti i
cliché, e d'innalzarla contro di essi. A condizione tuttavia di un progetto
estetico e politico capace di costituire un'impresa positiva. Ora, è proprio in
questo che il cinema americano trova i suoi limiti. Tutte le qualità estetiche e
anche politiche che può avere, restano strettamente critiche e per ciò stesso
meno "pericolose" che se si esercitassero in un progetto positivo di creazione.
[...] il furore contro i cliché non conduce a nulla finché ci si accontenta di
farne una parodia; [Altman, Lumet] malmenato, mutilato, distrutto, un cliché non
tarda a rinascere dalle proprie ceneri. Di fatto, ciò che ha costituito il
vantaggio del cinema americano, l'essere nato cioè senza tradizione preliminare
che lo strangolasse, si rivolta adesso contro di lui. Poiché questo cinema
dell'immagine-azione ha generato una tradizione di cui, nella maggior parte dei
casi, non può più liberarsi se non negativamente. I grandi generi di questo
cinema, il film psico-sociale, il giallo, il western, la commedia americana,
crollano mantenendo tuttavia il loro quadro vuoto. Per alcuni grandi creatori,
il cammino dell'emigrazione si è dunque invertito, per ragioni che non sono
legate soltanto al maccartismo. Infatti, l'Europa aveva più libertà in questo
senso; ed è innanzi tutto in Italia che si è prodotta la grande crisi
dell'immagine-azione. La periodicità è pressappoco questa: intorno al 1948,
l'Italia; intorno al 1958, la Francia; intorno al 1968, la Germania".
ivi, pp. 239-240.
4 ) G. Cabasso, L'Image-Temps, in Cinéma, n. 334, 1985, pp. 3,
9.
5 ) Il cinema sovietico (e i suoi legami con il futurismo, il costruttivismo,
il formalismo); l'espressionismo tedesco (e i suoi legami con la psicoanalisi e
la psichiatria); la scuola francese (e i suoi legami col surrealismo); tutti
rompevano "con i limiti "americani" dell'immagine-azione e per raggiungere anche
un mistero del tempo, per unire l'immagine, il pensiero e la cinepresa in una
stessa "soggettività automatica", in opposizione alla concezione troppo
oggettiva degli americani. Tutti questi stati hanno innanzi tutto in comune il
fatto che un personaggio sia preda di sensazioni visive e sonore (o anche
tattili, cutanee, cenestetiche) che hanno perduto il proprio prolungamento
senso-motorio. Può essere una situazione-limite, l'imminenza o la conseguenza di
un incidente, la prossimità della morte, ma anche gli stati più banali del
sonno, del sogno o di un disturbo dell'attenzione". Gillese Deleuze,
L'immagine-tempo. Cinema 2, Ubulibri, Milano 1989,
pp.68-69.
6 ) Ivi, pp. 12-13.
7 ) Ivi, p. 12.
8 ) Ivi, pp. 58-59.
9 ) Ivi, pp. 58-59. E' lo schema che si ritrova in Materia e memoria :
Un "atto di attenzione implica una tale solidarietà tra lo spirito e il suo
oggetto, è un circuito così ben chiuso, che non si potrebbe passare a degli
strati di concentrazione superiore senza creare di sana pianta altrettanti nuovi
circuiti che avvolgono il primo, e che tra i loro non abbiano in comune che
l'oggetto percepito. Di questi cerchi della memoria, il più stretto, A, è il più
vicino alla percezione immediata. Esso non contiene che l'oggetto O, esso stesso
con l'immagine consecutiva che ritorna a coprirlo. Dietro a lui i cerchi B, C,
D, sempre più larghi, rispondono a dei crescenti sforzi di espansione
intellettuale. [...] la memoria è sempre presente ; ma questa
memoria, che la sua elasticità permette di dilatare indefinitivamente, riflette
sull'oggetto un numero crescente di cose suggerite. [...] chiamiamo B', C', D',
queste cause di crescente profondità, situate dietro l'oggetto, e virtualmente
date con l'oggetto stesso. [...] via via che i cerchi B, C, D, rappresentano una
maggiore espansione della memoria, la loro riflessione raggiunge in B', C', D',
degli strati più profondi della realtà. La stessa vita psicologica sarebbe
dunque ripetuta un numero indefinito di volte, ai successivi livelli della
memoria, e lo stesso atto dello spirito potrebbe giocarsi a delle altezze molto
differenti"; pp. 113-114.
10 ) Ivi, p. 58.
11 ) Ivi, p. 57. A differenza del riconoscimento
attento (era il caso dell'esempio della fabbrica tratto da Europa
'51 ), qui l'oggetto non viene ricreato a livelli o piani diversi, "non
smettiamo di allontanarci dal primo oggetto, passiamo da un oggetto a un
altro, secondo un movimento orizzontale o secondo associazioni
d'immagini, ma restando su un unico e medesimo piano (la mucca
passa da un ciuffo d'erba all'altro e, con il mio amico Pietro, io passo da un
oggetto di conversazione a un altro)". Ib.
12 ) Ivi, p. 61.
13 ) Ivi, p. 68.
14 ) Ivi, p. 60. "Non vi sono più immagini-senso-motorie con i
loro prolungamenti, ma legami circolari più complessi fra immagini ottiche e
sonore pure da una parte e dall'altra immagini provenienti dal tempo o dal
pensiero, su piani che virtualmente coesistono tutti poiché costituiscono
l'anima e il corpo dell'isola". ib.
15 ) Roberto Rossellini, Il mio metodo, a cura di Adriano Aprà,
Marsilio, Venezia 1987.
16 ) Gillese Deleuze, L'immagine-tempo. Cinema 2, Ubulibri,
Milano 1989, p. 72.
17 ) "La teoria bergsoniana del sogno dimostra che il dormiente non è per
nulla refrattario alle sensazioni del mondo esterno e interiore. Tuttavia non le
mette più in rapporto con particolari immagini-ricordo, ma con falde di passato
fluide e malleabili che si accontentano di un adattamento molto ampio o
fluttuante. [...] Da una parte le percezioni del dormiente permangono, ma allo
stato diffuso di pulviscolo di sensazioni attuali, esteriori o interiori, che
non sono colte per se stesse, in quanto sfuggono alla coscienza. Dall'altra,
l'immagine virtuale che si attualizza, non si attualizza direttamente, ma in
un'altra immagine, che gioca anch'essa il ruolo d'immagine virtuale
attualizzandosi in una terza, all'infinito: il sogno non è una metafora, ma una
serie di anamorfosi che tracciano un circuito molto ampio". Ivi, p.
70.
18 ) "Il compito che avrei desiderato portare a termine, in questi due libri
sul cinema, non è una riflessione sull'immaginario, è una operazione più
pratica, sfornare dei cristalli di tempo. [...] Non è dell'immaginario, è un
regime di segni. In favore, spero, di altri regimi ancora. La classificazione
dei segni è infinita, e innanzi tutto perché c'è un'infinità di
classificazioni". Gillese Deleuze, Pouparlers, Les Éditions de
Minuit, Paris 1990, p. 95.
19 ) Gilles Deleuze, L'immagine-tempo. Cinema 2, Ubulibri,
Milano 1989, pp. 93-94. La frase di Bergson è tratta da L'énergie
spirituelle.
20 ) Ivi, p. 95 Ecco lo schema di Materia e memoria.
Le sezioni AB, A'B', A''B'', sono le regioni o falde di passato generale di
cui si parlava (non immagini-ricordo, ma ricordi puri, virtuali). S, è l'attuale
presente (che non bisogna pensare come un punto in quanto contiene già il
passato di questo presente, l'immagine virtuale che raddoppia l'immagine
attuale).
I circuiti psicologici si formano nel salto che operiamo da S a una
di queste sezioni, attualizzando una certa virtualità che dovrà discendere da un
nuovo presente. Henry Bergson, Materia e Memoria, Città Armoniosa,
Reggio Emilia 1982, p. 161.
Era anche lo statuto del tempo del piano
d'immanenza. Un tempo stratigrafico, "dove il prima e il dopo non
indicano più che un ordine di sovrapposizioni. [...] Il tempo filosofico è un
tempo grandioso di coesistenza, che non esclude il prima e il dopo, ma li
sovrappone in un ordine stratigrafico". Gilles Deleuze,
Qu'est-ce que la philosophie?, Les Éditions de Minuit 1991, p.
58.
21 ) Gilles Deleuze, L'immagine-tempo. Cinema 2, Ubulibri,
Milano 1989, pp. 115-116.
A queste due immagini-tempo dirette, Deleuze ne
aggiunge un'altra, sulle serie del tempo (in contrapposizione alla
concezione empirica del tempo con presenti che si succedono secondo un rapporto
estrinseco del prima e del dopo, e con un passato come
'vecchio' presente ed un futuro come 'presente a venire' - il corso del
tempo ). Nelle serie del tempo, il prima e il dopo non sono più in una
successione empirica, ma sono le due facce della potenza, o il
passaggio della potenza a una potenza superiore (serie ). Non più
coesistenza o simultaneità ma divenire come potenziamento (serie di
potenze). Sarebbe utile mettere a confronto queste teorie sul tempo con quelle
di Logica del senso (Feltrinelli, Milano 1984), su
Kronos e Aiôn (si veda in particolare la
Ventitreesima serie, e più in generale tutto il testo).
22 ) Ivi, p. 143.
23 ) Deleuze avverte: 'immaginario', se ci si volesse porre un problema
propriamente filosofico, è un buon concetto? "E' una nozione molto complicata,
perché è all'incrocio di due coppie [reale-irreale, vero-falso]. L'immaginario
non é l'irreale, ma l'indiscernibilità del reale e dell'irreale. I due termini
non si corrispondono, restano distinti, ma non cessano di scambiare la loro
distinzione. Lo si vede bene nel fenomeno cristallino [...] L'immaginario è
l'immagine cristallo. [...] l'immaginario non si oltrepassa verso un
significante, ma verso una presentazione del tempo puro. E' per questo che io
non dò molta importanza alla nozione d'immaginario. Da una parte, essa suppone
una cristallizzazione, fisica, chimica o psichica; essa non definisce niente, ma
si definisce per l'immagine-cristallo come circuito di scambi; immaginare è
fabbricare delle immagini-cristallo, far funzionare l'immagine come un
cristallo. [...] non credo a una potenza dell'immaginario, nel sogno, nel
fantasma, etc. L'immaginario è una nozione poco determinata, essa deve essere
strettamente condizionata: la condizione è il cristallo, e l'incondizionato al
quale ci eleva, il tempo. Non credo a una specificità dell'immaginario, ma a due
regimi dell'immagine [regime organico e inorganico]" Gilles Deleuze,
Pourparlers, Les Éditions de Minuit, Paris 1990, pp. 93-94.
24 ) Gilles Deleuze, L'immagine-tempo. Cinema 2, Ubulibri,
Milano 1989, p. 145.
25 ) Lindsay Anderson, John Ford. Ubulibri, Milano 1985, p.
166-167.
26 ) Gilles Deleuze, L'immagine-tempo. Cinema 2, Ubulibri,
Milano 1989, p. 146.
27 ) Gilles DeleuzeL'immagine-movimento. Cinema 1, Ubulibri,
Milano 1984, p. 145. L'immagine-affezione già presentava un tale tipo di spazio.
"Lo spazio non è più determinato, è diventato lo spazio qualsiasi identico
alla potenza dello spirito [...]", ib. p. 141. L'importanza
del concetto di affezione (modificazione) è considerevole, e tocca entrambi i
testi sul cinema di Deleuze. Ricordiamolo, il tempo sarà concepito come
l'affezione di sé per sé.
Non "appena abbandoniamo il volto e il
primo piano, non appena consideriamo piani complessi che oltrepassano la
distinzione troppo semplice tra primo piano, piano medio e piano d'insieme, pare
che si entri in un "sistema delle emozioni" molto più sottile e differenziato,
meno facile da identificare, atto a indurre affetti non-umani".
Ib., p.133.
28 ) Sullo spazio neorealista si consultino i due numeri di
Cinématographe, dedicati al neorealismo (nn. 42, 43 1978 e 1979):
"E' certo che le costrizioni economiche hanno suscitato ispirazioni folgoranti,
e che delle immagini, inventate in condizioni di economia, hanno potuto avere
una risonanza universale. Ci sarebbero molti esempi del neorealismo, nella
nouvelle vague, ma ciò è vero di ogni tempo, e si può spesso considerare la
serie B come un centro attivo d'azione e di sperimentazione". p. 190.
29 ) La crisi economica del dopoguerra "ispira De Sica e lo conduce a
spezzare la forma ASA: non c'è più vettore o linea di universo che prolunghi o
raccordi gli avvenimenti di Ladri di biciclette ; la pioggia può
sempre interrompere o sviare la ricerca dirigendola verso il caso, e
interrompere o sviare l'andare a zonzo dell'uomo e del bambino. La pioggia
italiana diventa il senso del tempo morto e dell'interruzione possibile. E
inoltre, il furto di biciclette o gli avvenimenti insignificanti di
Umberto D. hanno un'importanza vitale per i protagonisti.
Ciononostante, I vitelloni di Fellini non testimoniano soltanto
l'insignificanza degli avvenimenti ma anche l'incertezza del concatenamento, e
la non appartenenza a quelli che li subiscono, sotto questa nuova forma
dell'andare a zonzo. Nella città in demolizione o ricostruzione, il neorealismo
fa proliferare gli spazi qualsiasi, cancro urbano, tessuto sdifferenziato,
terreni incolti, che si oppongono agli spazi determinati dell'antico realismo".
Gilles Deleuze, L'immagine-movimento. Cinema 1, Ubulibri, Milano
1984, p. 241.
30 ) "In modo particolarissimo, è proprio Fellini a avere posto i suoi primi
film sotto il segno della fabbricazione, del reperimento e dalla proliferazione
dei cliché, esterni e interni: il fotoromanzo dello Sceicco bianco,
la foto-inchiesta di Agenzia matrimoniale, i night, i music-hall e
il circo, e poi tutti i ritornelli che consolano o tormentano. [F. Rosi e il
complotto: la mafia; l'erede neorealista: la nouvelle vague; il rispetto e
l'amore neorealista contro il disprezzo e la parodia, per combattere i cliché;
il problema di Godard: l'immagine mentale non deve più contentarsi di tessere ma
deve divenire sostanza]. "Era necessario che diventasse veramente pensiero e
pensante, anche dovendo farsi per questo più "difficile". Due erano le
condizioni. Da un lato avrebbe preteso e supposto una messa in crisi
dell'immagine-azione, dell'immagine-percezione e dell'immagine-affezione, a
rischio di scoprire dappertutto dei "cliché". Ma dall'altro questa crisi non
sarebbe valsa per se stessa, sarebbe stata solo la condizione negativa per il
sorgere della nuova immagine pensante, anche dovendo cercarla aldilà del
movimento". Ivi, p. 241-244.
31 ) Gilles Deleuze, L'immagine-tempo. Cinema 2, Ubulibri,
Milano 1989, pp. 148-149. "Il falsario poteva esistere poco prima in una
determinata forma, mentitore o traditore, ma ora assume una figura illimitata
che impregna l'intero film. E' l'uomo delle descrizioni pure e
contemporaneamente fabbrica l'immagine-cristallo,
l'indiscernibilità ", ib, pp. 150-151, corsivo
mio.
32 ) Ivi, p.166.
33 ) Ford, a cura di Franco Ferrini nella collana 'Il castoro
cinema'. La nuova Italia, Firenze 1975.
"In uno stesso movimento, le
descrizioni diventano pure, puramente ottiche e sonore, le narrazioni
falsificanti, i racconti, delle simulazioni. L'intero cinema diventa un discorso
libero indiretto, che agisce nella realtà. Il falsario e la sua potenza, il
regista e il suo personaggio, o viceversa, perché hanno esistenza soltanto in
questa comunanza che permette di dire 'noi, creatori di verità'". Era ciò che
prima si diceva serie del tempo, la terza immagine-tempo diretta;
essa congiunge il prima e il dopo in un divenire senza separazioni o rotture, un
flusso. Il suo paradosso "consiste nell'introdurre un intervallo che dura nel
momento stesso". Gilles Deleuze, L'immagine-tempo. Cinema 2,
Ubulibri, Milano 1989, pp. 173-174.
34 ) Gilles Deleuze, Pourparlers, Les Éditions de Minuit, Paris
1990, p. 203
35 ) Ivi, p. 91.
36 ) Ivi, p. 204.
37 ) Resnais, inventa un cinema di filosofia, un cinema
del pensiero, "del tutto nuovo nella storia del cinema, del tutto vivente
nella storia della filosofia". Gilles Deleuze, L'immagine-tempo. Cinema
2, Ubulibri, Milano 1989, p. 231.
Altro grande autore di un cinema del
cervello è Kubrick. Nei suoi film è il cervello ad essere messo in scena.
Mondo=cervello, Cervello=mondo. "L'identità di mondo e cervello, l'automa, non
forma un tutto, ma piuttosto un limite, una membrana che mette in contato un
fuori e un dentro, li rende presenti uno all'altro, li confronta o li mette di
fronte. Il dentro è la psicologia, il passato, l'involuzione, tutta una
psicologia del profondo che mina il cervello. Il fuori è la cosmologia delle
galassie, il futuro, l'evoluzione, tutto un sovrannaturale che fa esplodere il
mondo. Le due forze sono forze di morte che si abbracciano, si scambiano e
diventano al limite indiscernibili". Ib, p. 228.
38 ) Ivi, p. 183.
39 ) Roberto Rossellini, Il mio metodo, a cura di Adriano Aprà.
Marsilio, Venezia 1987, p. 91.
40 ) Gilles Deleuze, L'immagine-tempo. Cinema 2, Ubulibri,
Milano 1989, p. 190.
41 ) Ib.
42 ) Cosa potrà fare allora il regista o in generale l'artista in questa
situazione? A lui spetta il difficile compito di far credere ad un rapporto tra
uomo e mondo. "Il fatto moderno è che noi non crediamo più in questo mondo. Non
crediamo neppure agli avvenimenti che ci accadono, l'amore, la morte, come se ci
riguardassero solo a metà. Non siamo noi a fare del cinema, è il mondo che ci
appare come un brutto film [...] E' il legame fra uomo e mondo a essersi rotto;
è questo legame quindi a dover diventare oggetto di credenza: l'impossibile che
può essere restituito soltanto in una fede. [...] Nelle sue ultime opere
Rossellini non si interessa dell'arte, cui rimprovera di essere infantile e
lamentosa, di cullarsi in una perdita di mondo: vuole sostituirvi una morale che
ci restituisca una credenza in grado di perpetuare la vita. Rossellini conserva
certo ancora l'ideale del sapere, non abbandonerà mai questo ideale socratico.
Ma ha bisogno appunto di fondarlo su una credenza, una fede semplice nell'uomo e
nel mondo.[...] In Rossellini troviamo un capovolgimento della credenza
cristiana, come massimo paradosso. La credenza, anche con i suoi personaggi
sacri, Maria, Giuseppe e il Bambino è sempre pronta a passare dalla parte
dell'ateo". Ivi, pp. 191-193.
43 ) Ivi, p. 194.
44 ) L'aperto si confondeva con la rappresentazione indiretta del tempo,
"ovunque c'era movimento, c'era, aperto in qualche parte, nel tempo, un tutto
che mutava. [...] Quando si dice: 'il tutto, è il fuori', la cosa si presenta in
tutt'altro modo. Innanzitutto perché la questione non è più quella
dell'associazione o dell'attrazione delle immagini. Ciò che conta, al contrario,
è l'interstizio tra immagini, tra due immagini: una spaziatura che
fa sì che ogni immagine si strappi al vuoto e vi ricada". Ivi, p.
200.
45 ) Ivi, p. 210.
46 ) Ivi, p. 216.
47 ) Ivi, pp. 293, 298. Il cinema moderno comportava altre
modifiche anche sul piano del sonoro, che diveniva immagine. In
Rossellini, le componenti visive e sonore assumono una loro piena autonomia.
Così bisogna leggere Il Messia, con un Cristo che lavora come un
semplice artigiano e parla da profeta.
Bisogna sia leggere che udire l'atto
di parola, così come accade nel cinema di Duraso Straub, dove le componenti
visive e sonore dell'immagine, si separano e si dissociano, sganciate da
interruzioni irrazionali: "immagini eautonome ".
Ci sarà anche
da definire il nuovo aspetto del fuori-campo, e, cosa più importante, una nuova
pedagogia dell'immagine (vedi Rossellini e poi più tardi Godard. A questo
riguardo si veda il capitolo IX di Immagine-tempo, sulle componenti
dell'immagine).